Questioni in tema di rapporti tra i delitti di rapina, estorsione, violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone

AutoreFernando Giannelli, Maria Grazia Maglio
Pagine135-148
135
dott
Rivista penale 2/2014
DOTTRINA
QUESTIONI IN TEMA
DI RAPPORTI TRA I DELITTI
DI RAPINA, ESTORSIONE,
VIOLENZA PRIVATA
ED ESERCIZIO ARBITRARIO
DELLE PROPRIE RAGIONI
CON VIOLENZA ALLE PERSONE
di Fernando Giannelli, Maria Grazia Maglio
L’odierna formulazione dell’articolo 629 c.p. deriva
dalla fusione delle previsioni normative contenute negli
articoli 407 e 409 del codice Zanardelli (1).
L’articolo 407 disponeva: “Chiunque, con violenza o
con minaccia di gravi danni alla persona o agli averi, co-
stringe taluno a consegnare, sottoscrivere o distruggere,
in pregiudizio di sé o altri, un atto che importi qualsiasi
effetto giuridico, è punito con la reclusione da tre a dieci
anni; l’articolo 409, invece, disponeva: “chiunque, incuten-
do in qualsiasi modo timore di gravi danni alla persona,
all’onere o agli averi, o simulando l’ordine di un’Autorità,
costringe alcuno a mandare, depositare o mettere a di-
sposizione del colpevole danaro, cose o atti che importino
qualsiasi effetto giuridico, è punito con la reclusione da
due a dieci anni”.
Nell’odierno assetto di diritto positivo parte della dot-
trina (2) nega la conf‌igurabilità del delitto di estorsione
qualora gli atti cui facevano riferimento le disposizioni
succitate del cessato codice risultino affetti da nullità.
Al riguardo, sarà bene osservare (3) che, qualora trat-
tisi di estorsione aventi ad oggetto la sottoscrizione od
altre condotte criminose riguardanti degli atti, il nostro
legislatore, all’articolo 629 c.p., non ha richiesto la neces-
saria “produzione dell’effetto giuridico” di cui agli articoli
407 e 409 del codice Zanardelli, e, già per siffatta ragione,
l’attitudine a produrre effetti giuridici “jure civili” s’ha da
tenere per irrilevante nell’odierno sistema.
La violenza f‌isica consistente nel costringere a vergare
“di proprio pugno” un atto di vendita di un immobile si
risolve in una classica ipotesi di nullità del negozio giu-
ridico (4).
Parimenti nullo si presenta un atto di donazione privo
della forma richiesta “ad substantiam actus” dall’articolo
782 c.c.
Non si può negare, però, che, una volta sottoscritto
l’atto di vendita da parte della vittima l’agente può en-
trare, di fatto, in possesso dell’immobile, anche per un
lungo periodo; che, addirittura, si potrebbero verif‌icare, in
caso di inerzia della vittima, gli effetti dell’usucapione in
favore dell’aggressione, ai sensi dell’articolo 1163 c.c., sia
nel caso di vendita, sia nel caso di donazione.
È per evitare queste aberrazioni giuridiche che la dot-
trina preferibile (5) rifugge dal “pancivilismo”, notando, fra
l’altro (6), che la dottrina avversa (7) è costretta ad ammet-
tere che, in caso di conseguimento del prof‌itto, il delitto di
estorsione sussiste anche in presenta di un atto nullo.
La giurisprudenza della Corte di cassazione è nel senso
della tesi a cui intendiamo aderire (8).
Ammesso che il c.d. dolo specif‌ico sia una vera e pro-
pria epifania del dolo, e non un particolare motivo del
reato (9), è certo che la rapina e l’estorsione non sono ac-
cumunati dalla presenza della suddetta componente (10),
in quanto, perché si abbia un reato a dolo c.d. specif‌ico,
occorre, sì, che la particolare f‌inalità venga perseguita, ma
il delitto è consumato a prescindere dal conseguimento
della stessa, mentre l’estorsione è pienamente integrata
solo quando venga effettivamente ottenuto un ingiusto
prof‌itto con altrui danno (11).
Aderendo alla tesi che qui si critica, il delitto in esame
troverebbe consumazione a prescindere dall’integrazione
del suddetto estremo (12), mentre è la rapina, e non
l’estorsione, a consumarsi con l’impossessamento, a pre-
scindere dal raggiungimento della f‌inalità scellerata.
Parte della dottrina (13) ritiene che la formulazione
legislativa degli articoli 392 e 393 c.p. si risolva in una
tautologia, in quanto il farsi ragione da sé medesimo si
identif‌icherebbe con il soddisfacimento della pretesa
giuridica: mancherebbe, pertanto, la f‌inalità propria del
c.d. dolo specif‌ico, confondendosi, essa, nella condotta
esecutiva del delitto.
Intendiamo, “re melius perpensa”, recedere dall’adesio-
ne a tale tesi (14): il farsi ragione da sé medesimo è attività
materiale, diretta alle cose e/o alle persone (vedasi art.
393, secondo comma, c.p.), mentre il soddisfacimento della
pretesa può ben non essere conseguito, senza che venga,
perciò, meno la consumazione dei delitti in esame (15).
Delineato con queste premesse l’iter criminis del de-
litto di “ragion fattasi” di cui al titolo, dobbiamo, allora,
notare che, in caso di minaccia eseguita in forma scritta,
si può conf‌igurare il tentativo incompiuto, se non si riesca
a far pervenire alla vittima designata la lettera minatoria,
tentativo compiuto qualora la lettera, spedita, non giunga
a destinazione; se la minaccia sia orale, o gestuale, si può
verif‌icare il solo tentativo compiuto, qualora manchi la
percezione della stessa da parte del soggetto passivo della
condotta; se vi sia tentativo di percosse, esso ridonderà
in una forma di minaccia, per cui vi potrà essere il solo
tentativo compiuto qualora ne difetti la percezione.
Relativamente al delitto di violenza privata, mate-
riale, nell’accezione del Pannain (16), vale a dire co-
stituito da un event o naturalisti co quale prop aggine “in
mundo” dell’indefettibile evento giuridico (17), non si
presenteranno problemi di sorta in ordine al tentativo
nelle due possibili epifanie.

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