Le regole di comportamento e i contratti di investimento

AutoreMarco Fratini
Pagine161-198
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Capitolo Sesto
Le regole di comportamento e i contratti di investimento
Sommario: 1. Le regole di comportamento: ratio e struttura del sistema. - 2. Gli obblighi generali di
correttezza, diligenza e trasparenza. - 3. Gli obblighi informativi. - 4. La graduazione delle rego-
le di compor tamento: il tipo di servizio. - 4.1 L ’adeguatezza. - 4.2 L’appropriatezza. - 4.3
L’execution only. - 4.3.1 La best execution. - 5. La graduazione delle re gole di comportamento: la
classificazione della clientela. - 6. Il c ontratto di investimento. - 6.1 Il neoformal ismo e la nullità di
protezione. - 6.2 Il contenuto minimo. - 6.3 L’inapplicabilità delle norme del TUB. - 6.4 La facoltà di
agire in nome proprio e per conto del clie nte. - 7. La disciplina specifica dei singoli servizi di investi-
mento. - 7.1 Le regole comuni alla negoziazione per conto proprio e all’esecuzione di ordini per conto
dei clienti. - 7.2 La ricezione e trasmissione di ordini. - 7. 3 La gestione di portafogli. - 7.3.1 Il contrat-
to. - 7.3.2 Le istruzioni dell’investitore. - 7.3.3 Il diritto di recesso. - 7.3.4 La rappresentanza. - 7.3.5
La delega di gestione. - 7. 4 La consulenza in materia di investimenti. - 7.5 La gestione di sistemi mul-
tilaterali di negoziazione. - 7.6 La gestio ne di portali on line per la raccolta di capitali per il finanzia-
mento di star-up innovative (rinvio) - 8. La sottoscrizione e il collocamento di prodotti finanziari
emessi da banche e impresi di assicurazione. - 9. L’offerta fuori sede. - 9.1 L’evoluzione storica
della disciplina. - 9.2 L’ambito di applicazione della disciplina. - 9.3 I soggetti abilitati.-9.4 I
promotori finanziari. - 9.5 Lo ius poenitendi. - 10. L’offerta a distanza. - Bibliografia.
1. Le regole di comportamento: ratio e struttura
Il sistema di tutela degli investitori delineato dall’ordinamento di settore, oltre
al presidio della riserva di attività a favore di soggetti qualificati (esaminato nel
precedente capitolo), comprende un apparato di regole che governano la fase di
formazione, di conclusione e di esecuzione del rapporto contrattuale che si in-
staura tra l’investitore e il soggetto abilitato alla prestazione dei servizi e delle
attività di investimento. Tali regole assolvono una funzione di tutela del contra-
ente debole, mirando a riequilibrare la strutturale posizione di asimmetria in-
formativa che sussiste tra la parte professionale del contratto di investimento e
l’investitore, in una prospettiva più ampia di tutela macroeconomica della stabi-
lità e dell’efficienza dei mercati finanziari.
L’impianto sistematico del Testo unico della finanzia si fonda su una con-
cezione del rapporto tra le parti del contratto di investimento opposta rispetto a
quella che caratterizza il diritto comune dei contratti. Quest’ultimo assume co-
me postulato la posizione di parità delle parti negoziali e, conseguentemente,
presume l’equilibrio dello scambio. Il legislatore del Testo unico della finanza, al
contrario, nel creare presidi normativi a tutela di una parte, assume il contratto di
investimento come ontologicamente asimmetrico, cioè come un assetto di interessi
condizionato dalla posizione di naturale squilibrio delle parti, che l’ordinamento di
settore intende riequilibrare attraverso un sistema di regole che sanciscono obblighi
a carico del contraente forte a vantaggio del contraente debole, volte a garantire
l’equità (quanto meno procedurale) dello scambio.
L’apparato regolatorio investe sia i comportamenti che gli intermediari auto-
rizzati sono tenuti ad adottare, sia le modalità di organizzazione e il funzionamento
della loro struttura operativa. Sotto tale profilo, la direttiva MiFID ha contribuito ad
accentuare il legame – già presente nella previgente dir. 93/22/CE – tra regole di
organizzazione interna dei soggetti abilitati e regole di condotta.
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La struttura delle regole di comportamento, dettate da norme di fonte primaria
e da norme di fonte secondaria, si articola su due livelli. Il primo livello include le
norme di portata generale, applicabili indistintamente a tutti i servizi di investimen-
to e accessori. Il secondo livello racchiude norme di dettaglio applicabili a singoli
servizi di investimento e accessori, graduate in base alla tipologia di servizio e alla
natura dell’investitore.
Nell’ambito del primo livello sono individuati i criteri generali di comporta-
mento (art. 21 del TUF) e le norme che disciplinano i contratti di investimento (art.
23 del TUF). I criteri generali di comportamento sono riferiti sia ai rapporti contrat-
tuali tra soggetti abilitati e clienti, sia all’organizzazione e alle procedure interne
degli intermediari. Più nel dettaglio, tali criteri si articolano in: 1) obblighi generali
di correttezza e diligenza; 2) obblighi informativi; 3) norme attinenti all’organiz-
zazione interna; 4) norme relative ai conflitti di interesse.
La disciplina di cui ai punti 3) e 4), benchè generale e applicabile alla presta-
zione di qualunque servizio e attività di investimento, attiene non alla gestione di-
retta del rapporto tra intermediario e cliente, ma all’organizzazione interna e proce-
durale dell’intermediario. Essa, pertanto, verrà analizzata nel prossimo capitolo,
dopo aver esaminato, nei successivi paragrafi, sia il primo livello (i criteri genera-
li), sia il secondo livello (le norme di dettaglio) della disciplina del contratto di in-
vestimento, quella cioè che attiene alle regole di comportamento che l’internediario
è tenuto a osservare nei rapporti con gli investitori.
