La responsabilità del tutor impuberum: una lunga storia letteraria

AutoreAnna Paola Schilardi
Pagine83-114
CAPITOLO TERZO
LA RESPONSABILITÀ
DEL TUTOR IMPUBERUM:
UNA LUNGA STORIA LETTERARIA
S: 1. La disciplina classica della responsabilità tutoria: l’ operatività della cul-
pa. 2. Un opposto orientamento: actio tutelae e dolo 3. I tentativi di soluzione in-
termedia. 4. Un nuovo indirizzo.
1. La disciplina classica della responsabilità tutoria:
l’operatività della culpa
La ricchezza e concludenza del materiale documentario fanno della mate-
ria tutelare un campo di indagine di particolare interesse nel quadro genera-
le della tematica della responsabilità contrattuale, nei suoi sviluppi dal diritto
classico alla compilazione giustinianea. Per tale ragione l’argomento è stato
oggetto di attenzione da parte degli studiosi, impegnati in modo tutt’altro che
univoco ad arontare il problema di fondo in ordine ai limiti e alla misura
della responsabilità del tutore degli impuberi, attraverso la ricostruzione della
disciplina dell’actio tutelae nel suo svolgimento storico, dalletà classica a quella
postclassica e giustinianea.
In termini generali la dottrina più recente, limitandosi ad arontare la pro-
blematica della responsabilità nella tutela delletà – ed in particolare, per quel
che ci interessa, nel iudicium tutelae – con particolare, se non esclusivo rife-
rimento alla misura di responsabilità cui incorre il tutore nella gestione delle
cose pupillari, ossia ai criteri di imputazione o di attribuzione della stessa, sem-
bra ritenere quasi concordemente che nello sviluppo storico del regime giuri-
dico dell’actio tutelae, il punto di partenza vada individuato nel dolo e quello di
arrivo anche nella culpa, specicamente nella culpa in concreto.
Appare invece controversa in tale dottrina la questione in ordine ad una
più precisa determinazione cronologica, ossia specicamente se la valutazione
di tale responsabilità anche sotto il prolo subbiettivo della culpa risalga già
al diritto classico o se per questa età non debba venir limitata al dolo, sia pure
inteso nel senso più largo.
84 Studi sulla tutela impuberum
Posizione del tutto diorme, rispetto ad una letteratura unanimemente
orientata a valutare in termini soggettivi la responsabilità in materia tutelare,
è quella del De Robertis secondo cui, numerosi spunti, a suo avviso del tutto
trascurati o fraintesi, quali per il diritto classico i frequentissimi richiami al
periculum tutoris e al gioco che vi si ricollega delle cause di esonero da respon-
sabilità obbiettiva, nonché, per il diritto della Compilazione, la ricorrenza del
binomio “culpa-diligentia quam suis” (attraverso cui in D.27.3.1pr. appaiono
ssati i limiti della responsabilità del tutore) consentono di delineare un qua-
dro del tutto diverso.
Responsabilità obbiettiva, sulla base dell’imputazione del danno ratione pe-
riculi e responsabilità subbiettiva fondata sulla culpa costituiscono, secondo lo
studioso, i termini iniziale e nale entro i quali va ricostruito lo sviluppo sto-
rico della tematica, dal diritto classico a quello giustinianeo: termine dialettico
medio, invece, la presunzione di colpa, nella quale va individuata la base della
prima disciplina postclassica.
