Il ricorso abusivo al credito. Reato del fallito?

AutoreNicolangelo Ghizzardi
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L’art. 218 L.F. punisce gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli amministratori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, “anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti”, dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza.

La norma, come è noto, è stata oggetto di modifica con l’art. 32 della L. 28 dicembre 2005 n. 262 che, però, non ha inciso sulla ratio della incriminazione da rinvenire, tuttora, nella esigenza di tutelare non solo il patrimonio del creditore concedente ma anche quello dei creditori antecedenti.

L’occultamento malizioso delle condizioni di crisi finanziaria, infatti, danneggia in primis il creditore concedente che è indotto ad accordare un credito che, ove a conoscenza della effettiva situazione economica, non avrebbe accordato o avrebbe accordato a condizioni diverse.

Danneggia, però, anche gli altri creditori che, per effetto del dissesto, nella migliore delle ipotesi, recupereranno solo in parte quanto ad essi dovuto, rimanendo assoggettati alla falcidia concorsuale.

Conseguentemente, può convenirsi sulla natura plurioffensiva del reato “perché pur essendo intento principale del legislatore quello di proteggere il patrimonio del creditore dal pericolo di inadempimento connesso allo stato di insolvenza del debitore, non sono estranei alla norma gli obiettivi di impedire, nell’interesse dei creditori concorsuali, che il dissesto venga aggravato da operazioni rovinose e di tutelare l’interesse generale alla regolarità e sicurezza del traffico giuridico (così Cass. 4 maggio 2004, n. 23796, Rv. 228906).

Il problema che, invece, la norma di rinnovato conio ripropone in termini di attualità attiene alla natura del reato, trattandosi di stabilire se il ricorso abusivo al credito sia da ritenere un reato proprio del fallito o, se per la integrazione della fattispecie, possa prescindersi dalla dichiarazione di fallimento.

Prima della modifica del 2005, la maggior parte della dottrina riteneva necessaria la declaratoria di fallimento facendo leva, soprattutto, su un forte argomento letterale rinvenibile nella collocazione della disposizione nel Capo dei “Reati commessi dal fallito”.

In giurisprudenza, invece, poteva considerarsi prevalente l’orientamento secondo il quale “Il reato di ricorso abusivo al credito, previsto dall’art. 218 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, non richiede, per la sua configurabilità, che il soggetto al quale esso viene...

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