Il reato di mutilazione genitale: defaillances di una legge 'simbolica

AutoreAnna Chiara Vimborsati
Pagine521-540
ANNA CHIARA VIMBORSATI
IL REATO DI MUTILAZIONE GENITALE:
DEFAILLANCES DI UNA LEGGE “SIMBOLICA”
S: 1. Premessa. – 2. Dall’input all’output: le ragioni di un itinerario al
contrario. – 3. L’origine e le caratteristiche di una pratica “coutumiere”. – 4.
Quando una pratica diventa reato: limiti di una normazione ad oggetto “traspo-
sto”.
1. La legge del 9 gennaio 2006, n. 7, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
del 18 gennaio 2006 n. 14 ed emanata con lo scopo di adeguare la legislazio-
ne penale italiana alle esigenze proprie di una società divenuta multi-etnica a
causa della crescente presenza di comunità immigrate sul territorio naziona-
le e della conseguente commistione di culture diverse tra loro1, ha novellato
l’art. 583 del codice penale introducendo gli articoli 583 bis e 583 ter2, che
1 Il divieto di praticare mutilazioni genitali, pur non essendo esplicitamente previsto, ricade
nell’ambito di applicazione di numerose previsioni normative contenute in dichiarazioni, patti e
convenzioni internazionali che sono già stati ratificati dall’Italia e, nella maggior parte delle ipotesi,
attuate mediante apposite leggi: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1948), i Patti sui
diritti civili e politici (1966) e sui diritti economici, sociali e culturali (1969), la Convenzione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1969), la Convenzione contro la
tortura (1984), la Convenzione contro ogni forma di discriminazione contro le donne (1979, nota
come Convenzione Cedaw), la Convenzione sullo stato dei rifugiati (1956) e la Convenzione sui
diritti dell’infanzia (1990 artt. 37 e 24, comma 3°). E ancora nella Carta Africana sui diritti umani
e dei popoli (1981): l’art. 5 vieta ogni degradazione, umiliazione e trattamento degradante e disu-
mano, l’art. 16 sancisce il diritto di ciascuno di godere del miglior livello di salute fisica e psichica
ottenibile, l’art. 18, comma 3°, vieta ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e per
la tutela dei diritti di donne e bambini. Allo stesso modo la Carta dei diritti e del benessere dei
bambini africani (non ancora ratificata): l’art. 21, comma 1°, impegna tutti gli Stati ad adottare
misure per l’eliminazione di costumi e pratiche tradizionali nocive alla salute e allo sviluppo dei
bambini; la Convenzione europea per la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali (1953);
la Carta sociale europea (1965).
2 L’art. 583 bis c.p. dispone che «Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagioni una
mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai
fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello
stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali,
lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una
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incriminano le pratiche mutilative degli organi genitali femminili e le con-
dotte che «al fine di menomare le funzioni sessuali – provocano – lesioni agli
organi genitali femminili» (art. 2, comma 6°, della legge n. 7/06).
L’interesse per questa legge, fin dalla sua pubblicazione, oltre che sull’at-
tualità dell’opzione politica espressa dal legislatore italiano rispetto al conte-
sto europeo3, si è incentrato in particolar modo sulla natura delle condotte
incriminate consistenti nei fatti mutilativi degli organi genitali femminili e
nelle pratiche non mutilative che «comunque» si concretano in una lesione
degli organi sessuali femminili. La scelta di accomunare tali condotte sotto il
malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita
fino a due anni se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono
commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da
cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di stranie-
ro residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del ministro di giustizia».
L’art. 583 ter dispone che «La condanna accessoria contro l’esercente una professione sanitaria
per taluno dei delitti previsti dall’articolo 583 bis importa la pena accessoria dell’interdizione dalla
professione da tre a dieci anni. Della sentenza di condanna è data comunicazione all’Ordine dei
medici e dei chirurgi».
3 L’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato che l’approvazione di leggi statali che
mirano ad abolire le mutilazioni genitali femminili rappresenta uno strumento molto importante
nella lotta a questa pratica: prima dell’emanazione della legge n. 7/06, gli unici Pesi europei ad aver
emanato delle leggi che si riferiscono direttamente a questo fenomeno, erano la Gran Bretagna, la
Svezia e la Norvegia, mentre negli altri Paesi Europei la pratica delle mutilazioni genitali viene
repressa unicamente quando integra fattispecie di reato espressamente contemplate dal codice pe-
nale e riferite alla tutela dell’integrità fisica della persona umana, come il reato di lesioni personale
con l’aggravante della morte. In particolare, la legge emanata in Svezia nel 1982 vieta gli interven-
ti chirurgici che abbiano lo scopo di mutilare gli organi sessuali femminili o comunque di modifi-
carli in maniera permanente a prescindere dal consenso della vittima, mentre il Prohibition of Fe-
male Genital Circumcision Act inglese del 1985, punisce chiunque si sia reso responsabile di aver
praticato una mutilazione sugli organi genitali femminili; in Norvegia, nel 1998, è entrata in vigore
una legge specifica contro le mutilazioni genitali femminili che punisce chiunque esegua intenzio-
nalmente un intervento sugli organi genitali femminili provocando danni o una trasformazione
permanente del corpo. La situazione è diversa negli altri Pesi Europei che non si sono dotati di una
normativa penale ad hoc: in Francia sono punite le violenze personali (art. 312 c.p.) che abbiano
come conseguenza quella di mutilare o amputare e solo nel 1994 sono stati inseriti due articoli nel
codice penale che rafforzano la punibilità di violenze mutilative, non specificamente genitali. In
Spagna la legge non punisce esplicitamente le mutilazioni genitali femminili, ma il Governo si
propone di modificare la legge sull’immigrazione per controllare gli effetti delle pratiche mutilative
praticate, anche quando non avvengano nel territorio spagnolo; in Germania, pur non esistendo una
legge che reprime espressamente questo tipo di reato, in base alla normativa sulla cittadinanza e
l’immigrazione, è possibile procedere all’espulsione degli autori di tali pratiche. Anche se le solu-
zioni accolte dai Paesi Europei sono estremamente differenti tra loro, si può generalmente afferma-
re che l’efficacia degli interventi normativi sul tema delle mutilazioni genitali femminili è piuttosto
debole, in quanto ciascuna di esse, in maniera più o meno incisiva, si ancora ad una dimensione
legalista, tipica della cultura giuridica occidentale, e alla corrispondenza presupposta tra pratica
tradizionale e crimine represso, mentre gli elementi caratterizzanti questo tipo di pratica difficil-
mente possono essere concettualmente astratti nella categoria dei reati tipici. L’approccio culturale
francese, ad esempio, che è estremamente significativo per l’alta percentuale di popolazione fran-
cese d’origine africana, ed emblematico in quanto meno incline verso la difesa culturale e più incli-
ne all’applicazione uniforme della legge, mostra quali siano i conflitti internormativi provocati
dallo scontro di una “nazione” obbligata a confrontarsi con il multietnicismo e la difficoltà concre-
ta di concretare il pluralismo politico in una garanzia effettiva della diversità.

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