Questioni insolute ed eccessi di delega nel D.L.vo n. 231/01

AutoreM. Antonella Pasculli
Pagine739-744

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Nel rapporto tra l'art. 11 L. 300/00, legge di ratifica ed esecuzione di importanti atti internazionali, attuativi dell'art. K 3, paragrafo 2, lett. c) del Trattato dell'Unione Europea 1, e l'articolato del D.L.vo n. 231/01 si riscontra un andamento di coerenza discontinua, da cui emergono posizioni chiare e altrettanti punti oscuri nella rappresentazione normativa del modello di responsabilità tracciato. Esaminerò brevemente entrambe le posizioni del decreto legislativo, quelle rispettose della delega e quelle disinvolte e minate di ambiguità assunte dal legislatore delegato.

@1. La scelta di un modello di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Una sorta di razionale flessibilità, coerente, almeno per i riflessi dogmatici, con il dettato costituzionale 2, ha condotto il legislatore italiano alla scelta di un modello di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche 3.

L'art. 11 della legge delega indica espressamente che il decreto legislativo avrà ad oggetto la disciplina amministrativa delle persone giuridiche, prevedendo una serie di sanzioni amministrative; il decreto legislativo n. 231, in attuazione della delega, considera amministrativa la disciplina de quo, come è confermato anche dalla Relazione introduttiva al decreto. Gli atti internazionali oggetto di ratifica, per la verità, conferivano carta bianca al legislatore delegante 4. In nessuno di essi, se si esclude il Secondo Protocollo alla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee e la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, è contenuto articolo che disciplini una generale forma di responsabilità per gli enti collettivi.

L'art. 3 della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee rubrica espressamente responsabilità penale dei dirigenti delle imprese, con esclusivo riferimento alla possibilità per ciascun Stato membro di adottare le misure necessarie per dichiarare penalmente responsabili, secondo i principi stabiliti dal diritto interno, i dirigenti delle imprese ovvero qualsiasi altra persona che eserciti potere di decisione e di controllo in seno ad un'impresa «per gli atti fraudolenti commessi ai danni degli interessi finanziari delle Comunità, quali definiti dall'art. 1, commessi da persone soggette alla loro autorità per conto dell'impresa».

La Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea all'art. 6 «Responsabilità penale dei dirigenti delle imprese» replica l'art. 3 della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee.

Il Primo Protocollo della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, dopo aver indicato le tipologie di reati punibili, all'art. 2 paragrafo 2, così come all'art. 3, paragrafo 2, sancisce espressamente che «ciascun Stato membro adotta le misure necessarie a assicurare che le condotte di cui al paragrafo 1 costituiscano illeciti penali».

È solo nel Secondo Protocollo alla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee che all'art. 3 viene prevista la responsabilità delle persone giuridiche, per cui «ciascun Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili della frode, della corruzione attiva e del riciclaggio di danaro commessi a loro beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, che detenga un posto dominante in seno alla persona giuridica», responsabilità passibile, ai sensi dell'art. 4 Secondo Protocollo, di «sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, che includono sanzioni pecuniarie o di natura penale o amministrativa» e altre sanzioni più specificatamente interdittive.

Tale responsabilità delle persone giuridiche è ribadita agli artt. 2 e 3 5 della Convenzione OCSE, che contiene una clausola normativa espressa di riferimento ai principi di ciascun Stato membro per ciò che attiene alla scelta del tipo di responsabilità degli enti collettivi, penale o amministrativa. Queste erano le basi normative da cui partire.

Sulla scorta di tali spunti critici gli studiosi della problematica in tema di responsabilità delle persone giuridiche hanno valorizzato due strade di ricerca: da un lato l'analisi di diritto comparato 6, che ha fornito materiale empirico ed analitico pr la creazione di una forma di generale responsabilità per l'ordinamento italiano; dall'altro la riflessione dogmatica 7 circa i parametri destinati a circoscrivere l'area dell'intervento penale, parametri destinati a svolgere esclusivamente il ruolo di un «criterio di orientamento» di cui il legislatore deve avvalersi nel valutare le ragioni pro e contro l'ammissibilità del ricorso alla sanzione penale, che consente di stabilire «non se un determinato illecito debba o non debba essere punito, secondo i termini radicali in cui la scelta si profila in un ordinamento "monistico", ma se un illecito debba essere punito con una sanzione penale o con una sanzione amministrativa. Il problema, dunque, non è più l'an della tutela, ma il quomodo con cui essa deve esprimersi» 8.

