Tutela risarcitoria e restitutio in integrum come strumenti di difesa in caso dl attentati all'integrità lato sensu del bene immobile

AutoreAlberto Celeste
Pagine137-142

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@1. I rimedi esperibili

Si presenta alquanto delicata la problematica concernente la tutela risarcitoria nell'ambito delle azioni a difesa della proprietà immobiliare.

Tradizionalmente, in giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. 9 luglio 1976, n. 2593, in Giust. civ. 1976, 1, 1597), si è affermato che i mezzi di difesa esperibili dal proprietario del bene, a tutela del suo diritto di proprietà sul bene stesso, non si restringono alle sole azioni reali, ma ricomprendono, tra l'altro, l'azione personale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.; il ricorso all'uno o all'altro di tali mezzi si ricollega alla natura della lesione che si assume recata al diritto di proprietà: infatti, se la lesione riguarda i poteri e le facoltà inerenti alla titolarità del diritto dominicale, deriva cioè dalla violazione di una «norma di attribuzione», l'azione di tutela è un'azione reale, mentre se, invece, la lesione riflette l'integrità dell'oggetto del diritto di proprietà, consegue cioè alla violazione di una «norma di conservazione», il mezzo di tutela è l'azione personale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. esperibile nei confronti dell'autore del fatto illecito (in pratica, l'individuazione dell'azione fatta valere in giudizio dipende dalla natura del diritto nato dalla lesione e che si tende a fare affermare in giudizio).

Sempre in termini generali, secondo un'impostazione dottrinale, occorre distinguere tra lesione del diritto e danno (v. SCOGNAMIGLIO, Il risarcimento del danno in forma specifica, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1957, 201); di fronte ad un'attività lesiva di un diritto reale, il titolare del diritto leso può esperire quei rimedi restitutori o reintegratori idonei ad eliminare lo stato di cose antigiuridico - per esempio, nell'azione di cui all'art. 948 c.c., il proprietario spogliato può rivendicare la cosa da altri detenuta - e ciò prescindendo dalla causazione o meno di un danno, e, quindi, dalla sua risarcibilità; qualora sia ravvisabile in concreto un danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., danno pur sempre riconducibile allo stesso fatto illecito lesivo del diritto reale, il danneggiato, oltre all'azione di natura reale, potrebbe esperire gli opportuni rimedi risarcitori.

Di fatto, l'esperienza registra, con una certa frequenza, la coincidenza tra evento lesivo e danno, sicché è possibile una sovrapposizione di strumenti reintegratori e risarcitori, che è causa di numerosi equivoci in giurisprudenza (v. Cass. 28 aprile 1986, n. 2935, in Giur. it. 1987, I, 1, 487); peraltro, vi sono norme del codice civile che attribuiscono espressamente al soggetto titolare del diritto reale, l'azione ripristinatoria «accanto» a quella risarcitoria, come, ad esempio, l'art. 872, secondo comma, in tema di violazione delle distanze legali, l'art. 949 in ordine all'azione negatoria, l'art. 1079 circa la tutela dell'esercizio della servitù.

Tuttavia, la distinzione tra rimedi ripristinatori e risarcitori va mantenuta anche quando tra i secondi viene invocato il «risarcimento (del danno) in forma specifica» di cui all'art. 2058 c.c. (per utili riferimenti in ordine all'ambito di applicazione del disposto dell'art. 2058 c.c., v. Cass., 13 novembre 1997, n. 11227, in questa Rivista 1998, 206; Cass., 29 maggio 1995, n. 6035, in Arch. civ. 1996, 402; Cass. 22 maggio 1985, n. 256, in questa Rivista 1985, 487); quest'ultimo strumento di tutela deve pur sempre essere circoscritto nell'ambito risarcitorio, per una serie di motivi che non si è mancato di individuare: a) innanzitutto, l'elemento sistematico: la norma in esame si colloca tra le norme che disciplinano la responsabilità per danni, c.d. aquiliana; b) la rubrica dell'art. 2058 parla, poi, di «risarcimento», e, in particolare, il secondo comma conferisce al giudice la possibilità di disporre che «il risarcimento avvenga solo per equivalente», presupponendo quindi che quello del primo comma è pur sempre risarcimento; c) infine, l'argomento storico-comparativistico propende per ricondurre nel genus del risarcimento del danno entrambe le forme di tutela delineate dai due commi del disposto in oggetto (tra le pronunce di legittimità si segnalano, Cass., 22 gennaio 1985, n. 256, in Giur. it. 1986, I, 1, 129, e Cass., 6 febbraio 1958, n. 235, in Giust. civ. 1958, I, 434; in dottrina, v., tra gli altri, SALVI, voce Risarcimento, in Enc. dir., Milano 1989, vol. XL, 1092, e MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino 1985, 163).

