Le restituzioni nella risoluzione del contratto per inadempimento

AutoreMatteo Ambrosoli
Pagine39-90
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rivista di diritto privato Saggi e pareri
1/2012
Le restituzioni nella risoluzione del contratto
per inadempimento
di Matteo Ambrosoli
SOMMARIO: I. La risoluzione del contratto: inquadramento ed eetti. – II. Le restituzio-
ni da risoluzione del contratto per inadempimento. – II.A. Identicazione delle norme
applicabili. – II.B. Restituzione di cosa determinata. – II.C. Restituzioni e prestazioni
di fare. – II.D. Frutti, interessi, rivalutazione, miglioramenti ed addizioni. – II.D.1.
Frutti ed interessi. – II.D.2. Obbligazioni pecuniarie e rivalutazione. – II.D.3. Spese e
miglioramenti. – III. Il coordinamento tra le restituzioni e la disciplina risarcitoria. –
IV. Risoluzione e arricchimenti. – V. Il mutuo dissenso. Le domande risolutorie recipro-
che ed infondate. – VI. Patti sulle restituzioni. – VII. Conclusioni. – Bibliograa.
I. La risoluzione del contratto: inquadramento ed eetti
A1:
«La risoluzione del contratto per inadempimento tende a ricollocare le parti nella condizione
in cui si trovavano anteriormente alla stipulazione del contratto (regola di retroattività): caduto
il contratto, i movimenti economico-giuridici che esso ha prodotto si trovano privi (ex post ma
retroattivamente) di titolo; essi, quindi, in via logica, dovrebbero essere trattati come prestazioni
rese sine titulo.
In realtà, si rinvengono diversi proli di deviazione dalla semplice regola della retroattività
della risoluzione e, pertanto, per plurimi aspetti il contratto mantiene rilevanza nonostante sia
stato risolto. E questo anche con riguardo alle obbligazioni restitutorie».
In caso di inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, il contra-
ente fedele può scegliere, secondo quanto dispone l’art. 1453 c.c., se insistere nella
propria pretesa dell’adempimento o domandare la risoluzione del contratto, salvo in
ogni caso il diritto al risarcimento del danno2. Si ritiene che, accanto a questi rimedi,
si debba collocare ulteriormente l’azione di riduzione, che il legislatore disciplina
specicamente in tema di vendita3.
1 Ogni paragrafo è preceduto da un breve abstract, nel quale si sintetizzano le principali questioni arontate.
2 «La dichiarazione, o la domanda giudiziale, di risoluzione implica la rinuncia allo scambio delle prestazioni ma
non la rinuncia al lucro che il contratto autorizzava a sperare» (R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, in P. Resci-
gno (dir.), Trattato di diritto privato, vol. 10, III ed., Torino, 2002, pag. 652).
3 P. Gallo, Trattato del contratto, 3, I rimedi. La ducia. L’apparenza, Torino, 2010, pag. 2200.
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Ognuna di queste scelte richiede il concorso di qualche elemento ulteriore e,
quindi, non può essere operata in via assolutamente generalizzata: per semplicità di
ragionamento, però, supponiamo di essere in presenza di un contratto a prestazioni
corrispettive in cui uno dei contraenti si sia reso inadempiente e che tale inadempi-
mento sia da considerare grave ai sensi dell’art. 1455 c.c.; in tale contesto, il contra-
ente fedele ha la possibilità di domandare la risoluzione del contratto: se ci chiedia-
mo quale sia la ragione per cui egli debba eettuare una tale scelta, preferendola
rispetto ad altre eventualmente possibili, troviamo immediatamente come la rispo-
sta non possa essere unitaria. Così, se il contraente fedele non ha ancora adempiuto
la propria prestazione, egli avrà verosimilmente il desiderio di liberarsi dalla propria
obbligazione, per non correre il rischio di dover adempiere per poi faticare ad otte-
nere un adempimento coattivo o dover inseguire (con un’azione risarcitoria o di ri-
duzione del prezzo) un riequilibrio coattivo del rapporto (ove la controprestazione
sia eseguita inesattamente); vero anche che egli potrebbe cautelarsi con un’eccezione
di inadempimento, è però facile notare come il senso del contratto poggi su un cli-
ma di ducia reciproca, che l’inadempimento di una parte può irreparabilmente
pregiudicare, sicché il contraente fedele nisca per preferire liberarsi dal rapporto
per tentare una nuova operazione contrattuale con una controparte più adabile.
Per converso, se il contraente fedele avesse già adempiuto, egli potrebbe desiderare
di riottenere la risorsa economica della quale abbia disposto con il contratto, anziché
inseguire la controprestazione mancata o un riequilibrio dei rapporti per il mezzo
delle azioni risarcitoria o di riduzione.
