Il punto di vista dell'avvocato: Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti provvisori

AutoreClaudio Cecchella
Occupazione dell'autoreProfessore di diritto processuale civile, Università di Pisa
Pagine67-78

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@1. Il problema

La storia di questo scorcio di secolo, con un'accentuazione estrema nei primi anni del secolo nuovo, è la storia della dinamica generata dalle regole della società civile sull'ordinamento giuridico statuale, di cui l'istituzione familiare sul piano del diritto positivo ha risentito più di ogni altra categoria civilistica: dalla legge del 1970 sul divorzio o dalla legge del 1975 sulla famiglia oppure, ancora, dalla legge del 1987 che interviene sulla prima, con importanti ricadute sul procedimento per separazione, sino all'ultimo episodio, a noi contemporaneo, delle leggi n. 80 del 2005 e n. 54 del 2006.

Per quello che in questa sede interessa, i riflessi processuali dei corrispondenti istituti di diritto sostanziale riformati - l'affidamento, il mantenimento, l'assegnazione dell'abitazione -, nonostante che la dialettica tra diritto e costume si sia risolta storicamente a favore della seconda con fondamentali interventi nell'ambito del diritto sostanziale nell'incontenibile dinamica di cui sono espressione le leggi poc'anzi menzionate, non hanno vissuto una stagione altrettanto feconda, con interventi frammentari, asistematici e, nell'ultima esperienza, tecnicamente errati.

La contingenza storica ha condotto all'apice questa involuzione, almeno nel diritto processuale della famiglia, già evidente a partire dagli anni settanta e mai come oggi necessitante, con l'ausilio di studiosi e operatori e non con la fretta degli ultimi episodi indotti forzatamente ai limiti estremi di una legislatura, un intervento di razionalizzazione legislativa, ove siano risolte una volta per tutte le dicotomie tra una giurisdizione ordinaria e una giurisdizione minorile, tra un rito ordinario di cognizione e un rito speciale della famiglia, tra un rito sommario anticipatorio cautelare e un rito sommario anticipatorio familiare, tra un'esecuzione ordinaria e le frammentarie e incoerenti forme di esecuzione dei crediti di mantenimento o di consegna del minore. Page 68

Non si può infatti rovesciare sull'interprete, e in ultima analisi sul giudice, gli squilibri sistematici e i grossolani errori di formulazione della regola di diritto positivo.

Il compito è arduo e mai come in questa materia la babele dei linguaggi impera, segno del degrado provocato dalla più recente legislazione, in un ambito come quello processuale ove la certezza del diritto è in genere segno di civiltà giuridica e più che mai come nel processo familiare.

@2. La nuova categoria dei provvedimenti sommari anticipatori e il regime relativo

Il processo familiare, sin dalle originarie regole del codice di rito (art. 708 e 189 disp. att. c.p.c.), per la maggiore e inderogabile necessità che il processo si risolvesse senza dilazioni in una tutela dei diritti, ma soprattutto adeguasse la regola pronunciata in sede giurisdizionale all'evoluzione in continuo divenire della realtà familiare, aveva introdotto una misura di carattere anticipatorio, fondata su di una cognizione allo stato degli atti, affidandola al presidente del tribunale nella fase preliminare del processo per separazione e divorzio, con una peculiare stabilizzazione, e salvo revoca con contrastante misura sommaria o ordinaria in altro processo, in caso di estinzione del processo (art. 189 disp. att. c.p.c.) e comunque modulabile alla luce della mutevolezza della fattispecie nel tempo, grazie al potere di revoca e modifica attribuito al giudice della fase di merito (708 u.c. c.p.c.).

L'agonia del processo civile, ove il giudicato si rivela un'utopia, all'esito di tre infiniti gradi di giudizio, ha travasato nel rito comune lo speciale mezzo anticipatorio1, prima in via incidentale (artt. 186-bis e ter; 423; 624; 703 c.p.c.) e poi in via principale (art. 19 d.lgs. n. 5 del 2003), o in entrambe le forme (art. 669-octies, 4º comma), ma come spesso accade l'istituto è stato timidamente introdotto, solo per la tutela di alcuni diritti e attraverso una disciplina scarna che ha suscitato, come suscita, enormi problemi applicativi.

Presto si è messa a fuoco, sul piano positivo, una tutela anticipatoria degli effetti esecutivi della sentenza di merito, in forma di ordinanza, fondata per lo più su di una cognizione sommaria, destinata a colmare la dilazione provocata dalle forme di cognizione piena, quindi in funzione di un'esigenza latu sensu cautelare, poiché una tutela tardiva, ovvero non effettiva, provoca un pregiudizio letale al diritto, tanto che la distinzione con gli strumenti cautelari in senso stretto si rende molto evanescente.

