N. 83 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 maggio 2012

Ricorso della Regione Veneto (c.f. 80007580279 e p.i.

02392630279), in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 7 maggio 2012, n. 773, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova (c.f. BRTMRA48T28L483I, pec:

mario.bertolissi@ordineavvocatipadova.it), Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale (c.f. ZNNZEI57L07B563K, pec: ezio.zanon@coavenezia.it),

Daniela Palumbo della Direzione Affari legislativi (c.f.

PLMDNL57D69A266Q) e Luigi Manzi del Foro di Roma (c.f.

MNZLGU34E15H501Y), presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5;

Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n.

12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli: 1, comma 4; 25, comma 1, lett. a); 35, comma 8, 9, 10, 13;

36, comma 1, lett. a); 66, comma 9, decreto-legge 24 gennaio 2012, n.

1, recante 'Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita')', cosi' come risultanti dalla conversione in legge 24 marzo 2012, n. 27, in Suppl. ordinario n. 53 alla Gazz. Uff., 24 marzo 2012, n. 71; per violazione degli artt. 3, 5, 41, 42, 81, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, comma 2, Cost., dell'art. 9, comma 2, della legge costituzionale n.

3/2001 e dei parametri interposti di cui alla legge 5 maggio 2009, n.

42 e al d.lgs. n. 85/2010;

F a t t o In data 24 gennaio 2012 veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 19, S.O. n. 18, il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, meglio conosciuto come 'decreto Monti', relativo alle cosiddette 'liberalizzazioni'.

Nell'ambito del citato provvedimento normativo, la Regione Veneto individuava alcune disposizioni (segnatamente i commi 8, 9 e 10 dell'art. 35) lesive di proprie prerogative costituzionalmente sancite e tutelate, nonche' numerosi profili di contrasto con il dettato costituzionale, che ridondavano in altrettante lesioni dell'autonomia regionale e degli enti locali, Province e Comuni.

Per questo, promuoveva avanti codesta Ecc.ma Corte un giudizio di legittimita' costituzionale in via principale, con contestuale istanza di misura cautelare, inserito al ruolo con il n. 60/2012.

In pendenza del citato giudizio, il Parlamento nazionale interveniva, convertendo, con modificazioni, il summenzionato decreto-legge, con legge 24 marzo 2012, n. 27.

Il complesso delle disposizioni normative risultante dalla conversione in legge non e' immune da censure di legittimita' costituzionale. Tali doglianze la Regione Veneto solleva, mediante l'odierno ricorso, con riferimento ai seguenti profili di D i r i t t o 1. Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 1/2012, cosi' come risultante a seguito della conversione in legge n. 27/2012.

La Regione lamenta, anzitutto, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, cosi' come risultante a seguito della conversione in legge 24 marzo 2012, n. 27.

Questo il testo del disposto impugnato: 'I Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostituitivi dello Stato ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione. A decorrere dall'anno 2013, il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosita' degli stessi enti ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell'ambito dei compiti di cui all'articolo 4, comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell'economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all'applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'. Le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano procedono all'adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti'.

La disposizione di cui all'art. 1, comma 4, impone a Regioni,

Province, Comuni, Citta' metropolitane di adeguarsi ai principi di cui ai primi tre commi del medesimo articolo e stabilisce che la conformita' ad essi costituisca 'elemento di valutazione della virtuosita' degli enti' stessi. Spettera', poi, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri comunicare al Ministero dell'Economia e delle Finanze l'elenco degli enti che abbiano provveduto all'applicazione delle procedure di legge; in caso di mancato invio della citata lista, si prescindera' dalla valutazione di virtuosita' rispetto al parametro fissato nella norma.

1.1 La previsione impugnata e' illegittima, in primo luogo, in relazione all'obbligo dettato per le Regioni.

Anzitutto deve chiarirsi l'ambito di afferenza della disciplina censurata.

