La qualificazione del contratto di franchising

AutoreAntonio Fici
CaricaProfessore associato di Diritto privato nell'Università degli Studi del Molise.
Pagine75-117

Questo scritto è destinato agli Studi in onore del prof. Giovanni Giacobbe

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@1. La nozione

Secondo l'art. 1, 1º co., della legge 6 maggio 2004, n. 129, «l'affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi»1.

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Così definendo il contratto di franchising, il legislatore ne ha individuato la struttura tipica sulla base di diversi requisiti, soggettivi e oggettivi, la cui contestuale presenza è necessaria ai fini della qualificazione di una data fattispecie concreta come franchising e dell'applicazione della relativa disciplina.

Si tratta di una fattispecie legale "a maglie larghe" e sicuramente più ampia rispetto al modello sociale di franchising affermatosi precedentemente all'intervento legislativo di tipizzazione2; un tipo legale in grado perciò di assorbire fattispecie (sinora ritenute) atipiche come la concessione di vendita.

@2. I requisiti soggettivi della fattispecie: la natura giuridica delle parti

In primo luogo, il franchising è un contratto tra due parti, il franchisor (o affiliante) e il franchisee (o affiliato), e dunque sotto questo profilo è un contratto bilaterale.

Curiosamente, l'art. 1, 1º co., l. 129/2004, si riferisce ai contraenti come "soggetti giuridici" piuttosto che come "parti".

Quella di soggetto giuridico (o di soggetto di diritto) non è però un'espressione diffusa nel lessico legislativo: in sporadici casi essa viene impiegata per contrapporre gli enti privi di personalità giuridica a quelli personificati3, o per designare indistintamente i destinatari di una determinata norma giuridica4.

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Ancorché la nozione sia stata molto dibattuta nella storia del pensiero giuridico5, può dirsi che quest'ultima è la sua accezione comune nell'odierna dogmatica: soggetti giuridici sono tutti coloro (persone fisiche e enti) che l'ordinamento considera destinatari delle norme giuridiche e dei loro effetti6.

Non si dovrebbe pertanto temere che il riferimento ai "soggetti giuridici" nell'art. 1, 1º co., possa condurre a ritenere escluse le persone fisiche dall'ambito di applicazione della legge7, perché la categoria dogmatica del soggetto giuridico, come detto, comprende sia enti che individui, e perché questa eventuale interpretazione, dando luogo ad un irragionevole trattamento differenziato degli individui rispetto agli enti, sarebbe illegittima per contrasto con l'art. 3, Cost.

In materia (negoziale e) contrattuale, gli autori dell'accordo sono piuttosto le "parti" e non i soggetti giuridici in quanto tali (cfr., tra gli altri, artt. 1321, 1322, 1325, 1472, 1473)8. Parte vuole essere, in questo contesto, equivalente a centro d'interessi. Ecco perché la parte contrattuale può essere plurisoggettiva, cioè formata da più soggetti giuridici portatori di un identico interesse al contratto9.

Potrebbe allora sostenersi che l'art. 1, 1º co., l. 129/2004, abbia voluto negare la possibilità di una parte plurisoggettiva in un contratto di franchising? La risposta negativa appare invero l'unica sensata, perché non vi sarebbe alcuna ragione per escludere che più interessi sottostanti ad un contratto di franchising possano organizzarsi in capo ad un'unica parte contrattuale.

Del resto, lo stesso art. 1, 1º co., fa successivamente riferimento alla «parte che concede la disponibilità», orientando così senza alcun dubbio l'interprete verso la conclusione che, nella definizione del contratto di franchising, l'espressione "soggetti giuridici" sostituisca (impropriamente) quella tecnicamente più corretta di "parti".

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@3. (Segue): l'indipendenza economica e giuridica dei contraenti

In secondo luogo, il franchising è un contratto tra parti economicamente e giuridicamente indipendenti10.

L'espressione "indipendenza economica" non risulta essere mai stata impiegata prima d'ora dal legislatore dei contratti, se non in un contesto, quello della disciplina della subfornitura, dove si definisce in positivo la "dipendenza economica" (di cui è vietato l'abuso) come quella «situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi» (art. 9, 1º co., l. 192/98). Qui la dipendenza economica individua una situazione in cui un imprenditore è in concreto indispensabile ad un altro, a causa della impossibilità (economica) per quest'ultimo di fare a meno del primo, per ragioni legate agli investimenti specifici già effettuati11.

