La remissione tacita di querela nel giudizio davanti al giudice di pace

AutoreAnna Maria Siagura
Pagine330-333

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Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state di recente investite della questione sulla remissione tacita della querela nei giudizi davanti al giudice di pace a seguito dei contrastanti orientamenti sorti sull’applicazione di detto istituto. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito le conseguenze derivanti dalla mancata comparizione del querelante nel processo penale dinanzi al giudice di pace.

Le soluzioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza erano sostanzialmente due. Un primo orientamento, seppur nettamente minoritario, riconosceva una valenza estintiva all’assenza colpevole del querelante, in quanto conforme ad un comportamento concludente. In tal senso, si è sostenuto che «la mancata comparizione del querelante - previamente ed espressamente avvisato che l’eventuale successiva assenza sarà interpretata come remissione tacita della querela - integra gli estremi della remissione tacita, sempre che egli abbia personalmente ricevuto detto avviso, non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta»1. Si riconoscerebbe per questa via all’assenza il significato di un comportamento concludente, generato da valutazioni abdicative e remissorie2. Esemplificativa sembrerebbe l’ipotesi in cui la persona offesa non compaia all’udienza per l’esperimento del tentativo di conciliazione, dopo essere stata previamente e specificamente avvisato che la sua assenza sarebbe interpretata in tal senso3. Tale soluzione fa leva su tre distinti elementi. In primis, si richiede la piena conoscenza del querelante sulla valenza della sua assenza, nonché in ordine ai suoi consequenziali effetti; ulteriormente la Corte ha precisato che non devono esservi indizi di una diversa volontà, tali da escludere l’effetto anzidetto; da ultimo, si deve escludere persino “il dubbio” che la perdurante assenza non sia il frutto di una scelta libera e consapevole. Ciò che prevale è, dunque, un’indagine sul consenso, dal punto di vista sostanziale, della persona offesa sulla conclusione del processo per estinzione del reato. Chiare appaiono, tuttavia, le difficoltà pratiche di tale verifica, che richiede una valutazione dei comportamenti del querelante, in assenza di chiari ed univoci parametri legali.

Una seconda e maggioritaria tesi, invece, avallata anche dal Procuratore ricorrente, escludeva la rilevanza dell’assenza della persona offesa querelante ai fini della dichiarazione del reato, anche a fronte dell’esplicito avvertimento al querelante. Nella fattispecie concreta, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia aveva proposto ricorso in cassazione per violazione di legge, denunciando l’erronea interpretazione dell’istituto della remissione tacita di querela, prospettata dal Giudice di pace di San Severo. Si sosteneva, in particolare, che la remissione tacita di querela è tipizzata soltanto nella sua forma extraprocessuale, ma non in quella processuale. Da ciò discenderebbe l’impossibilità di attribuire al comportamento del querelante, già avvertito in ordine all’interpretazione della sua assenza, la valenza di una volontà conforme a rinunciare alla sua istanza punitiva. Ciò troverebbe un’ulteriore giustificazione nel fatto che, nel processo penale instaurato con citazione disposta dal P.M. ex art. 20, D.L.vo 274 del 2000, non sussiste alcun obbligo per il querelante di comparire, a differenza di quanto disposto per il ricorso diretto della persona offesa.

Tale soluzione, confermata anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia che si annota, trae origine da una ricostruzione dell’istituto della remissione tacita di querela, poi esteso anche al giudizio davanti al giudice di pace. Ripercorrendo l’evoluzione storica della normativa in materia, la Suprema Corte nella pronuncia in commento dà conto inizialmente della posizione della dottrina sotto la vigenza del codice del 1865. Si ammetteva, in particolare, il ricorso in determinati casi alla remissione così detta implicita, atta a determinare, in condizioni particolari, la cessazione del procedimento.

Il codice penale del 1930 disciplinava, poi, esplicitamente l’istituto, qualificando, all’art. 152, la remissione come processuale o extraprocessuale e distinguendo quest’ultima in espressa e tacita. In particolare, la remissione extraprocessuale si intendeva tacita quando il querelante avesse compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela. Conformemente alla predetta previsione normativa, la giurisprudenza ha sempre ribadito che la «remissione tacita di querela deve consistere in una inequivoca manifestazione di volontà, che si concreti in un comportamento del querelante, incompatibile con la volontà di persistere nella querela»4.

Analizzando altre pronunce della Suprema Corte si nota che, anche sotto la vigenza dell’attuale codice di procedura penale, è stata ribadita l’irrilevanza della mancata comparizione del querelante all’udienza ai fini dell’estinzione del reato5. Ciò perché, come più volte precisato dalla giurisprudenza, l’assenza del querelante all’udienza non costituisce un comportamento idoneo ad integrare la remissione della querela, la quale, se extraprocessuale, può essere anche tacita, ma deve fondarsi su un comportamento univoco incompatibile con la volontà di persistere nell’istanza punitiva, univocità che, in tal caso, non sussiste6. In altri termini, la Corte non soltanto ha ribadito la mancanza di un esplicito riferimento legislativo all’ef-Page 331fetto estintivo del reato, ma ha cercato altresì di tipizzare, in qualche modo, il contenuto della remissione tacita, al fine di evitare una dilazione dell’istituto. A tal fine, ad esempio, si è chiarito che non si ha remissione tacita della querela nel caso di omessa comparizione dell’offeso dal reato nel processo penale, trattandosi di comportamento omissivo, introduttivo di qualsiasi effetto sulla procedibilità dell’azione penale; né all’omessa comparizione può attribuirsi l’anzidetto valore, previamente notificando alla persona offesa l’avvertimento che la sua assenza sarebbe interpretata come remissione tacita della querela, posto che questa, che è solo extraprocessuale, non può essere integrata da un comportamento processuale7.

Un’ulteriore precisazione riguarderebbe, poi, la diversa instaurazione del processo dinanzi al giudice di pace. Una differenza nella disciplina applicabile si giustificherebbe, cioè, sulla base dell’iter procedimentale...

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