2. Gli obblighi generali di correttezza, diligenza e trasparenza
Sulla falsariga dell’art. 19 della direttiva MiFID, l’art. 21, comma 1, lett. a),
del TUF stabilisce che, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento,
i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per
servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati. Si tratta di ca-
noni comportamentali volti a puntualizzare e, per certi versi, a integrare le regole di
condotta previste dalla disciplina di diritto comune (artt. 1175, 1176, 1337 e 1375
c.c.), con il triplice obiettivo di: a) assicurare agli investitori una tutela più intensa
nei rapporti con gli intermediari, anche a prescindere dall’assunzione di un vincolo
contrattuale; b) garantire il corretto svolgimento dell’attività di intermediazione fi-
nanziaria, a tutela dell’integrità dei mercati; c) attribuire rilevanza anche sul piano
amministrativo (segnatamente sotto il profilo sanzionatorio) alla violazione delle
clausole generali, altrimenti tutelabili solo sul piano civilistico.
La diligenza richiesta dalla norma è quella professionale di cui all’art. 1176,
comma 2, c.c., commisurata alla natura dell’attività svolta. Il richiamo alla diligen-
za, lungi dal costituire un’inutile duplicazione della previsione normativa codicisti-
ca, vale a sottolineare la rilevanza dell’affidamento che l’investitore ripone sulle
qualità e sulle abilità professionali dell’intermediario, in considerazione della fun-
zione e dell’attività che esso svolge nel mercato. In tal modo, il canone della pro-
fessionalità, pur non essendo espressamente menzionato dall’art. 21 del TUF, fini-
sce per costituire comunque il paradigma del comportamento degli intermediari,
imponendo loro di conformare la propria condotta alle regole tecniche richieste
dalla complessa attività svolta. Il comportamento degli intermediari, se vuol essere
diligente, non può che essere professionale, in quanto diligenza significa, anzitutto,
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rispetto di tutte le disposizioni che regolano, a livello primario e secondario, la loro
condotta. Le disposizioni di settore, poi, sono talmente specifiche e dettagliate che
il loro adempimento è possibile solo mediante l’utilizzo di un alto livello di profes-
sionalità.
La correttezza va intesa come sinonimo di buona fede oggettiva e di lealtà nel-
la prestazione del servizio, al fine di assicurare la massima tutela dell’interesse del
cliente. Peraltro, l’applicazione in materia di tale canone di condotta presenta in-
dubbi profili di novità, esaltando la portata dell’obbligo di collaborazione gravante
sugli intermediari nelle scelte e nelle decisioni di investimento del cliente.
La trasparenza non rappresenta un canone “classico” del diritto civile: si tratta
di una clausola generale di tutela che ricorre con frequenza nelle leggi speciali che
disciplinano il mercato assicurativo, bancario e finanziario, in quanto settori carat-
terizzati da complessità e tecnicismo e denotati da una significativa asimmetria in-
formativa tra intermediari e clienti. Il modo migliore per cercare di ridurre tali asimme-
trie è, per l’appunto, l’imposizione della trasparenza, che implica il dovere per
l’intermediario di fornire all’investitore, in modo chiaro, completo e puntuale, le
informazioni necessarie per la conclusione del contratto, in modo da permettergli di
compiere scelte consapevoli. È, dunque, fondamentale che il complesso di compor-
tamenti e di presidi organizzativi dell’intermediario consenta un appropriato trasfe-
rimento di dati e di informazioni alla clientela.
La trasparenza e la correttezza implicano, poi, la completezza dell’informativa,
dal momento che omettere informazioni può risultare fuorviante per la clientela,
impedendole di assumere decisioni consapevoli.
L’art. 21 del TUF prescrive regole di diligenza, trasparenza e correttezza al fi-
ne di integrare i doveri che incombono sugli intermediari, tenuti a rispettare non
solo tutti gli obblighi espressamente prescritti da norme di rango primario e secon-
dario, ma anche tutto quanto imposto da diligenza, correttezza e trasparenza, quali
canoni generali di comportamento. A tali canoni, dunque, l’ordinamento di settore
assegna il ruolo di autonoma fonte di obbligazioni. La diligenza, la trasparenza e la
correttezza costituiscono per gli intermediari fonte di obblighi non pattuiti e ulte-
riori rispetto a quelli espressamente previsti dalla legge. Si tratta di obblighi con
funzione protettiva degli interessi degli investitori, a contenuto variabile: le presta-
zioni concretamente dovute, cioè, si atteggiano diversamente a seconda delle circo-
stanze del caso concreto.
L’art. 21 del TUF assegna alla diligenza, trasparenza e correttezza non solo
una funzione di protezione degli investitori, ma anche di tutela dell’integrità dei
mercati. Tale funzione non va intesa nel senso di imporre agli intermediari una re-
sponsabilità per il corretto andamento dei mercati nel loro complesso, bensì nel
senso di richiedere che essi si comportino in modo da non turbare l’ordinato svol-
gimento dei mercati finanziari, rispettandone le regole di corretta operatività.
L’obiettivo è, dunque, quello di indurre gli intermediari ad adottare sui mercati
comportamenti improntati a sicurezza, funzionalità ed efficienza. Inquadrati in
questa prospettiva, i princìpi di correttezza, trasparenza e diligenza assumono una
funzione macroeconomica, che travalica l’ambito dei singoli rapporti negoziali di
investimento per considerare il sistema finanziario nel suo complesso.

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