N. 147 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 novembre 2011

Ricorso della Regione Umbria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore Catiuscia Marini, autorizzata con deliberazione della Giunta regionale del 14 novembre 2011, n. 1332 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dall'avv. Paola Manuali dell'Avvocatura regionale, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, recante Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, in quanto convertito, con modificazioni, nella legge n. 148 del 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. del 16 settembre 2011, con riferimento alle seguenti disposizioni:

articolo 3, commi 2, 3, 4„ 10 e 11; articolo 4, commi 8 e 12, 13, 14, 32 33; articolo 11; articolo 14, comma 1; articolo 16, per violazione:

- degli articoli 3, 5, 75, 77, 97, 100, 103, 114, 117, 118, 119, 121, 123 e 133 della Costituzione;

- del principi di legalita' sostanziale, di non discriminazione e di ragionevolezza, di certezza del diritto e di leale collaborazione;

nei modi e per i profili di seguito illustrati.

Fatto Il decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138 ha introdotto ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.

Esso e' stato poi convertito, con modificazioni, nella legge n. 148 del 2011. La presente impugnazione si rivolge dunque a talune disposizioni del decreto-legge, in quanto esse sono state convertite dalla citata legge e nella forma che con essa hanno assunto.

Naturalmente la Regione Umbria e' ben consapevole delle gravi ragioni, legate alla situazione della finanza pubblica, che hanno fornito la motivazione per le diverse disposizioni del decreto.

Ritiene pero' che anche le misure restrittive debbano muoversi nel quadro delle regole costituzionali dei rapporti tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, e che anzi il rispetto di tali regole sia necessario sempre, ma lo sia ancor piu' quando la loro applicazione comporta sacrifici per le comunita' territoriali coinvolte e per le persone che di esse fanno parte.

Cio' premesso, la ricorrente Regione Umbria ritiene che le disposizioni sopra indicate siano lesive della sua autonomia regionale costituzionalmente garantita, nonche' in parte dell'autonomia garantita agli enti locali della Regioni, e che dunque esse risultino costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di Diritto

  1. Illegittimita' costituzionale dell'articolo 3, recante Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche, in relazione ai commi 2, 3, 4, 10 e 11.

    L'art. 3 e' dedicato, come ricorda la sua intitolazione, al tentativo di semplificare il regime giuridico al quale sono sottoposte le attivita' economiche, nel quadro pero' della necessaria salvaguardia dei valori pubblici concorrenti e spesso contrapposti.

    Esso si apre enunciando, al comma 1, un principio, e prescrivendo che l'ordinamento di tutti gli enti territoriali, dai Comuni allo Stato, vi si adegui.

    Il principio consiste nella statuizione secondo la quale 'l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:

    a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

    b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;

    c) danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e contrasto con l'utilita' sociale;

    d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

    e) disposizioni relative alle attivita' di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica'.

    Il comma 1, ora illustrato, non forma oggetto della presente impugnazione.

    Esso pone un ovvio principio di liberta' e non meno ovvie regole che lo limitano, ponendo 'eccezioni' che in realta' consistono nel riferimento a valori ampi ed indeterminati, che non restringono affatto l'ambito dei possibili divieti, e si traducono in un richiamo ad un principio di ragionevolezza. Si puo' affermare senza paura di sbagliare che tutti i divieti oggi esistenti potrebbero giustificarsi in base ad una o piu' delle categorie enunciate.

    Il problema che si pone, come si dira', consiste invece nella circostanza che per la stessa ragione esso non e' in grado ne' di funzionare da norma parametro della possibile abrogazione di particolari regimi amministrativi, ne' di fungere da significativa indicazione dei contenuti di una possibile normazione attuativa.

    Il comma secondo dell'art. 3 stabilisce che 'il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese'.

    Esso costituisce dunque una qualificazione giuridica del comma 1.

    Esso forma oggetto della presente impugnazione per la circostanza che le qualificazioni che esso assegna ad avviso della ricorrente Regione sono o del tutto prive di significato, o comunque erronee.

