N. 124 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 - 21 ottobre 2011

Ricorso della Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale del 7 ottobre 2011, n. 2213, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dall'avv. prof. Ugo Mattei, dall'avv. Prof. Alberto Lucarelli e dall'Avv. Prof. Nicola Colaianni con domicilio eletto in Roma presso la Delegazione della Regione Puglia, via Barberini 36;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n.

12;

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt.

3 e 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011, per violazione:

dell'art. 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, della Costituzione;

dell'art. 118, primo e secondo comma, della Costituzione;

dell'art. 119 della Costituzione; dell'art. 41 della Costituzione; dell'art. 42 della Costituzione; dell'art. 43 della Costituzione;

degli artt. 1, 5, 75, 77, 114 della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati.

Con il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148 il legislatore statale ha introdotto alcune disposizioni che incidono sulle prerogative delle Regioni. In particolare, l'art. 3, rubricato 'Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche', impone agli enti locali di adeguare, entro un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, i rispettivi ordinamenti 'al principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge' in determinati casi, tra cui e' altresi' compreso il contrasto con i principi fondamentali della Costituzione.

Tale disciplina costringe anche la Regione Puglia ad adeguarsi al presunto nuovo 'principio fondamentale per lo sviluppo economico', ledendo la sua potesta' legislativa, che a norma dell'art. 117, comma primo, della Costituzione deve essere esercitata 'nel rispetto della Costituzione' e, quindi, nella specie, degli artt. 41, 42 e 43.

Altra norma che incide sulle prerogative regionali e' l'art. 4, che propone un 'Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa europea', come indicato in rubrica. Questa tuttavia si configura come palesemente menzognera sotto l'uno e l'altro profilo.

In effetti, la disciplina introdotta conferma l'impianto dell'art. 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 e successivamente abrogato tramite il referendum del 12-13 giugno 2011 coartando, in modo costituzionalmente illegittimo, il diritto dell'ente territoriale responsabile di erogare i proprio servizi e di gestire i propri beni a favore della propria comunita' e tradendo di fatto l'esito del suddetto referendum. Infatti, l'art. 4 d.l. n. 138/2011, forzando la liberalizzazione delle attivita' inerenti a servizi pubblici locali di rilevanza economica (cfr. co. 1) e marginalizzando le ipotesi di gestione diretta attraverso soggetti di diritto pubblico, detta una normativa del tutto difforme, nello spirito e nei contenuti, dalla volonta' popolare espressa a seguito della consultazione referendaria, nonche' dagli stessi principi costituzionali e comunitari.

Invero, tutt'al contrario delle dichiarate esigenze di adeguamento al diritto comunitario, questo - pur incentrato sulla tutela della concorrenza come metodo per garantire la pari opportunita' di accesso al mercato delle commesse pubbliche per tutti gli operatori europei - ammette pienamente il diritto di ogni amministrazione di erogare direttamente i servizi pubblici autoproducendoli corrispondentemente alla propria missione.

E' invece soltanto nel momento nel quale un'autorita' pubblica scelga di estemalizzare il servizio che il procedimento di affidamento deve rispettare i principi di non discriminazione, trasparenza, parita' di trattamento, libera circolazione di persone e imprese ed in particolare la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici.

Anche l'art. 4 del d. l. n. 138/2011 risulta, pertanto, lesivo delle competenze costituzionali delle Regioni nelle materie dei servizi pubblici e dell'organizzazione degli enti locali, che la Regione Puglia ha esercitato per esempio in materia di trasporto pubblico locale, con la legge regionale 31 ottobre 2002, n. 18, ed in materia di rifiuti urbani con la legge regionale del 31 dicembre 2009, n. 36 (nonche' in materia di servizio idrico integrato - la cui esclusione dal campo di applicazione dell'art. 4 e' l'unica innovazione del d.l. n. 138/2011 - con la 1.r. 20 giugno 2011, n.

11).

Di conseguenza, gli artt. 3 e 4 d. 1. n. 138/2011, incidendo in maniera consistente sulla sfera di competenza della Regione Puglia, violano direttamente gli artt. 114, 117 e 118 Cost.; inoltre, entrando in conflitto con gli artt. 1, 5, 75 e 77 Cost., essi determinano una compressione dei poteri della Regione stessa: nella quale si risolve, peraltro, il denunciato contrasto dell'art. 3 di.

cit. con le disposizioni contenute negli artt. 41, 42 e 43 Cost., ancorche' diverse da quelle attributive di competenza legislativa, che le Regioni possono nondimeno far valere 'se tale contrasto si risolva in una esclusione o limitazione dei potere regionali' (Corte cost. sent. 165/2007; ex multis cfr. anche Corte cost. sent. n.

50/2005, n. 32/1960, n. 961/1988). Sussiste, quindi, la legittimazione ad agire nel giudizio di cui all'art. 127 Cost.

Sull'illegittimita' dell'art. 3 d. 1. n. 138/2011.

L'art. 3 del d. 1. n. 138/2011 stabilisce che 'Comuni, provincie e Regioni, entro un anno dall'entrata in vigore della Legge di conversione del presente Decreto adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla Legge'. Segue un elenco tassativo di ipotesi esclusive in cui il legislatore ordinario puo' intervenire per 'espressamente vietare' l'attivita' economica. Fra questi, alla lettera b) compare il 'Contrasto con i principi fondamentali della Costituzione'.

Sebbene il riferimento espresso ad una futura modifica dell'art.

41 della Costituzione, presente nel testo originario del d.l. n.

138/2011 (una vera e propria 'confessione' della propria incostituzionalita' allo stato attuale), sia stato espunto dal Senato nel corso del procedimento di conversione dello stesso, il contenuto in contrasto con il suddetto art. 41 rimane del tutto invariato. La dottrina e' infatti unanime nel ritenere che le norme della c.d.

'costituzione economica' (artt. 41, 42 e 43) non sono parte dei 'principi fondamentali della Costituzione' ed in quanto tali dunque non sono presi in considerazione dall'art 3 del Decreto fra i casi tassativi che conferirebbero al legislatore ordinario il potere di limitare la liberta' di impresa.

In altre parole, gli enti locali dovranno adeguarsi ad una disciplina che implicitamente sovverte la rappresentazione costituzionale dell'iniziativa economica, introducendo un assetto decisamente sbilanciato a favore dell'iniziativa privata ed arrivando sino ad indicare quale regola l'assenza di limiti e quale unica eccezione l'applicazione dei principi fondamentali della Costituzione. Tale norma inadeguata e sproporzionata integra una abnormita' giuridica alla stregua della Costituzione come legge superiore e lede sommamente le prerogative regionali, le quali, adeguandosi al disposto dell'art. 3, promuoverebbero scelte costituzionalmente irrituali, rispettando una legge ordinaria ma violando norme portanti della Costituzione, che il legislatore consente di superare solo perche' non appartenenti ai principi fondamentali.

Cosi', l'ordinamento autonomo degli enti locali e' chiamato a modificarsi secondo un principio (piena liberta' dell'iniziativa economica) non fissato dalla Costituzione, in piena violazione dell'art. 114 co. 2 cost. che invece pone come limite ampio all'autonomia locale il rispetto dei 'principi della Costituzione', ossia tutto quel...

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