In questa prospettiva, vanno tenute nettamente distinte, da una parte, le azioni reali, volte alla restitutio in integrum invocata dall'attore a tutela del suo diritto di proprietà, e, dall'altra parte, le azioni risarcitorie, diretta alla riparazione del danno subito, sia nella forma specifica, che in quella dell'equivalente pecuniario.

Orbene, se il risarcimento del danno per equivalente non può sostituire la reintegra, perché, altrimenti, il titolare del diritto reale otterrebbe una pronuncia che gli riconoscerebbe soltanto un diritto di credito in luogo del diritto reale originario, nulla esclude che, qualora un danno si verifichi e sussistano i presupposti legali, il giudice adito con l'azione reale possa emettere anche in via accessoria una condanna dell'autore dell'illecito al risarcimento del danno, in aggiunta alla reintegra del diritto reale.

In altri termini, la semplice lesione del diritto reale può legittimare esclusivamente una tutela ripristinatoria, tuttavia, se si verifica in concreto l'esistenza di un danno e le condizioni per il suo risarcimento, alla predetta tutela si aggiunge quella risarcitoria, nelle due forme di cui sopra; quindi, ad eccezione dell'ipotesi in cui sia materialmente impossibile la rimessione in pristino - ad esempio, per perimento dell'oggetto di tutela - il risarcimento del danno per equivalente può essere disposto, non in luogo della reintegra, ma solo come sanzione da abbinare all'ordine di rimessione in pristino.

Il fatto è che, a parte la differenziazione dogmatica dei due concetti, sembra che il titolare del diritto reale possa trovare identica soddisfazione ricorrendo al rimedio del risarcimento in forma specifica, che pur sempre tende a ripristinare, a spese del danneggiante, lo status quo ante, sicché si potrebbe opinare una certa interscambiabilità tra azione reale e risarcimento in natura; invero, pur riconoscendo una diversità formale e strutturale tra i due rimedi, secondo una parte della giurisprudenza (v., tra le altre, Cass., 16 marzo 1988, n. 2472, in Giur. it. 1989, I, 1, 510, Page 138 con nota di NIVARRA), vi è una certa equivalenza funzionale, il che porterebbe a ritenere che la tutela risarcitoria in forma specifica sarebbe esperibile in via residuale e sussidiaria, ossia qualora la situazione concreta non consenta di ricorrere alla tutela reale (ad esempio, per lo spirare di eventuali termini perentori per la restitutio in integrum), ma così il risarcimento in forma specifica contemplato dall'art. 2058 c.c. verrebbe ad assumere una configurazione diversa, staccandosi dalla tutela risarcitoria classica, per arrivare a rappresentare, unitamente agli strumenti di tutela propri delle azioni reali, un nuovo strumento per così dire reintegratorio, cioè teso a ripristinare in natura la situazione che era stata modificata, in modo reversibile, dal fatto antigiuridico (sul versante dottrinale, v. CECCHERINI, Risarcimento e riparazione in forma specifica, in Foro it. 1990, I, 239).

Si replica, sul punto, che, quando si verte in tema di azioni di risarcimento del danno in forma specifica, si è fuori dal campo dei diritti reali, in quanto vengono in considerazione unicamente le conseguenze economiche dell'illecito: se è vero che la ricostituzione nel patrimonio del danneggiato di una situazione corrispondente a quella anteriore al verificarsi del pregiudizio, elimina anche l'antigiuridicità e ripristina il diritto violato, ciò, tuttavia, costituisce una conseguenza soltanto indiretta della riparazione del danno (nel senso di tracciare le chiare linee di confine tra le suddette figure, giungendo a delegittimare, seppur non espressamente, automatiche trasposizioni dall'uno all'altro mezzo di tutela, v. Cass., 24 febbraio 1992, n. 2255, in Giur. it. 1992, I, 1, 2147, con nota di CHINÈ).

@2. Le azioni petitorie

Va ricordato che l'azione di rivendicazione - così come prevista dal nostro ordinamento - ha una duplice...

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