N. 46 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2012

P. Q. M.

Chiede che Codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.

23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni con legge 22 dicembre 2011, n.

214, recante 'Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici' per violazione degli articoli 1, 2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione.

Napoli - Roma, 25 febbraio 2012

Prof. avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia

Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, on. dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale n. 43 dei 22 febbraio 2012, giusta procura a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall'avv. Maria D'Elia (c.f. DLEMRA53H42F839H), dell'Avvocatura regionale, e dal prof. avv.

Beniamino Caravita di Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del libero foro, ed elettivamente domiciliata presso l'ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla Via Poli, n. 29 (fax:

06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it);

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.

201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n.

214, avente ad oggetto 'Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, pubblicata nel supplemento ordinario n. 276/L alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2011 - Serie generale, per violazione degli articoli 1, 2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione.

Fatto Con il decreto-legge n. 201/2011 il Governo ha approntato una serie di misure volte essenzialmente a contenere la spesa pubblica, nell'intento di porre le premesse per la stabilizzazione finanziaria ed al fine di risanare i conti pubblici del Paese, anche in relazione alla difficile situazione di crisi economica internazionale e di instabilita' dei mercati e con l'obiettivo di rispettare gli impegni assunti in sede di Unione europea. Il decreto-legge n. 201/2011 si presenta come un provvedimento assai articolato, che consta di un totale di 50 articoli, ripartiti in quattro titoli. Il Titolo I contiene norme per lo sviluppo e l'equita'; il Titolo III occupa del rafforzamento del sistema finanziario nazionale e internazionale; il Titolo III (a sua volta articolato nei Capi I-VIII) tratta del consolidamento dei conti pubblici; il Titolo IV contiene, infine, disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza.

L'art. 23 e' ricompreso nel Capo III del Titolo III, rubricato 'Riduzioni di spesa. Costi degli apparati', e tratta, nello specifico, della riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle province;

i commi da 14 a 20-bis, in particolare, ridisegnano l'assetto dell'ente provincia all'interno dell'ordinamento italiano, intervenendo tanto sotto il profilo funzionale quanto sotto il profilo degli di organi di governo.

Nel dettaglio, i commi 14, 18 e 19 affrontano la tematica inerente le funzioni provinciali, stabilendo che 'spettano alla provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo (l'aggettivo 'politico', presente nel testo originano, e' stato eliminato in sede di conversione del decreto-legge) e di coordinamento delle attivita' dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze' (comma 14). Le funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, a norma del comma 18, dovranno essere trasferite, con legge statale o regionale in base alle rispettive competenze, ai comuni entro il 31 dicembre 2012, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento da parte delle regioni, lo Stato provvedera' in via sostitutiva, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 131/2003, con legge dello Stato. Ai sensi del comma 19, lo Stato e le regioni dovranno provvedere altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni. I commi 15, 16, 17 e 20 intervengono sugli organi di governo delle province, individuandoli esclusivamente nel Presidente della provincia e nel Consiglio provinciale, con eliminazione dunque della Giunta regionale (comma 15). Ne viene poi precisata la durata in carica in 5 anni. Il Consiglio provinciale sara' composto da non piu' di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della provincia e, in base a quanto statuito nel comma 16, le modalita' di elezione, e dunque i criteri di elettorato attivo e passivo, saranno stabilite con legge dello Stato da approvare entro il 31 dicembre 2012 (nella stessa legge verra' anche stabilito con quali modalita' il Consiglio provinciale provvedera' ad eleggere al proprio interno il presidente, comma 17). Per quelle amministrazioni i cui organi elettivi scadono prima della fine di dicembre 2012, il comma 20 stabilisce che si applichi, fino al 31 marzo 2013, la previsione di cui all'art. 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali) (comma 20). Le regioni a statuto speciale dovranno adeguare i propri statuti alle previsioni di cui al decreto entro 6 mesi dall'entrata in vigore, con l'eccezione della Province autonome di Trento e Bolzano (comma 20-bis).

Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertite con legge n. 214 del 2011, risultano gravemente lesive delle prerogative delle autonomie locali e della Regione Campania, in quanto viziati da manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di Diritto

  1. Premessa: ruolo e collocazione storico-istituzionale e costituzionale delle province nell'ordinamento italiano premessa.

    Il tema della soppressione delle province, o quanto meno del ridimensionamento del loro ruolo nell'ordinamento italiano, non e' certamente nuovo. Tutt'altro. Il destino di ente discusso, perennemente 'morituro', ma sempre rimasto in vita, e' stato segnato fin dalla nascita della Repubblica, quando la commissione dei settantacinque si espresse nel senso del non riconoscimento alla provincia della natura di ente autonomo, ed immediatamente dopo l'assemblea in sede plenaria modifico' tale orientamento e si espresse nel senso del mantenimento dell'ente nel novero dei soggetti autonomi elencati in quello che diverra' l'art. 114 della Costituzione.

    Anche negli anni successivi - e fino ad oggi - la provincia e' stata fatta oggetto di proposte di eliminazione mai concretizzatesi in un iter legislativo compiuto. La 'resistenza' dimostrata dall'ente di area vasta ai tentativi esperiti di ridimensionamento o persino di soppressione deve evidentemente trovare una spiegazione che non puo' essere semplicisticamente ricondotta a dinamiche contingenti o ad una generica predilezione per il mantenimento dello status quo. E' piuttosto nel collocamento storico-istituzionale e nel ruolo che la provincia e' andata assumendo nel corso dei 150 anni di vita unitaria del Paese che debbono rintracciarsi le motivazioni vere della sua persistente esistenza nell'ordinamento italiano.

    Ereditata dal sistema francese, transitata per il tramite della legislazione piemontese nell'ordinamento del Regno d'Italia con la legge sull'unificazione amministrativa del 1865, la provincia costituisce da sempre il livello di governo intermedio tra i comuni e lo Stato centrale. Cardine dell'organizzazione statale periferica fin dalla nascita dello Stato italiano, nella storia unitaria l'ambito territoriale provinciale ha sempre rappresentato, per tale motivo, il riferimento per la vita economica, sociale e politica del Paese, in una sostanziale continuita' che non e' stata interrotta neppure dall'istituzione delle regioni, le quali non hanno scalfito la forza attrattiva del livello provinciale sull'organizzazione periferica statale.

    Sulla falsariga dell'amministrazione statale, si sono cosi' strutturati su base provinciale le Camere di commercio, le associazioni sindacali, le associazioni sportive e culturali, i partiti politici. Le stesse regioni adottano ormai il livello territoriale provinciale come base della propria organizzazione decentrata. E anche la legislazione statale in materia di organizzazione territoriale dei servizi spinge per l'adozione del livello geografico provinciale. Basti, al riguardo, ricordare, infatti, che gia' l'art. 2, comma 38, della Legge Finanziaria 2008 (Legge 24 dicembre 2007 n. 244) valuta 'prioritariamente' le province quale ambito territoriale ottimale ai fini dell'attribuzione di funzioni in materia di rifiuti e gestione delle risorse idriche.

    'Le province, create per gli interessi del governo centrale, hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche come gruppi territoriali sociali. Anche se esse esistono in virtu' di fatti storici artificiali e' peraltro vero che anche il fatto artificiale ha finito col creare delle conseguenze che non sono artificiali' (M.S. Giannini).

    Anche in virtu' di questo indiscusso ed indiscutibile ruolo nel sistema Paese, all'ente provincia la Carta del 1948 ha riconosciuto accanto alla definizione di circoscrizione di decentramento statale e regionale di cui all'art. 129 Cost. - anche la qualifica di ente autonomo, al pari del comune e delle regioni.

    Con la esplicitazione del principio dell'autonomia delle collettivita' locali contenuto all'art. 5, la Costituzione ha riconosciuto a tale principio un ruolo caratterizzante l'ordinamento, attribuendo agli enti territoriali, quanto meno in via di principio, non solamente un ruolo di mero strumento di organizzazione statale.

    La collocazione di...

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