Richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova: l'inammissibilità della richiesta tardiva ai processi pendenti non costituisce violazione delle norme costituzionali ed internazionali

AutoreMichele Pappone
Pagine25-28
317
giur
Rivista penale 4/2016
CORTE COSTITUZIONALE
RICHIESTA DI SOSPENSIONE
DEL PROCEDIMENTO
CON MESSA ALLA PROVA:
L’INAMMISSIBILITÀ
DELLA RICHIESTA TARDIVA
AI PROCESSI PENDENTI
NON COSTITUISCE
VIOLAZIONE DELLE NORME
COSTITUZIONALI
ED INTERNAZIONALI
di Michele Pappone
1. La legge n. 67/2014 (1) ha inserito nel nostro ordina-
mento, inter alios, l’istituto della sospensione del procedi-
mento con messa alla prova degli imputati maggiorenni (2).
La novella, in particolare, ha previsto le seguenti modif‌iche:
a) al codice penale, con l’introduzione delle disposizioni
penali sostanziali di cui agli artt. 168-bis, ter e quater c.p.;
b) al codice di procedura penale, con la previsione de-
gli artt. 464-bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, oc-
ties e novies c.p.p., nonché con la modif‌ica dell’art. 657-bis
c.p.p., inerente il computo del periodo di messa alla prova
in sede di esecuzione della pena.
c) alle norme di attuazione, di coordinamento e tran-
sitorie del codice di procedura penale, mediante l’intro-
duzione degli artt. 141-bis e ter ora previsti al Capo X-bis.
d) all’art. 3, lett. i-bis) del D.P.R. n. 313/2002 (“Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in ma-
teria di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni
amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi
pendenti”).
2. La ratio dell’istituto in esame risiede precipuamente
nella def‌lazione carceraria, alla luce delle varie prescri-
zioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
f‌issate in primis nella sentenza Torreggiani (3), laddove
i giudici di Strasburgo hanno affermato che, stante l’in-
violabilità del diritto di cui all’art. 3 della CEDU (4), è
compito dello Stato quello di «organizzare il suo sistema
penitenziario in modo tale che la dignità dei tenuti sia
rispettata». Scopo della novità legislativa in commento,
dunque, è quello di offrire agli imputati maggiorenni un
percorso di reinserimento alternativo, e di alleggerire,
conseguentemente, l’attuale contenzioso penale.
La messa alla prova si atteggia, orbene, dal punto di
vista sostanziale, come causa estintiva del reato – in caso
di esito positivo al termine della prova - e, dal punto di
vista processuale, come procedimento def‌lattivo del di-
battimento (5). L’istituto, difatti, trae origine dallo spe-
culare modello anglosassone del probation system (6),
differenziandosi da quest’ultimo in relazione al fatto che,
nell’ordinamento italiano, la prova non è misura alternati-
va, posteriore alla sentenza di condanna, bensì la precede,
intervenendo nel corso del processo, e tale da essere con-
siderata “probation processuale” (7). Pur condividendone
l’eff‌icacia sostanziale, nella sentenza in esame la Consulta
rimarca la dimensione processuale del nuovo istituto, in
quanto trattasi di un «procedimento speciale, alternati-
vo al giudizio», e pertanto esso resterebbe assoggettato
al principio “tempus regit actum”, valido, appunto, per le
norme processuali (8). Non sono mancate, tuttavia, singo-
lari pronunce di merito nelle quali è stato ritenuto lecito
applicare la sospensione del procedimento con messa alla
prova ai giudizi pendenti, anche laddove i termini di cui
all’art. 464-bis c.p.p. fossero già scaduti, aderendo alla tesi
della natura sostanziale dell’intero istituto (9).
3. La possibilità di essere ammessi alla sospensione del
procedimento con messa alla prova è subordinata, tutta-
via, alla sussistenza di precisi requisiti sostanziali, ogget-
tivi e soggettivi.
In primo luogo, il nuovo art. 168-bis c.p. prevede, in
particolare, che l’imputato possa domandare la sospensio-
ne del processo con messa alla prova nei procedimenti per
reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la
pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quat-
tro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecunia-
ria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo
La messa alla prova implica la prestazione di condotte
volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o peri-
colose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarci-
mento del danno dallo stesso cagionato. Comporta, altresì,
l’aff‌idamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svol-
gimento di un programma che può implicare, tra l’altro,
attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservan-
za di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale
o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di
movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
In relazione al limite soggettivo, esso è previsto dal
comma quinto dello stesso art. 168-bis c.p., e consiste nel
fatto che il richiedente non sia stato dichiarato delinquen-
te professionale, abituale o per tendenza.
Secondo la procedura delineata dall’art. 464-quater
c.p.p., il giudice, se non deve pronunciare declaratoria di
non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p., decide con ordi-
nanza nel corso della medesima udienza, sentite le parti e
la persona offesa.
4. Con riguardo alla richiesta di sospensione di cui su-
pra, essa può essere avanzata sia nel corso delle indagini

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