Sono queste genericamente le linee fondamentali attraverso cui si svolge il
dibattito dottrinale sul tema della responsabilità del tutor impuberum per gli
atti di gestione del patrimonio pupillare190
Ma se lo stato delle cose nel diritto giustinianeo non sembra orire agli
studiosi serie dicoltà ricostruttive – in quanto risulta chiaro dalle fonti che
il tutor impuberum è dichiarato responsabile no al limite della colpa lieve ed
è pertanto esonerato solo dalle perdite per caso fortuito191 – gravemente di-
190 È noto che la questione di responsabilità, anche per il periodo classico, non si pone che per
il tutor impuberis, stante l’esclusione del tutor mulieris da ogni ingerenza amministrativa. Man-
cano infatti nelle fonti attestazioni relative all’applicazione dell’actio tutelae nella tutela muliebre,
in cui i poteri del tutore si limitavano alla prestazione dellauctoritas, senza mai estendersi – ne-
anche come elemento accidentale della fattispecie – all’amministrazione del patrimonio. Ove il
tutore procedesse a tale amministrazione, i rapporti con la donna erano regolati infatti sulla
base del mandato o della gestione di affari. Si cfr. sul punto l’esplicita attestazione gaiana in Gai.
1.190-191: “mulieres enimipsae sibi negotia tractantunde cum tutore nullum ex tutela iudi-
cium mulieri datur”.
191 Alla generale e ripetuta dichiarazione delle fonti che il tutor impuberum risponde sino al
limite della colpa lieve, si deve tuttavia aggiungere, si afferma, l’attenuazione della culpa in con-
creto, in virtù della quale il tutore non è obbligato sempre a portare nella gestione delle cose
pupillari la diligenza del bonus pater familias, non è responsabile sempre della culpa levis (la
cosiddetta culpa in abstracto), ma è obbligato ad amministrare con la diligentia quam suis rebus
adhibet. Questa mitigazione, tesa ad eliminare spesso la responsabilità per culpa levis , risulta da
diversi frammenti del Digesto (D.26.7.33; D.26.7.57pr. D.27.3.1pr.) e da una Novella di Giusti-
niano (Nov. 72, cap.8), e pertanto nelle leggi che parlano di culpa levis tale limite deve essere
sottointeso. In realtà per correttezza di ricerca si deve qui sinteticamente ricordare che, anche in
ordine alla valutazione della responsabilità del tutor impuberum nel diritto giustinianeo, si rin-
vengono orientamenti dottrinari non del tutto divergenti. Più precisamente, concordi nel rico-
noscere l’operatività nel diritto della Compilazione di criteri subbiettivi di imputazione della
condotta del tutore, gli studiosi attribuiscono una diversa valenza ai richiami del criterio della
diligentia quam suis, sicuramente assunto nel sistema della Compilazione a fondamento della
responsabilità del tutore. La dottrina dominante ritiene di individuare nella diligentia quam suis
il criterio di base, introdotto ex novo da Giustiniano, in sostituzione della diligentia diligentis
patris familias – a cui si sarebbe fatto capo per l’età anteriore – allo scopo di rendere meno seve-
ra la responsabilità del tutore. Così G.C. H, Die culpa des römische Recht, Kiel, 1815, 171s.;
L. L, Studi sulla responsabilità per custodia secondo il diritto romano, II, Parma, 1903,
99ss.; (rimando, per l’antica dottrina, all’ampia bibliografia citata dall’autore); W. K, Dili-
gentia, in ZSS, XLV, 1925, 301ss.; P. B, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia,
Capitolo terzo – La responsabilità del tutor impuberum: una lunga storia letteraria 85
sputata in letteratura è invece la misura della responsabilità del tutore nell’età
classica.
Con specico riferimento all’epoca classica, infatti, la ricostruzione del
quadro giuridico suole essere impostata dagli studiosi sul problema di fondo
in ordine alla classicità o meno dei richiami alla culpa e alla diligentia nei testi
della Compilazione in materia tutelare. In tal senso si possono riscontrare in
letteratura due opposte linee ricostruttive, l’una, più antica, incline ad esten-
dere la responsabilità del tutore nel iudicium tutelae sino al limite della culpa,
ed un’altra, più recente, in cui prevalente appare la tendenza a limitare al dolo
la misura della responsabilità del tutor e conseguentemente a considerare di
origine postclassica o giustinianea la sua estensione sino alla culpa.
