Quando il trattamento illecito dei dati personali può offendere la reputazione

AutoreFrancesco Giuseppe Catullo
Pagine484-487

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  1. - La tutela penale dei diritti della personalità, ed in particolare del trattamento dei dati personali, viene assicurata dalla decisione annotata, che ricostruisce e condanna la condotta del direttore responsabile di una rivista dai contenuti pornografici che pubblicava nel periodico da lui diretto i dati personali di una giovane donna senza il consenso della stessa.

    L'oggetto dell'accertamento giudiziale comprende due fatti tra loro collegati, ma cronologicamente non contestuali: a) la pubblicazione di un annuncio presuntivamente inviato e sottoscritto dalla vittima dell'illecito in questione avente ad oggetto la proposta rivolta a terzi d'instaurare con lei amicizie e corrispondenze trasgressive; b) la ripubblicazione del medesimo annuncio in altra rivista che annualmente raccoglieva i contenuti di maggiore interesse della prima.

    Tra la prima e la seconda stampa, veniva indirizzata, dai legali della persona offesa, alla redazione dell'unica casa editrice di entrambe le riviste «Edizioni Blu» una missiva con la quale si diffidava quest'ultima a non diffondere illecitamente i dati personali in questione senza consenso dell'avente diritto, onde evitare ulteriori e più gravi pregiudizi per la persona offesa.

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    Vi è prova, infatti, che a causa della descritta illecita condotta la giovane ha dovuto subire il pregiudizio derivante dal recapito al proprio indirizzo di corrispondenza oscena e, perfino, la perdita della tranquillità, vedendo trasformare la sua casa in meta ambita dai lettori dell'inserzione, pronti ad apostrofarla con espressioni ammiccanti e volgari. L'intollerabilità della descritta situazione costringeva addirittura la donna e la sua famiglia a trasferire, in altro luogo, la propria dimora.

    In giudizio viene prodotta, altresì, copia di una lettera, indirizzata alle edizioni L. Image di Milano presuntivamente inviata dalla persona offesa e precedente rispetto alla prima pubblicazione di «Edizioni Blu», in cui l'autore protesta per la mancata pubblicazione delle fotografie personali su una terza ed ulteriore rivista.

    In questa circostanza, non oggetto di giudizio, tramite «saggio grafico in udienza» si accerta la falsità della firma e, conseguentemente, che la destinataria dell'illecito in questione non aveva inviato alcuna inserzione per tale rivista, né tantomeno aveva consentito ad iniziative inserzioniste dei propri dati.

    Il Tribunale di Roma sussume il fatto così descritto nella fattispecie di cui all'art. 35 della L. 31 dicembre 1996, n. 675 1 per i seguenti motivi:

    - trattazione non autorizzata di dati personali, mancando il valido consenso dell'interessata;

    - azione, posta in essere dagli imputati, sorretta da dolo sia con riferimento alla prima pubblicazione per mancanza di consenso, sia soprattutto con riferimento alla seconda, per la quale doveva essere nota - dopo l'invio della citata diffida - l'assenza di consenso al trattamento dei dati personali dell'interessata;

    - conseguimento, a parere del giudicante, di un aumento del materiale da pubblicare e, quindi, di un maggiore profitto connesso alla diffusione e vendita dei periodici;

    - nocumento sofferto dalla vittima in seguito al perfezionarsi dell'illecito trattamento dei propri dati personali 2 3.

  2. - Comprendere il disvalore della descritta condotta implica approfondimenti sui motivi che l'avrebbero sostenuta e per far ciò è necessario separare la disamina della prima fase dell'azione illecita dalla seconda, valutando oltre il tempo intercorso, soprattutto la diffida indirizzata dalla parte offesa alla casa editrice «Edizioni Blu» a non perseverare nell'offensiva condotta, considerando che terzi illecitamente avevano provveduto a redigere l'inserzione - oggetto di accertamento giudiziale.

    Se è pacifica, infatti, la responsabilità penale del direttore della seconda pubblicazione ai sensi dell'art. 35 L. n. 675/1996, così come è stata riconosciuta nella sentenza in commento, controversa è quella del direttore della prima rivista per il quale risultano insufficienti gli approfondimenti del giudice di prime in cure in merito all'imputazione soggettiva del primo «fatto» di reato, sebbene il magistrato licenzi la descritta...

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