Impugnabilità delle raccolte degli usi e consuetudini delle camere di commercio

AutoreVittorio Angiolini
Pagine129-132

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  1. - È indispensabile - per trattare i problemi dell'impugnabilità dell'atto che dispone l'inserimento di un determinato uso (spesse volte, di locazione o comproprietà) nella Raccolta ufficiale della Camera di Commercio - una rapida ricognizione dei compiti delle Camere di Commercio a proposito degli usi, per giungere ad un chiarimento circa la natura giuridica dell'atto che dispone l'inserimento degli usi stessi nella Raccolta ufficiale.

    È indubbio anzitutto che l'accertamento e la raccolta degli usi dalle Camere di Commercio, per come la legge ha disciplinato questo compito, avvenga attraverso una procedura pubblicistica, chiusa da un atto amministrativo.

    Il compito di accertare e raccogliere usi e consuetudini commerciali (secondo la vecchia terminologia adottata dal Codice di Commercio) è tra i compiti tradizionali delle Camere di Commercio, ad esse deferito, in qualità di pubbliche amministrazioni aperte alla rappresentanza di interessi economici, sin dalla L. 20 marzo 1910, n. 121 (v. FRICANO R., Le Camere di Commercio in Italia, Milano, 1983, 172 ss.).

    In forza dell'art. 32 del R.D. 20 settembre 1934, n. 2011, alle Camere di Commercio è stato poi demandato, in quanto eredi di funzioni dei Consigli provinciali dell'economia corporativa, «l'accertamento degli usi e delle consuetudini commerciali ed agrari della provincia e dei Comuni, le cui raccolte sono (...) compilate e rivedute periodicamente con le norme di cui agli artt. 34 e seguenti».

    Le regole procedurali per l'accertamento e la raccolta degli usi sono state fissate dall'art. 34 del R.D. n. 2011 del 1934, che le Camere di Commercio hanno in genere attuato alla luce delle ulteriori indicazioni fornite dal Ministero dell'Industria, soprattutto a partire dalla circolare Ministero dell'Industria n. 1695/c del 2 luglio 1964 modificata con circolare 7 novembre 1990.

    In questa cornice, in vista delle «necessarie indagini» per l'accertamento degli usi, le Camere di commercio hanno so litamente designato apposite Commissioni, composte di esperti ed esponenti di categorie professionali ed economiche, coadiuvate da Comitati tecnici per singoli settori (quali, ad esempio, «comunioni tacite familiari», «compraventita e locazione di immobili urbani», «compravendita di fondi rustici» ecc.).

    Per l'art. 34 del R.D. n. 2011, una volta compilata la raccolta degli usi, per cui è comunque prescritta l'affissione all'albo (ci si avvale sovente degli albi comunali), questa deve essere resa pubblica, affinché «entro quarantacinque giorni (...) le associazioni professionali e chiunque vi abbia interesse» facciano «pervenire le loro osservazioni».

    Dopo di che la raccolta degli usi è definitivamente approvata dall'organo competente il quale, in difetto di difformi indicazioni statutarie oltre che legislative, sembra doversi identificare con la Giunta della Camera di Commercio, dotata di competenza generale e residuale (art. 14, comma 6 della L. 29 dicembre 1993, n. 580).

    Le raccolte degli usi dovrebbero essere aggiornate «periodicamente e, in ogni caso, almeno ogni cinque anni» (art. 39 del R.D. n. 2011 del 1934).

  2. - Il compito delle Camere di Commercio, così esercitato, non ha peraltro contorni del tutto netti, a causa dei contorni sfumati della nozione stessa degli «usi» che esse sono chiamate ad accertare e raccogliere.

    Certamente, le Camere di commercio sono di massima investite dell'accertamento e della raccolta degli usi solamente a livello locale, poiché per gli «usi generali del commercio» è stata dettata un'apposita disciplina legislativa ed istituita una «Commissione speciale permanente» presso il Ministero dell'Industria. Il D.L.vo C.P.S. 27 gennaio 1947, n. 152, come integr. e modif. dalla L. 13 marzo 1950, n. 115, ha previsto che, per gli «usi generali», le Camere di Commercio, oltre a partecipare alla designazione della Commissione ministeriale, potessero solo prender parte al procedimento con proprie «osservazioni», e dunque in chiave consultiva (art. 3 della L. n. 115 del 1950).

    Questa limitazione al compito delle Camere di Commercio per rapporto all'accertamento degli «usi generali» sembra dover restare fermo, in linea di principio, nonostante che la «Commissione permanente» presso il Ministero dell'Industria sia stata coinvolta nella riorganizzazione degli organi collegiali dell'amministrazione centrale intrapresa con il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 608.

    Si tratta però di una limitazione non tanto significativa. La dottrina e la stessa giurisprudenza, anche sullo sfondo dell'impianto del codice civile del 1942, sembrano infatti continuare a ritenere che l'«uso» non sia altro che ciò che, correntemente, si è denominato e si denomina consuetudine, ossia una «prassi sociale costante, ripetuta uniformemente per lungo tempo (...)« accompagnata dall'«idea che una certa condotta sia doverosa» (così GUASTINI R., Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale di MENGONI L., Milano, 1998, 647 e ss.). E, ciò posto, tra l'«uso generale» e quello «locale» è scontato che non possa darsi un...

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