Con riguardo al primo orientamento, per la dottrina più risalente l’Hasse
così come il Glück aermano che il tutore – tenuto ad amministrare il patri-
monio del pupillo con diligenza e coscienza così come ogni buon amministra-
tore ed ogni diligente padre di famiglia fa nell’amministrazione delle proprie
cose – risponde sino al limite della culpa, lata o levis, qualora, non adoperando
la diligenza richiesta, arrechi un danno o per un suo fatto positivo (culpa in
Milano, 1925, rist., 1963, 623s; V. A R, Responsabilità contrattuale in diritto romano,
Napoli, 1927, 59ss. e 203-204; J. V, Un esempio dello svolgimento dottrinale classico: la re-
sponsabilità del tutore, cit., 530; P. V, “Diligentia”, “Custodia”, “Culpa”, in SDHI, 56, 1990, 103.
A fondamento di tale posizione si suole innanzitutto richiamare la trasformazione della tutela da
funzione potestativa in ufficio obbligatorio; si muove poi dal presupposto che la culpa in concre-
to sia da considerare come una forma attenuata di responsabilità rispetto alla culpa in abstracto,
che operava predisponendo, con la possibilità di richiamo alla propria negligenza abituale, un
motivo di scusa per il tutore negligente, quasi che, di fronte alla prova fornita dal pupillo della
culpa tutoris, quest’ultimo potesse scagionarsene ed evitare la condanna, adducendo di aver
impiegato nell’amministrazione del patrimonio pupillare la stessa diligenza che soleva impiega-
re negli affari propri. Diversamente dall’opinione che nel diritto giustinianeo il tutore rispondes-
se della diligentia quam suis C. F, Il buon padre di famiglia nella teoria della colpa, in Atti
della R. Accademia di Scienze della Società Reale di Napoli, 1901, e L.S, La culpa in con-
creto nel diritto romano e nel diritto odierno, Torino, 1914, 14ss., sostenevano che il tutore (sol-
tanto lui, applicandosi, invece, in tutti gli altri rapporti il criterio della diligentia quam suis) nel
diritto giustinianeo rispondesse per la gestione pupillare della diligentia del buon padre di fami-
glia, ossia solo della culpa levis, così come il maggior numero di fonti che a tale criterio fanno
capo dimostra. Una linea interpretativa del tutto opposta è espressa dal D R, La respon-
sabilità del tutore, cit., 15ss., secondo cui la diligentia quam suis opera nel diritto giustinianeo
come criterio non già esclusivo, ma concorrente accanto al dolo e alla culpa levis ai fini dell’im-
putazione di responsabilità. “La concorrenza alternativa tra diligentia diligentis (culpa levis) e
diligentia quam suis, afferma lo studioso “ esprime bene il particolare indirizzo di Giustiniano
che intese – attraverso la giustapposizione di due termini non equivalenti ma forniti di una
propria autonomia, – inasprire e meglio individualizzare la responsabilità del tutore. Si perve-
niva così, secondo De Robertis, ad un sistema più sottilmente perfezionato rispetto al preceden-
te, fondato sulla sola diligentia in abstracto, e maggiormente garante degli interessi del pupillo:
se da una parte, infatti, non si rinunciava ai vantaggi di questa, così come sarebbe avvenuto in
conseguenza dell’applicazione esclusiva della diligentia quam suis, dall’altra si perveniva a speci-
ficare meglio la responsabilità, poiché quest’ultimo criterio consentiva che – ferma restando
l’operatività del criterio limite rappresentato dalla diligenza ordinaria (culpa levis) – nei confron-
ti di persone particolarmente dotate, si arrivasse fino a pretendere la maggiore meticolosità e
diligenza che solevano impiegare negli affari propri. La diligentia quam suis non agiva mai, in
tema di tutela, da attenuante della responsabilità – come invece sostiene quella dottrina che ri-
tiene che nel diritto giustinianeo il tutore risponda nei limiti della culpa in concreto – ma diver-
samente importava una misura di responsabilità più elevata, quando si fosse trattato di persone
capaci di esprimere una diligenza superiore alla media.

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