Violazione della regola cautelare formalizzata e prevedibilità/evitabilità dell’evento alla luce di alcuni recenti arresti della IV sezione penale della suprema corte di cassazione

AutoreGiovanni De Santis
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1. Premessa: la tendenza in atto alla formalizzazione delle cautele nei settori di rischio consentito, la c.d. culpa in re ipsa e alcuni recenti arresti della IV Sezione penale della S.C. Introduzione al tema

L’attuale governo in chiave preventiva dei molteplici ambiti sociali del rischio consentito evidenzia una chiara tendenza alla formalizzazione delle norme di cautela, artefice della quale, questa è la novità, appare essere sempre più l’iniziativa dei privati.

Ciò avviene quando gli operatori nell’area di rischio penale intendano determinare condizioni di maggior certezza al proprio agire (tipicamente nell’ambito medico chirurgico attraverso la predisposizione di linee guida/ protocolli di azione, il cui mancato rispetto sia, tra l’altro, già fonte di responsabilità disciplinare), o quando siano indotti dal sistema normativo pubblico ad una sub regolamentazione del rischio (come avviene nel campo della sicurezza del lavoro con l’imposizione al datore di lavoro della valutazione dei rischi, o, a livello di responsabilità collettiva ex D.L.vo n. 231/2001, attraverso l’incentivazione della c.d. compliance aziendale).

Questa proliferazione di norme preventive formalizzate “dal basso” si aggiunge, dovendosi coordinare, con un magma cautelare di settore già ipertrofico.

In questo quadro di crescente complessità spicca sempre più viva la tensione tra prevenzione e rimprovero penale (responsabilità per colpa) di fronte all’inosservanza della cautela formalizzata per un evento, tuttavia, non prevedibile o non evitabile.

Tema, quello della c.d. culpa in re ipsa, non nuovo ma rinverdito dall’accavallarsi di prescrizioni cautelari scritte di diversa provenienza e affrontato con lucidità da due recenti decisioni della IV Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, relative a casi di notevole rilevanza pratica, oltre che di straordinaria attualità: da una parte nell’ennesima vicenda di morte per mesotelioma pleurico da esposizione lavorativa all’amianto 1 e, dall’altra, nel tristemente famoso caso del disastro di Sarno e dei suoi 137 morti nelle colate di fango 2.

2. Istantanee sui caratteri della responsabilità colposa. In particolare il profilo garantistico della colpa quale violazione oggettiva di un dovere di diligenza

L’indagine occasionata dalle citate decisioni deve prendere le mosse dai peculiari caratteri del rimprovero colposo, così come ormai appaiono sedimentati in decenni di studi e di applicazioni giurisprudenziali 3.

La colpa, è noto, non possiede un reale contenuto psicologico 4 ma è “comprensibile” solo su un piano normativo: quello della violazione di una cautela (= regola di comportamento avente una funzione preventiva).

Non di meno la colpa, rispetto al dolo, presenta un evidente e peculiare contenuto di antidoverosità rimprovera- bile nell’agire. Cioè la colpa non difetta di un ben identificabile profilo di rimprovero e, quindi, di colpevolezza.

La colpa possiede anch’essa un contenuto di rimproverabilità personale che a differenza del dolo non è di aver voluto un fatto che non si doveva volere ma di non averlo evitato adeguandosi alla regola di diligenza 5.

Dunque, rimprovero sì sebbene con un marginale ed esangue profilo psicologico da riscontrare in concreto. Infatti, anche nel secondo momento della colpa (quello della c.d. individualizzazione soggettiva) non è possibile non prescindere da un minimo di astrazione dalla concreta persona dell’agente 6.

Questa caratteristica della colpa è ben nota tanto alla dottrina quanto alla giurisprudenza, che si sofferma, anche nelle decisioni sopra richiamate, sul dato essenziale della sua natura normativa 7.

Questo deficit di contenuto psicologico, che non è anche di colpevolezza per un atteggiamento comunque rimproverabile, non affievolisce la meritevolezza della punizione dell’agente incauto. Essa sarebbe, anzi, determinata, come riconosce la migliore dottrina, da una

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precisa richiesta dell’ordinamento rivolta, in particolare, a quei soggetti che operano in contesti di forte rischiosità per beni di straordinario valore, come la vita umana, la integrità fisica e la pubblica incolumità.

In questa direzione sarebbe proprio la colpa a fornire all’ordinamento lo strumento per conseguire una responsabilizzazione degli individui al rispetto delle regola di convivenza, primariamente quelle di cautela. In chiave costituzionale ciò corrispondendo ad un preciso disegno solidaristico, come quello chiaramente definito dall’art. 2 (Doveri di solidarietà sociale), che pervade, per vero, tutto il diritto penale moderno.

Ma la colpa è sì strumento di responsabilizzazione, ma al contempo di garanzia, esprimendo il minimo di personalità richiesto dall’art. 27 Cost., senza il quale si avrebbe una responsabilità oggettiva. Il profilo garantistico della colpa deve quindi essere ricavato, innanzitutto, dalla violazione oggettiva di un dovere di diligenza.

