La responsabilità
Autore | Ivan Borasi |
Pagine | 142-171 |
I TERMINI NEL PROCESSO PENALE
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Nozione di rifiuto
Fattispecie
ex art. 328 c.p.
3. La responsabilità
3.1. Rifiuto e omissione di atti d’ufficio. Diniego di giustizia
Particolarmente interessante in relazione all’analisi de qua è il profilo
della responsabilità penale del magistrato ex art. 328 c.p. - per un appro-
fondimento sull’istituto si veda [GAMBARDELLA, sub art. 328, in Codice
penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Milano, VII, 2010] nel caso
di mancato rispetto dei termini nel processo penale rivolti allo stesso.
Per poter affrontare la tematica in esame è necessario in primo luogo
distinguere due fattispecie distinte ed autonome, entrambe previste all’art.
328 c.p.36
&.
Partendo dal presupposto che soggetto attivo di entrambe le fattispecie
succitate può essere il magistrato, il comma 1 prevede la fattispecie di ri-
fiuto di atti d'ufficio, mentre il comma 2 disciplina l'ipotesi dell'omissione
di atti d'ufficio.
I profili che riguardano, però, la presente analisi, devono concentrarsi
fondamentalmente sulla sussunzione della fattispecie astratta nel caso di
violazione da parte del giudice di un termine nel processo, e quindi chiari-
re se, come, e quando, è possibile applicare la normativa de qua, anche in
relazione alle possibili conseguenze risarcitorie sul piano civile.
Così la fondamentale Cass. Pen., Sez. VI, n. 7766 del 2003, in Rivista
penale, 2004, 1, 60, in ordine al concetto di rifiuto, statuisce che “il termi-
ne “rifiuto” non ha il solo significato di risposta negativa ad una richiesta
altrui, ma è parola polisensa, la quale denota anche altri atteggiamenti
psicologici del soggetto - quali il “lasciare, eliminare, scartare, negare, non
volere, non accettare” - che ben possono essere svincolati da sollecitazioni
soggettive, sicché appare legittimo ampliare il tradizionale significato del
termine, facendolo, in sostanza, coincidere con l’omissione.
Di fronte al radicale mutamento, a seguito della riforma introdotta dalla
& Art. 328 Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione. Il pubblico ufficiale (357), o l'incaricato di
un pubblico servizio (358), che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni
di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere
compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni (31).
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale (357) o l'incaricato di un pub-
blico servizio (358), che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie
l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclu-
sione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma
scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
LA RESPONSABILITÀ
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legge n. 86/90, del quadro normativo di riferimento della condotta tipica,
il rifiuto rileva in presenza di situazioni di pericolo che incombono per
lo più su beni collettivi, la cui neutralizzazione non può certo dipendere
da richieste individuali o collettive. La nozione più ristretta e tradizionale
di “rifiuto” implicherebbe che la tutela del bene protetto, quando questo
coincida con un interesse di natura diffusa, sarebbe rimessa “all’iniziativa
occasionale ed improbabile di un quivis de populo”, il che è fuori di ogni
ragionevolezza: non ha alcun senso, invero, andare alla ricerca di una spe-
cifica sollecitazione, quando è in pericolo la giustizia, l’ordine pubblico, la
sicurezza pubblica, l’igiene o la sanità, nel cui ambito deve incidere, con
assoluta priorità, l’attività funzionale dell’agente, la quale assume, pertanto,
una particolare qualificazione.
D’altra parte, il sistema conosce ipotesi in cui è lo stesso legislatore a
postulare il “rifiuto” come risposta ad una “richiesta”: è il caso delle previ-
sioni criminose di cui agli art. 329 e 651 c.p.
La conferma autentica della bontà della tesi propugnata si trova nella
relazione sul disegno di legge n. 2078: “il primo comma sanziona il rifiuto
(che evidentemente, a fronte del dovere di agire senza ritardo, assorbe anche
l’ipotesi del ritardo) in casi di particolare rilevanza, Tale rifiuto, in presenza
della clausola (fuori dei casi preveduti dal primo comma) d’inizio del secondo
comma, non implica necessariamente previa richiesta”. Conclusivamente, il
dovere di compiere l’atto qualificato senza ritardo sorge non per effetto di
una richiesta, ma in forza dell’avveramento di una situazione corrispondente
a quella astrattamente prevista dalla specifica norma giuridica: è la legge che,
in funzione della natura dell’interesse da soddisfare, impone di adottare l’atto
senza ritardo, perché già il mero mancato tempestivo compimento determina
un’offesa allo specifico interesse protetto. È il connotato di indifferibilità del-
l’atto che qualifica la nozione di rifiuto penalmente rilevante.
Il rifiuto, quindi, è integrato anche dalla silente inerzia del pubblico
ufficiale, protratta senza giustificazione oltre i termini di comporto o, se
del caso, di decadenza. L’inerzia omissiva del p.u. assume intrinsecamente
valenza di rifiuto e integra quindi la condotta punita dall’art. 328-1 non
soltanto quando ricorra una sollecitazione soggettiva, ma anche quando si
verifichi comunque una emergenza di natura oggettiva, che imponga l’ado-
zione dell’atto, senza ulteriore temporeggiamento.
A margine di quanto si è venuto esponendo, non va sottaciuto che,
nella specie, per quanto accertato in sede di merito, il rifiuto risulta essere
stato correlato anche a ripetute sollecitazioni formali rivolte al prevenuto
dal capo dell’ufficio (ipotesi da non confondersi con quella della messa in
mora da parte del terzo estraneo alla P.A.).”
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