Dunque, la risoluzione del contratto sembra tendere, sulla base di quanto appena
esposto, a ricondurre le parti nella condizione in cui si trovavano anteriormente alla
stipulazione del contratto rimasto inadempiuto, consentendo la liberazione dalle
obbligazioni non ancora adempiute ed il recupero di quanto prestato in esecuzione
del contratto. In questo senso si esprime chiaramente l’art. 1458 c.c., secondo cui la
risoluzione ha eetto retroattivo tra le parti4.
Il rimedio risolutorio ha quindi un signicato specico nella nalizzazione alla
ricostituzione dello status quo ante: come si vedrà, questo apre il problema di valuta-
re la possibilità del suo utilizzo anche nei casi in cui il ne enunciato sia irraggiun-
4 Sul tema della retroattività in generale, v. G. Tatarano, Retroattività (dir. priv.), in Enc. del Dir., XL, Milano,
1989, pagg. 83 ss. La retroattività di un evento dovrebbe comportare che esso si consideri come prodotto in
un momento anteriore rispetto a quello di sua vericazione naturalistica; conseguentemente, sul piano
giuridico, dovranno attuarsi le modiche necessarie anché la realtà (giuridica) divenga «il più possibile
corrispondente a quella che sussisterebbe se gli eetti collegati a quell’evento si fossero vericati n da un momen-
to anteriore. (…) Di sicuro si tratta di un risultato che va oltre la nzione e segna una modica della realtà: re-
altà giuridica, si intende, che è cosa diversa, ed eventualmente non coincidente, con la realtà naturale. Ma il li-
mite è dato dalla irreversibilità delle situazioni di fatto, che conseguono all’attuazione di certi eetti giuridici:
factum infectum eri nequit».
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gibile in senso naturalistico (ad esempio perché una prestazione sia stata già consu-
mata, con la conseguenza che la posizione originaria delle parti possa essere ricreata
solo “per equivalente” e non nella sua specicità).
Peraltro, è importante rilevare come l’obiettivo indicato venga perseguito dal le-
gislatore con strategie disomogenee5:
a) la risoluzione determina automaticamente la liberazione dall’obbligo di eseguire
le prestazioni non ancora adempiute;
b) essa determina, in modo del pari automatico, il riacquisto in capo all’alienante
della titolarità del bene venduto6: la contrapposizione tra titulus e modus adqui-
rendi e la valorizzazione, al ne del trasferimento della proprietà, del solo titulus
(quale si è attuata, in via di evoluzione storica, nei sistemi francese ed italiano,
che hanno così abbracciato in senso pregnante il principio consensualistico),
comporta, infatti, quale conseguenza, che la risoluzione del contratto faccia sì
che il diritto si consideri come mai trasferito;
c) essa priva di giusticazione le ulteriori prestazioni già eseguite: la loro restituzio-
ne, però, ove non venga attuata spontaneamente, richiede un’apposita domanda
giudiziale e, quindi, non trova un titolo (giudiziale) suciente nella sentenza di
risoluzione del contratto7.
L’automatismo del riacquisto del diritto in capo al disponente fa sorgere il pro-
blema, sul quale si tornerà nel seguito, di stabilire se egli possa riottenere la disponi-
bilità materiale del bene (il possesso immediato) anche invocando, quale titolo legit-
timante, la posizione proprietaria, oltre che la legittimazione derivante dalla
risoluzione del contratto.
La funzione del rimedio risolutorio, identicata nella ricostituzione dello status
quo ante come conseguenza della turbativa rappresentata dall’inadempimento im-
5 Si può ricordare come, in caso di violazione del contratto, la protezione del contraente fedele, diretta a fargli
riottenere quanto da lui impegnato nell’operazione economica non riuscita, possa attuarsi anche con strate-
gie diverse rispetto a quella della risoluzione con ecacia retroattiva: attingendo alla materia societaria,
possono ricordarsi il recesso e l’esclusione quali forme di reazione che realizzano la tutela della parte senza
ecacia retroattiva, ma pur sempre facendo conseguire alla parte che esce dal rapporto la riattribuzione
delle risorse in esso impegnate.
6 E. Bargelli, Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, pag. 11; G. Tatarano, Retroattività (dir. priv.), in Enc. del
Dir., XL, Milano, 1989, pag. 90. Il carattere automatico del riacquisto viene anche indicato con l’espressio-
ne di “retroattività reale”.
7 La risoluzione è il fatto dal quale sorgono le obbligazioni restitutorie; rispetto a questa regola, il giudice non
ha la possibilità di introdurre discipline diverse: «con la sentenza di risoluzione di un contratto e di condanna
alla restituzione del bene che ne aveva costituito oggetto, il giudice non può ssare un termine per la consegna del
bene in quanto una tale previsione si traduce nell’illegittimo dierimento della provvisoria esecutività della sen-
tenza in relazione al capo di condanna alle restituzioni. (Nella specie, il giudice di merito aveva dichiarato risol-
to un contratto preliminare di compravendita di un immobile e condannato alla restituzione dello stesso entro sei
mesi dal passaggio in giudicato della sentenza)» (Cass., 7 maggio 1999, n. 4604, in Juris Data DVD).

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