N. 133 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 - 17 novembre 2011

Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con delibere della Giunta regionale n. 833 del 3 ottobre 2011 e n. 962 del 9 novembre 2011, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora, domiciliato presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, via A. Mordini 14.

Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore (per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 4; 5-bis; 8, commi 1, 2 e 2-bis; 11; 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17 lett. a), 19, 20, 21 e 28, del decreto-legge n.

138/2011, cosi' come convertito dalla legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, per violazione degli artt. 3, 39, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 e 133 cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale collaborazione.

Sulla Gazzetta Ufficiale - serie generale n. 216 del 16 settembre 2011 e' stata pubblicata la legge 14 settembre 2011 n. 111 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto 2011 n.

138 recante Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.

La Regione con delibera della Giunta regionale n. 833/2011 ha deciso di impugnare gli artt. 3, comma 4; 5-bis; 8, commi 1, 2 e 2-bis; 11 e 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16 e 28, in quanto direttamente lesivi delle prerogative regionali costituzionalmente garantite.

Il Consiglio delle Autonomie locali della Toscana, istituito con l.r. n. 36 del 21 marzo 2000, con risoluzione del 3 novembre 2011 (doc. n. 1) ha avanzato - ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall'art. 9, comma secondo, della legge n. 131/2003 - al Presidente della Giunta regionale la proposta di impugnare alla Corte costituzionale l'art. 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, con analitiche e puntuali motivazioni che la Giunta regionale ha condiviso, come risulta dalla deliberazione n. 962/2011 che autorizza la proposizione del presente ricorso anche per i profili evidenziati dal predetto Consiglio. Cio' in quanto l'art. 16 citato prevede, in modo del tutto illegittimo ed illogico, come verra' dimostrato, forme associate obbligatorie per l'esercizio di tutte le funzioni ed i servizi con riferimento ai Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti, cosi' violando non solo le competenze regionali esclusive in materia di ordinamento degli enti locali e ledendo le prerogative regionali con riferimento alle funzioni amministrative spettanti alle Regioni nelle materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, ma ledendo anche l'autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali.

La Regione e' quindi sicuramente legittimata a proporre la presente impugnativa per la lesione diretta subita dalle norme contestate, ma lo e' anche per le incidenze che detta normativa ha sull'azione degli enti locali (si veda in tal senso la sentenza della Corte costituzionale n. 417/2005). Sotto questo profilo, infatti, l'art. 118 cost. attribuisce alla Regione il ruolo (insieme allo Stato) di 'allocatore' delle funzioni amministrative, per cui una norma che ponga vincoli incostituzionali all'esercizio delle funzioni degli enti locali incide illegittimamente su detto ruolo regionale, oltre che sul ruolo della Regione di rappresentante generale degli interessi della popolazione regionale. Piu' in particolare, poiche', in applicazione dell'art. 118 Cost., la Regione e' tenuta a trasferire agli enti locali le funzioni amministrative, restando titolare del potere di legislazione e programmazione, e' evidente che l'autonomia regionale e' collegata alla efficienza dell'amministrazione locale, restandone a sua volta condizionata.

Percio' ogni limite all'efficienza dell'amministrazione locale si riflette negativamente sull'attuazione delle politiche della Regione e quindi sulla sua autonomia.

Tanto Premesso, le disposizioni impugnate sono incostituzionali per i seguenti motivi di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, nella parte in cui prevede che l'adeguamento degli ordinamenti regionali al principio della liberalizzazione delle attivita' economiche costituisca elemento di valutazione della virtuosita' ex art. 20, comma 3, del d.l. 98/2011, per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4 e 119 Cost.

L'art. 3, comma 4 stabilisce che l'adeguamento delle Regioni al principio liberista previsto dallo stesso art. 3, comma 1, rappresenti un ulteriore parametro per la valutazione della c.d.

'virtuosita'' degli Enti territoriali, secondo il meccanismo introdotto per la prima volta dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 20, d.l. 98/2011, in base al quale - al fine di ripartire l'ammontare del concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012, tra gli enti del singolo livello di governo - i predetti enti sono ripartiti (con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari regionali e per la coesione territoriale, d'intesa con la Conferenza unificata) in quattro classi, sulla base di parametri di virtuosita' ivi stabiliti.

Secondo il citato art. 20 comma 3, in particolare, 'gli enti che, in esito a quanto previsto dal comma 2, risultano collocati nella classe piu' virtuosa, fermo l'obiettivo del comparto, non concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012, dal comma 5, nonche' dall'art. 14 del decreto-legge n. 78 del 2010. Gli enti locali di cui al primo periodo conseguono l'obiettivo strutturale realizzando un saldo finanziario pari a zero. Le regioni di cui al primo periodo conseguono un obiettivo pari a quello risultante dall'applicazione alle spese finali medie 2007-2009 della percentuale annua di riduzione stabilita per il calcolo dell'obiettivo 2011 dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.

133. Le spese finali medie di cui al periodo precedente sono quelle definite dall'articolo 1 commi 128 e 129 della legge 13 dicembre 2010, n. 220. Inoltre, il contributo dei predetti enti alla manovra per l'anno 2012 e' ridotto con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in modo tale che non derivino effetti negativi, in termini di indebitamento netto e fabbisogno, superiori a 200 milioni di euro'.

Ebbene, nel caso di specie, come detto, l'articolo 3 comma 4 prevede che l'adeguamento di Comuni, Province e Regioni al principio (stabilito al comma 1 della stesso articolo 3 del d.l. 138/2011) secondo cui 'l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge', costituisca elemento di valutazione della virtuosita' dei predetti enti: e' di tutta evidenza che il legislatore, con l'art. 3, comma 4 qui contestato, ha individuato, quale ulteriore parametro di virtuosita', un elemento del tutto estraneo alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica ed ha quindi esorbitato dai limiti che il legislatore statale incontra in tale materia. Infatti l'istituto della virtuosita', nato nell'ambito del contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, nel caso in esame diviene uno strumento di 'coartazione' della volonta' delle Regioni, che prescinde totalmente dalle finalita' di coordinamento della finanza pubblica. In altri termini, con la disposizione in oggetto si ha l'effetto di vincolare l'esercizio della potesta' legislativa regionale, in materia di competenza delle Regioni, per finalita' del tutto estranee all'obiettivo di contenimento della spesa, in tal modo realizzandosi una surrettizia ed inammissibile ingerenza dello Stato nella sfera delle attribuzioni legislative regionali, sia concorrenti che esclusive; cio' in violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119

Cost.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 bis nella parte in cui prevede che le maggiori possibilita' di spesa riconosciute ad alcune regioni del Sud (c.d. Regioni dell'obiettivo convergenza) siano compensate con maggiorazione degli oneri posti a carico di tutte le altre regioni, per violazione dell'art. 119, comma 3 e 5,

Cost.

L'art. 5-bis del d.l. 138/2011, introdotto con la legge di conversione, rubricato 'Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud' stabilisce che la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle cinque Regioni inserite nell'obiettivo convergenza (Basilicata,

Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione (ex fondi FAS), sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalita' strutturale, nonche' sulle risorse nazionali per la programmazione unitaria sulle risorse per la programmazione unitaria di cui all'art.

6-sexies del decreto-legge 112/2008 (inserito dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133), possa eccedere i limiti di spesa imposti dal Patto di stabilita' Interno (comma 1).

In conseguenza di cio', al successivo comma 2 dello stesso articolo, e' previsto che 'al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonche' le modalita' di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento'.

E' evidente che tale...

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