Restituzione delle cose sequestrate e controversia sulla proprietà

AutoreAndrea Laurino
Pagine371-373

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@1. Premessa

Il procedimento per la restituzione delle cose sottoposte a sequestro penale, come è noto, è previsto dall'art. 263 c.p.p.

In tale sede si intendono prendere in esame alcuni problemi, di varia natura, relativi all'interpretazione dell'articolo indicato, nella parte in cui si occupa dei casi in cui sorgono problemi o dubbi circa la proprietà dei beni sequestrati, e quindi non sia subito chiaro a favore di chi debba essere pronunciato provvedimento di restituzione.

La norma, che prevede alcune soluzioni che si prestano a notevoli ambiguità, allude a tali problematiche sia nel primo comma («se non vi è dubbio sulla loro appartenenza»), sia nel secondo (è il caso del sequestro presso un terzo), sia nel terzo (controversia sulla proprietà).

L'analisi verrà dapprima condotta dalla prospettiva del giudice, per poi verificare se le stesse regole valgono anche per il pubblico ministero, organo pure chiamato ad intervenire nel procedimento di restituzione ai sensi del comma 4 dell'art. 263 c.p.p., per lo meno «in prima battuta», nel corso delle indagini preliminari.

@2. Il sequestro presso un terzo

Conviene partire, dall'analisi, dal disposto del secondo comma dell'art. 263 c.p.p., che regola il caso del sequestro «presso un terzo».

Il sostantivo «terzo» utilizzato dal legislatore va strettamente collegato con il pronome «altri», pure contenuto nel comma in esame.

La nozione di «terzo» va quindi riferita a persona diversa rispetto a colui a favore del quale viene disposta la restituzione. Pertanto terzo può essere lo stesso indagato/imputato.

Si consideri la seguente fattispecie, frequente nella pratica: Tizio, negoziante, vende un oggetto a Caio, che paga con assegno rubato o ricettato e falsificato (truffa e quant'altro). Presso Caio, indagato, viene rinvenuto e sequestrato, quale corpo del reato, il bene oggetto di scambio. Tizio, persona offesa, richiederà la restituzione della cosa, e pertanto rispetto a questo esempio «terzo» sarà proprio Caio, cioè l'indagato.

Il comma che si commenta ipotizza cioè una situazione secondo cui il sequestro è effettuato presso la persona X (indagato o meno), mentre l'istanza di restituzione proviene da soggetto diverso da X. In tutti questi casi, scatta il meccanismo previsto dal comma 2, e pertanto il giudice non può disporre de plano la restituzione, viceversa è obbligato a fissare una udienza in camera di consiglio con le forme di cui all'art. 127 c.p.p., nel corso della quale dovrà essere «sentita» la persona presso la quale era stato effettuato il sequestro 1.

Lo scopo è chiaro: secondo la legge, la situazione che si analizza è di per sè sospetta, e deve quindi presumersi un dubbio sulla appartenenza della cosa in sequestro. Dubbio che potrà essere chiarito, appunto, soltanto sentendo le ragioni che avrà da addurre il terzo.

All'udienza potrebbe sorgere una controversia sulla proprietà: a questo punto, diventa inevitabile l'applicazione del comma 3 dell'art. 263 c.p.p., che subito si andrà ad analizzare.

@3. La controversia sulla proprietà

Ai sensi del comma 3 dell'art. 263 c.p.p., in caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la soluzione al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro.

La regola in commento presenta vari problemi interpretativi.

Innanzitutto, bisogna chiedersi quando la stessa si applica.

È da ritenersi, come appena visto, che possa trovare in primis applicazione in sede di udienza fissata ai sensi del comma 2, e ciò si ricava dalla mera collocazione di questa regola all'interno dell'art. 263 c.p.p., subito successiva a quella che disciplina il caso del sequestro presso un terzo.

Ma verosimilmente la stessa regola (rimessione al giudice civile) potrà applicarsi in tutti i casi in cui già dagli incartamenti a disposizione del giudice emerga la potenzialità 2 di una controversia sulla proprietà, senza che sia necessario in questo caso fissare apposita camera di consiglio: si pensi al caso in cui agli atti vi sia già presente una dichiarazione o una «memoria» dell'imputato che sostiene di essere proprietario della cosa, fornendo un principio di prova, o argomentazioni in diritto, e contemporaneamente «altri» richieda la restituzione adducendo anch'egli principi di prova o opposte argomentazioni in diritto. Il giudice allora non dovrà far altro che «rigettare» l'istanza di restituzione, senz'altro «rimettendo la risoluzione al giudice civile» 3.

Proprio quest'ultima locuzione presenta forse le maggiori ambiguità.

Rimandando per l'analisi di tale problema al successivo § 4, va invece in questa sede presa in esame la possibilità, da parte del giudice penale, di procedere ad un preliminare accertamento circa la serietà della controversia civile prospettata da uno degli interessati.

A fronte di un prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale contrario, secondo il quale si tratta di una ipotesi di «rimessione obbligatoria», non essendo consentito al giudice penale alcun accertamento incidenter tantum 4, si segnala la decisione di un giudice di merito 5, in cui si afferma che, ove si subordini il provvedimento di rimessione ad una mera contestazione sulla proprietà che non si accompagni alla prospettazione di un diverso titolo di...

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