Concentriamo la nostra attenzione sul fatto tipico colposo, e, quindi, sulla oggettiva violazione di una cautela doverosa nella situazione data.

Il riscontro della violazione cautelare non può che essere immediatamente valutato secondo un metro “impersonale” 8. In definitiva, anche la personalizzazione del rimprovero, come si diceva, se non vuole ridursi ad una mera presa d’atto di ciò che è stato per il modo di essere dell’agente concreto, cioè se non si vuole rinunciare al rimprovero soggettivo semplicemente perché l’agente a cagione delle proprie peculiarità soggettive nella situazione data non si sarebbe potuto uniformare alle richieste cautelari dell’ordinamento 9, allora non resta che riconoscere come indispensabile una operazione “normativa” che prescinde dall’integrale assegnazione di rilevanza di tutte le caratteristiche personali dell’agente concreto 10.

Dunque, occorre muovere dalla violazione oggettiva di una cautela.

Quanto alla fonte di quest’ultima, come è altrettanto noto, essa può essere di matrice sociale (non formalizzata), cioè, per stare al linguaggio del codice penale, consistere in una violazione di una regola di diligenza, prudenza, perizia (ex art. 43, id est la colpa generica), oppure risultare dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (sempre ex art. 43) e promanare da una fonte giuridica, o comunque formalizzata in testi normativi scritti (colpa specifica). Profilo, quello della formalizzazione “privata”, dal quale prende le mosse il presente studio.

Intanto, prima di accertare i profili di compatibilità tra il principio di colpevolezza (nel senso precisato) e l’inosservanza del precetto cautelare formalizzato in rapporto ad un evento non prevedibile o non evitabile, quando si affronta l’argomento della formalizzazione delle regole cautelari in fonti diverse dalla legge, una preliminare attenzione deve essere riservata prima ancora al rispetto del principio di legalità.

Anche questo è un tema delicato.

Occorre, infatti, dire che esiste, almeno teoricamente, un problema a questo proposito: cioè che le fonti dei dove- ri cautelari non siano tutte pienamente “compatibili” con il principio di riserva di legge in materia penale.

Teoricamente, perché nel concreto si è costretti ad ammettere che le società del rischio non consentono di concentrare integralmente nella fonte di legge il governo dei tumultuosi fenomeni sociali che espongono ad un pericolo di lesione i cittadini.

Dunque, l’apporto delle fonti sub legislative nella regolamentazione delle situazioni di rischio, anche e sempre di più di quelle espressione dell’autonomia dei privati, è diventata una delle più significative ipotesi di apporto di specificazione tecnica del precetto penale, compatibile con il carattere solo tendenzialmente assoluto della riser- va di legge 11.

Tanto più che sarebbe assurdo nei molteplici contesti sociali nei quali si svolgono attività rischiose attribuire maggiore valore garantistico a delle regole di esperienza non scritte [quali quelle di diligenza, prudenza e perizia 12], piuttosto che a cautele formalizzate seppure in fonti diverse dalla legge. Quest’ultime, anzi, sono certamente più in grado di garantire sia i consociati dal rischio di lesioni, sia gli agenti-operatori, grazie alle quali essi possono muoversi sapendo di non essere esposti al sindacato del giudice penale se non quando dovessero violare precauzioni scritte, pertanto più “certe” di cautele che scritte non sono.

3. Prevedibilità ed evitabilità dell’evento: in concreto ed in astratto

Tornando allo spunto iniziale della ricerca, quello del profilo di colpevolezza nella violazione oggettiva di una regola di cautela, collegandoci alle osservazioni appena rese a proposito del momento di garanzia insito nella formalizzazione della regola cautelare, è agevole osservare che, paradossalmente, la peculiare genesi della regola cautelare non scritta è in grado di soddisfare meglio se non le esigenze di legalità (v. sopra), almeno quelle di personalità del rimprovero imposto dall’art. 27 della Cost..

Proviamo a spiegare più chiaramente.

Il meccanismo genetico della regola cautelare sociale non formalizzata è, in effetti, direttamente imperniato sul binomio della prevedibilità/evitabilità dell’evento 13.

Se un determinato evento è prevedibile allora esso può essere evitato (secondo l’esperienza) tenendo un determi- nato comportamento, rispettando, cioè, una certa regola di condotta.

Come è noto, questa regola di cautela è (ri-)costruita sulla figura dell’agente modello (=dimensione oggettiva del precetto cautelare) che agirebbe in quel contesto sociale (homo eiusdem professionis ac condicionis) 14, nel senso che il pericolo o l’evento dovrà essere prevedi- bile (e, quindi, evitabile) secondo il metro (oggettivo) dell’homo eiusdem condicionis ac professionis, posto nelle condizioni date. Ossia, per usare una efficace espressione

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di matrice germanica, del soggetto immaginato come personificazione dell’ordinamento giuridico nella situazione concreta 15.

Il giudice, insomma, dovrà...

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