Quanto, nello specifico, all'impugnato quarto comma, esso sembra riguardare il 'coordinamento della finanza pubblica', dal momento che pone per gli enti territoriali un obbligo al cui adempimento si ricollegano importanti conseguenze circa la cogenza degli obiettivi di finanza pubblica e la determinazione della contribuzione degli enti stessi alla manovra annuale. Esso, pero', non puo' dirsi legittimo rispetto a quest'ambito, in quanto contiene previsioni di dettaglio ed auto applicative, che vanno ben oltre la potesta' sull'individuazione dei principi fondamentali della disciplina ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost.

Tuttavia, non e' questo l'unico ambito competenziale interessato dalla disciplina e cio' appare immediatamente se solo si mette il comma impugnato in relazione con le disposizioni normative che lo precedono e a cui esso espressamente si ricollega.

Il senso della disciplina complessiva, infatti, e' quello di imporre alle Regioni di adottare interventi normativi (abrogazioni) o comportamenti (interpretativi e applicativi) negli ambiti piu' disparati, alcuni di certa competenza legislativa regionale concorrenziale (come il 'governo del territorio') altri di potesta' esclusiva (come ad esempio il 'commercio'); dunque, negli ambiti materiali di cui all'art. 117, comma 3 e 4, Cost.

La disciplina di asserito principio, contenuta nei primi tre commi dell'art. 1, quella che dovrebbe fungere da 'faro' illuminante l'operato della Regione, e', poi, posta in presunta 'attuazione del principio di liberta' di iniziativa economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea'. Questi ultimi, dunque, sembrerebbero essere, al fine, secondo il legislatore statale, i titoli legittimanti l'intervento de quo anche eventualmente in spregio dell'autonomia legislativa regionale.

Il punto merita qualche considerazioni piu' approfondita, anche e soprattutto in ragione del fatto che molto complesso - come illustrato - e', in realta', il panorama delle competenze legislative regionali incise dalla disposizione impugnata.

La Corte costituzionale ha gia' chiarito, fin dalle piu' risalenti pronunce sull'art. 41 Cost., che esso tutela la 'liberta' di concorrenza' quale 'manifestazione della liberta' d'iniziativa economica privata... (sentenze n. 46 del 1963 e n. 97 del 1969)'. In seguito, e' stata offerta una nozione piu' ampia della garanzia della liberta' di concorrenza ed e' stato osservato, in primo luogo, che essa ha 'una duplice finalita': da un lato, integra la liberta' di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto l'esistenza di una pluralita' di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualita' dei prodotti e a contenerne i prezzi (sentenza n. 223 del 1982)'; in secondo luogo, che la concorrenza costituisce un 'valore basilare della liberta' di iniziativa economica [...] funzionale alla protezione degli interessi dei consumatori (sentenza n. 241 del 1990)' (cfr. piu' di recente, ex multis, Corte cost. sent. n. 270 del 2010).

La previsione legislativa impugnata, tuttavia, nulla ha che a vedere con lo specifico profilo della liberta' concorrenziale in rapporto alla libera iniziativa economica che la Corta ha enucleato dall'art. 41 Cost., dal momento che non attiene in alcun modo alla competizione tra imprenditori e ai relativi vantaggi per il consumatore. La previsione di cui all'art. 41 Cost., di conseguenza, non puo' porsi quale titolo legittimante l'invasione statale delle competenze normative regionali.

Quanto al riferimento al principio di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea, nelle materie di competenza regionale, spetta alla Regione dare attuazione ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (art. 117, comma 1 e 5, Cost.), senza che cio' richieda un intervento statale intermedio. Dunque, anche sotto questo profilo, la disciplina impugnata non puo' dirsi legittima.

Certo, a legittimazione dell'imposizione di un vincolo alla potesta' legislativa concorrente o esclusiva regionale, potrebbe invocarsi la potesta' legislativa esclusiva statale in punto di 'tutela della concorrenza' (art. 117, comma 2, lett e), Cost.).

Deve, dunque, ricordarsi quale significato la Corte ha riconosciuto alla locuzione. Essa, in particolare, ha rilevato che la 'tutela della concorrenza' 'comprende, tra l'altro, interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali:

le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che influiscono negativamente sull'assetto concorrenziale dei...

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