D'altro canto diversamente da un approccio giuridico tradizionale, ruolo determinante ha svolto nella formulazione di un modello di responsabilità diretta delle persone giuridiche la constatazione empirico-statistica di un incremento vertiginoso della criminalità dal colletto bianco; gli impianti post-capitalistici di industria e finanza, che privilegiano gli schemi fittizi giuridico-formali delle impresesocietà, con la conseguente quasi totale scomparsa delle singole individualità fisiche; gli sviluppi della criminalità organizzata, caratterizzata dall'intrecciarsi crimogenetico tra imprenditoria, potere politico, pubblica amministrazione, delinquenza mafiosa e non 9.

Ne è scaturita come logica conseguenza una diversa valutazione del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale 10, intesa in senso restrittivo come divieto di responsabilità per il fatto altrui, accogliendo la teoria organicista, fondata sull'immedesimazione tra ente edPage 740 organo rappresentante, che nega una dualità degli stessi e, quindi, permette di imputare il reato direttamente alla persona giuridica, superando l'ostacolo della necessità di individuare una persona fisica cui attribuire tale responsabilità e che identifica il coefficiente di colpevolezza della persona giuridica nella volontà sociale, in grado di compiere reati come la volontà individuale con l'atteggiamento psicologico del dolo o della colpa tipico delle persone fisiche, fatte salve le opportune differenze di ordine naturalistico.

La scelta posta in essere dal legislatore delegante/delegato dimostra, pertanto, come la ricostruzione del contenuto dei principi costituzionali riguardanti la struttura ed i coefficienti di imputazione dell'illecito penale - «ed in particolare di quello corrispondente alla solenne proclamazione costituzionale della "personalità" della "responsabilità penale"» 11 - abbia svolto un ruolo particolarmente significativo nella definizione del paradigma di responsabilità di cui al D.L.vo n. 231/01; come il crescente sviluppo delle aree di criminalità economiche abbia concausato differenti crisi di strutturd 12 del modello penalistico di responsabilità; come nella problematizzazione dei rapporti fra valori costituzionali e ragioni di politica criminale abbia prevalso la tendenza limitativa alla sfera di legittimazione dell'intervento penale, anche attraverso proposte minimali di affidamento al diritto civile e/o al diritto amministrativo dei problemi di gestione della criminalità d'impresa 13.

A fronte degli impulsi normativi internazionali e degli apporti dottrinari come è stata determinata la responsabilità di un soggetto collettivo nel nostro ordinamento? Rendere responsabile una società significa «metterle sul suo conto» un atto illecito, al fine precipuo di farle subire una pena. Ricercare questa tipologia di responsabilità consente di applicarle una sanzione. La responsabilità penale si articola nelle due subcategorie della causalità che collega l'atto illecito all'autore, interpretata come responsabilità per fatto proprio 14 e della colpevolezza che definisce il contenuto dell'atto, interpretata come responsabilità per fatto proprio colpevole 15. Questo comporta che, secondo il dettato costituzionale, «autore della condotta antigiuridica, che ha prodotto il risultato penalmente rilevante, soggetto cui si imputa l'effetto lesivo, e persona che subisce la conseguente sanzione criminale nello schema della responsabilità penale devono coincidere» 16. Il legislatore aveva il difficile compito di far conciliare la struttura delle responsabilità penale con la struttura della persona giuridica, «persona per il diritto» 17. Lo sdoppiamento di personalità, esistente, come risultato di tecnica giuridica, fra ente collettivo e persone fisiche, per cui questi possano dirsi terzi rispetto alla persona giuridica, viene superato attraverso una forma di immedesimazione organica fra ente e soggetti che lo costituiscono, da cui scaturisce l'assioma seguente: «l'attività degli organi diventa automaticamente imputabile alla persona collettiva» 18.

Solo in virtù di un rapporto di rappresentanza organico tra persone fisiche e persone giuridiche è concettualmente ammissibile attribuire una forma di responsabilità agli enti collettivi e di conseguenza sottoporli a sanzione. La responsabilità descritta nella normativa delegata per le persone giuridiche è, dunque, ipotizzabile come «fenotipo penale di tutela» 19?

L'espressione illeciti amministrativi dipendenti da reati, già oggetto di dibattito approfondito delle commissioni ministeriali chiamate a valutare la configurabilità di un sistema di responsabilità...

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