Revoca della patente di guida e misure di sicurezza non eseguite

AutoreSilvana Giambruno
CaricaRicercatrice Università di Palermo
Pagine913-915

Page 913

@1. L'art. 120 del codice della strada secondo l'interpretazione della Corte costituzionale

Com'è noto, l'art. 120 del codice della strada (D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285), nella sua originaria formulazione, negava, per difetto dei ´requisiti moraliª e in assenza di provvedimenti riabilitativi, la possibilità di rilascio della patente di guida, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, nonché a coloro i quali erano sottoposti o erano stati sottoposti a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione.

Intervenuta, per effetto del D.P.R. 19 aprile 1994, n. 575 (art. 5 comma 1), contenente il regolamento relativo alla disciplina dei procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida, una nuova versione del predetto articolo, il contenuto di esso è rimasto, purtuttavia, sostanzialmente immutato. La normativa innovatrice, infatti, configura una ipotesi di revoca obbligatoria del titolo già rilasciato, disponendo che il prefetto ´revocaª la patente di guida secondo lo schema tipico della revoca delle licenze di polizia amministrativa, laddove il titolare non sia in possesso dei ´requisiti moraliª.

Si continua, in tal modo, a considerare presupposto indispensabile per il rilascio del titolo di abilitazione alla guida il possesso degli stessi ´requisiti moraliª indicati nel vecchio art. 120.

Orbene, non può di certo escludersi che l'art. 120 del codice della strada costituisca espressione di quella tendenza secondo cui le norme in esso contenute debbano anche garantire, al di fuori del loro ambito specifico concernente, com'è ovvio, la disciplina della circolazione stradale, esigenze di ´pubblica sicurezzaª, tendenza che, peraltro, ha sempre impedito, nel nostro Paese, di scindere le vicende penali dell'interessato da quelle tipiche di un documento abilitativo alla guida di autoveicoli, in modo da bilanciare ogni ´sacrificioª imposto al titolare del documento stesso e l'effettivo interesse da tutelare. Cosa, questa che, poi, da tempo avviene nella maggioranza dei paesi dell'Unione europea.

In realtà, lo schema originario del testo regolamentare proposto per il parere del Consiglio di Stato, e poi divenuto il D.P.R. n. 575 del 1994, prevedeva l'eliminazione di ogni ipotesi di diniego della patente a chi fosse o fosse stato sottoposto a misure di sicurezza, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e ai condannati a pena detentiva non inferiore a tre anni, mirando, così, ad eliminare ogni incidenza delle vicende di natura penale concernenti l'interessato sul permesso di guida. Ma il Consiglio di Stato rilevò che l'eliminazione delle disposizioni riguardanti la previsione dei requisiti morali per il possesso della patente di guida ´si collocava al di fuori dell'area regolamentare (art. 2, comma 7, L. 24 dicembre 1993, n. 537), trattandosi di innovazioni sostanziali e non solamente procedimentaliª.

Lo stesso Consiglio di Stato evidenziò, inoltre, che sarebbe stato, comunque, inopportuno disattendere le esigenze di tutela delle ragioni di pubblica sicurezza.

Va detto, però, che nel corso degli ultimi anni l'art. 120, con una certa frequenza, è stato sottoposto all'attenzione della Corte costituzionale, che, in più di una occasione, per altro, ne ha affermato la illegittimità 1.

Il profilo di incostituzionalità rilevato dalla Corte è sempre lo stesso e riguarda il contrasto con l'art. 76 Cost., dal momento che il governo con l'art. 2 lett. t) della legge 13 giugno 1991, n. 190 era stato delegato ad adottare disposizioni aventi valore di legge intese a ´rivedere e riordinareª la legislazione vigente in materia di disciplina della circolazione stradale 2. In particolare era chiamato semplicemente a riesaminare la disciplina concernente la revoca della patente, identificando direttamente, quale base dell'attività normativa delegata, il codice della strada allora in vigore, senza la predisposizione di principi e criteri che giustificassero un intervento normativo di tipo innovativo.

E, d'altra parte, secondo la lett. t) dell'art. 2 della legge n. 190 del 1991 ora ricordata, il nuovo codice avrebbe dovuto essere informato alle esigenze di tutela della sicurezza stradale e si sarebbe dovuto adeguare alla normativa comunitaria e internazionale, nonché all'evoluzione tecnica e all'aumentata complessità del traffico.

Invece, secondo la Corte, al di fuori, appunto, di quanto previsto dall'art. 76 Cost. e, dunque, eccedendo la delega conferita dalla citata legge n. 190 del 1991, entro il cui ambito il governo avrebbe dovuto esercitare il potere normativo consentitogli...

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