    Che il comma 1 costituisca 'principio fondamentale per lo sviluppo economico' potra' essere affermato in senso generico, ma tradotto in termini di qualificazione giuridica risulta privo di ogni significato. Infatti, lo sviluppo economico non e' materia di potesta' legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni, e in quanto considerato come materia e' semmai materia residuale regionale. Non vi e' dunque alcuno specifico potere statale di dettare principi fondamentali.

    Ne' si vede quale possa essere il significato concreto della enunciazione secondo la quale il comma 1 'attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese'.

    Esso stabilisce - come gia' l'art. 41 Cost. - il principio della libera iniziativa economica, e lo tempera - sempre come l'art. 41

    Cost. - con la necessaria tutela di altri valori competitivi, gli stessi che l'art. 41 sintetizza nella tutela della utilita' sociale e della sicurezza, liberta' e dignita' umana, prescrivendo che anche a tal fine vi siano 'i programmi e i controlli opportuni'.

    Esso dunque descrive i criteri del bilanciamento tra la liberta' di impresa e le sue limitazioni, e non tutela la concorrenza piu' di quanto la tuteli qualunque altra regola alla quale tutte le imprese siano soggette.

    Da sempre le Regioni sono competenti, nelle proprie materie e secondo le regole di ciascuna, a porre limiti all'attivita' di impresa per la tutela dei valori enunciati al comma 1. Il comma 2 sarebbe dunque del tutto illegittimo ove con tale enunciazione volesse affermare la competenza esclusiva statale in materia.

    Ma che cio' non sia, risulta dallo stesso comma 1, che impegna le stesse Regioni ad adeguare il proprio ordinamento al principio in esso enunciato, cosi' direttamente riconoscendo la competenza del legislatore regionale.

    Il nucleo centrale della presente impugnazione ha comunque ad oggetto i meccanismi giuridici che, secondo il comma 3 dovrebbero garantire l'operativita' del comma 1.

    A termini del comma 3, primo periodo, 'sono in ogni caso soppresse, alla scadenza del termine di cui al comma 1' - cioe' decorso il termine di un anno - 'le disposizioni normative statali incompatibili con quanto disposto nel medesimo comma, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attivita' e dell'autocertificazione con controlli successivi'.

    Cosi' disponendo il comma 3, pur utilizzando il termine atecnico della soppressione introduce indubbiamente un meccanismo abrogativo, che tuttavia non e' in grado di funzionare, per le ragioni gia' sopra esposte. Infatti, nessun divieto o limitazione posta dalla legge e' puramente capriccioso, e tutti hanno necessariamente un fondamento in termini di tutela della sicurezza, liberta', dignita' umana, o sono destinati ad evitare un contrasto con l'utilita' sociale, o sono stati ritenuti indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale.

    Il problema e' piuttosto quello di trovare un corretto bilanciamento tra le diverse esigenze, ma cio' non puo' avvenire attraverso un meccanismo abrogativo che si limiti a confrontare un astratto principio di liberta' con i limiti che proteggono i valori contrapposti, ma deve essere operato in concreto, norma per norma, attraverso la specifica fissazione normativa di un nuovo equilibrio.

    Di difficile comprensione e' poi la previsione della sostituzione delle disposizioni 'soppresse' con i meccanismi della segnalazione di inizio di attivita' e dell'autocertificazione con controlli successivi: si tratta infatti di meccanismi (previsti dalla legislazione sul procedimento amministrativo) che, quando ne ricorrono i presupposti, sono gia' autoapplicativi e prevalenti sulle discipline di settore: mentre se non ne ricorrono i presupposti non si vede come essi potrebbero essere applicati.

    La disposizione risulta dunque illegittima per violazione del principio di ragionevolezza, dedotto dall'art. 3 Cost., del principio di buon andamento, di cui all'art. 97, primo comma, Cost., nonche' del principio di certezza del diritto, palesemente violato dalla assoluta incertezza sulla disciplina vigente che deriverebbe dalla applicazione del comma 3.

    Conviene precisare che la Regione ritiene di essere legittimata a far valere il vizio enunciato anche se il comma 3 si riferisce apparentemente alle sole disposizioni normative statali. Infatti, la legittimazione e lo stesso interesse della Regione verrebbero meno se si potesse intendere che il comma 3 e' destinato ad operare soltanto negli ambiti in cui non puo' intervenire la legislazione regionale, cioe'...

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