Al conflitto si impone così una regola, che offre un minimo di certezza al rapporto controverso, a cui le parti possono medio tempore ispirare le loro condotte e sulla quale le stesse possono spegnere il conflitto, senza che l'abbandono della tutela nelle forme ordinarie che conduce al giudicato possa incidere sull'efficacia della anticipazione, che Page 69 continua a porre la regola, sin tanto che in altro episodio processuale sia revocata o modificata ancora con una misura sommaria dello stesso tipo o con la pronuncia finale di merito (generalizzazione della regola dell'art. 189 disp. att. cit.). Perciò essa non è mai idonea al giudicato, né agli effetti preclusivi pro iudicato2.

@3. I condizionamenti di un'interpretazione costituzionalmente orientata

Ora il sistema di tutela anticipatoria alternativa alla tutela dichiarativa confluente nel giudicato cui conducono le riforme, sino all'ipotizzata generalizzazione nei progetti dell'attuale compagine governativa3, deve porsi in rigorosa linea con le garanzie imposte da fonte costituzionale e internazionale sul processo4.

Ed è questo il vero problema, poiché allo stato della frammentata introduzione del nuovo sistema di tutela e la contraddittoria disciplina, questo allineamento può dirsi ben lungi dall'essere raggiunto e all'interprete, anche a costo di forzature indotte da un'interpretazione evolutiva, compete l'arduo compito.

La risposta della giurisprudenza è deludente, anche se con il non secondario alibi dei silenzi e delle lacune di un legislatore approssimativo.

Se, infatti, la regola deve essere riposta - in tempi accettabili - a una cognizione sommaria e se il rito secondo le regole comuni si consuma in un tempo infinito e se, in particolare, la regola al conflitto può stabilizzarsi per un tempo altrettanto indefinito, pur non assumendo la stabilità del giudicato, è necessario concepire un riesame, ovvero un gravame che consenta a un altro giudice, auspicabilmente collegiale, di sindacare l'operato in prime cure del collega.

Questa esigenza peraltro diventa insopprimibile necessità quando il sistema apre alcune esperienze a tale riesame, come nel caso del reclamo cautelare dell'art. 669-terdecies c.p.c. oppure, richiamando lo stesso tipo di gravame, per i provvedimenti interinali a tutela del possesso, strumenti funzionalmente diversi, ma accomunati dalla anticipazione degli effetti della tutela del merito. Page 70

Oltre a una garanzia di riesame, si impone, e non solo nella materia familiare, un'esigenza di adeguamento della regola dettata dalla misura sommaria all'evoluzione storica della fattispecie, proprio per la dilazione in cui si consuma sino al suo esaurimento la tutela dichiarativa che conduce al giudicato.

Si tratta di strumenti diversi, il primo fondato su di un riesame di una fattispecie immutata, il secondo su di un adeguamento a una fattispecie in evoluzione.

@4. Il regime previgente e le ragioni della disciplina codicistica

Nel contesto del codice del 1865 (artt. 806 sgg. c.p.c.), che tramite il codice del Regno delle due Sicilie aveva eredito la regola napoleonica, era accentuata la scissione della fase presidenziale rispetto alla fase successiva dichiarativa e che conduceva al giudicato, con assimilazione della prima a un procedimento di volontaria giurisdizione e perciò nessuna aveva mai dubitato della reclamabilità dei provvedimenti presidenziali, con reclamo camerale al presidente della corte di appello5.

Ma tale impostazione era coerente con tutta una serie di garanzie che il processo liberale delle origini offriva anche ai provvedimenti interlocutori, nel corso del processo di rito ordinario, spesso aventi le forme della sentenza impugnabile.

Il codice del 1942, pur recuperando il modello bifasico delle origini, aveva preferito una continuità del procedimento, con una domanda di merito già formulata con il ricorso dell'art. 706 c.p.c. e la fase presidenziale destinata a tentare la conciliazione dei coniugi e, in difetto, a dettare le regole fondamentali della separazione, per la durata del giudizio a cognizione piena. L'appartenenza conseguente dei provvedimenti provvisori e urgenti del presidente alla giurisdizione contenziosa rompeva il cordone ombelicale con il reclamo camerale e subiva gli effetti della disciplina del rito comune che, reagendo alle impugnative incidentali di cui era costellato il rito previgente, faceva divieto di impugnativa, riconducendo tutto alla revocabilità e modificabilità dello stesso giudice pronunciante e comunque alla revocabilità discendente dalla sentenza finale (art. 177 c.p.c., se si escludevano le ordinanze espressamente reclamabili, 3º comma, n. 3, come quelle istruttorie e sulla estinzione).

Ma tale impostazione ben poteva giustificarsi in relazione a provvedimenti ordinatori volti a dare impulso e ordine allo svolgimento processuale, molto meno quando il provvedimento interlocutorio aveva modo di interferire con la tutela di merito, negli episodi cautelari o in quelli anticipatori non cautelari. Page 71

A tale sistema attingeva inevitabilmente l'ordinanza presidenziale, tutto risolvendosi nei poteri di revoca e modifica del giudice istruttore della fase di merito, peraltro nella previsione originaria presupponenti il sopravvenire di circostanze (e perciò non sindacabili in caso di identità della fattispecie), secondo il vecchio tenore dell'art. 708 u.c., c.p.c.

Vi è anche da dire che, essendo la separazione nella disciplina...

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