Non è questo, però, il significato che il requisito dell'indipendenza economica assume nella definizione del franchising12, da un lato perché la dipendenza economica di cui all'art. 9 cit. è un effetto economico e non già una circostanza astrattamente idonea a qualificare un tipo negoziale, dall'altro perché sarebbe comunque illogico far dipendere da ciò la qualificazione del contratto di franchising (e, più ampiamente, di qualsiasi altro tipo contrattuale), potendo anzi il franchising dar luogo ad un rapporto caratterizzato dalla dipendenza economica di un contraente dall'altro, con conseguente possibilità di applicazione dell'art. 9, l. 192/98.

Se si guarda allora ai lavori preparatori della legge 129/2004, si scopre che l'inciso «economicamente e giuridicamente indipendenti» è stato introdotto in limine per «differenziare nettamente il contratto di franchising da qualsiasi forma di contratto Page 79 di lavoro subordinato od anche parasubordinato»13. Preoccupazione, quest'ultima, evidentemente indotta dal fatto che il contratto di franchising attribuisce di norma all'affiliante ampi poteri direttivi e di controllo sull'attività economica dell'affiliato, tali da poter sollevare il dubbio che il franchisee sia in realtà un lavoratore subordinato, o quanto meno ad esso equiparabile, con le ovvie ricadute disciplinari14.

La dottrina, pertanto, è generalmente concorde nel sostenere che, in virtù del requisito dell'indipendenza, il franchising non costituisce un vincolo di subordinazione tra affiliante ed affiliato15.

Occorre però prestare attenzione ad enucleare quest'ultimo argomento senza confondere l'effetto con la causa. L'assenza di vincolo di subordinazione non è infatti il risultato necessario ed automatico della conclusione di un contratto di franchising. Piuttosto, essendo l'indipendenza economica un requisito della fattispecie, sussiste un franchising solo se (al di là del nomen iuris attribuito dalle parti al contratto, come noto non vincolante per il giudice in sede di qualificazione della fattispecie concreta16) il contenuto concreto del contratto e le modalità di svolgimento del rapporto soddisfino questo requisito17.

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Il legislatore, peraltro, non si è premurato di definire o declinare il requisito dell'indipendenza economica in particolari contenuti contrattuali vietati, lasciando così ampi spazi di discrezionalità all'interprete nella valutazione del caso concreto.

Se l'assoluta mancanza di autonomia organizzativa del franchisee esclude la sussistenza di un franchising per difetto del requisito di indipendenza economica, qual è il livello di compressione della libertà compatibile con questo requisito? C'è, ad esempio, autonomia organizzativa quando il franchisee è contrattualmente obbligato ad effettuare un numero minimo di acquisti dal franchisor, ad applicare il prezzo di vendita stabilito dal franchisor, a conformarsi alle direttive del franchisor riguardo a luoghi, modi e tempi di commercializzazione al pubblico? E quid iuris qualora egli fosse altresì obbligato ad assumere un numero minimo di dipendenti eventualmente graditi all'affiliante nonché ad avvalersi soltanto dei fornitori indicati dal franchisor?

L'indipendenza economica, comunque, non si esaurisce nel profilo dell'autonomia organizzativa ma comprende anche e soprattutto il connesso profilo dell'autonomia imprenditoriale, che implica l'assunzione del rischio d'impresa. Un contratto non sarebbe dunque qualificabile come franchising qualora l'affiliato (pur essendo autonomo dal punto di vista organizzativo) non sopporti almeno in parte il rischio dell'insuccesso economico dell'attività condotta in franchising18.

Così interpretata, la formula dell'indipendenza economica di cui all'art. 1, 1º co., l. 129/2004, coincide sostanzialmente con quelle che, seppur con termini diversi, individuano altri tipi contrattuali del codice civile.

Si allude, cioè, alla "organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio" che, ai sensi dell'art. 1655, c.c., connota il tipo dell'appalto, e alla "assenza di vincolo di subordinazione" nello svolgimento della prestazione lavorativa che, ai sensi dell'art. 2222, c.c., connota il tipo del contratto d'opera. Entrambe le formule, infatti, elevano l'autonomia organizzativa e imprenditoriale dell'appaltatore e del prestatore d'opera rispetto ai committenti - ovverosia, per dirla con la legge 129/2004, l'"indipendenza economica" delle parti - a requisito di identificazione della fattispecie19.

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Se si condivide l'accostamento proposto, allora al problema della verifica della concreta sussistenza dell'indipendenza economica del franchisee, e di un'eventuale diversa qualificazione (anche come contratto di lavoro subordinato) della fattispecie contrattuale concreta, potrà giovare il dibattito dottrinario e l'ampia casistica giurisprudenziale che hanno riguardato i contratti d'appalto e d'opera sotto il profilo dei loro rapporti con quello di lavoro subordinato20.

Non è...

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