Psicologia e informatica

AutoreMaurizio Lupoi
Pagine139-146

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  1. Né gli studiosi di psicologia né quelli di informatica hanno affrontato, al livello scientifico, il tema del rapporto fra le due discipline. Gli scritti di carattere aziendalistico seguono una prospettiva troppo tesa al raggiungimento di finalità pratiche per essere presi in considerazione, e comunque si limitano alla descrizione od all'analisi di problematiche troppo limitate per fornire alcuna utile traccia ad una indagine principalmente vertente su problematiche di indole generale.

    Osservava Johan Huizinga, nella prefazione al suo Homo ludens del 1938, che «è oramai destino di chi vuol trattare problemi culturali, di doversi arrischiare su diversi terreni che non conosce a fondo»; l'osservazione è fatta propria dall'autore di queste note, il quale ha fondato la propria riflessione principalmente sulle esperienze proprie e di persone che hanno riferito le loro.

    Le considerazioni che seguono sono divise in parti slegate le une dalle altre, non essendo sembrato possibile, né opportuno, tentare di ricomporre in una teoria unitaria la pluralità dei fenomeni osservati.

  2. Gli scritti divulgativi e giornalistici hanno accreditato la visione dell'elaboratore quale macchina incapace di fare alcunché «da sola» e, soprattutto, incapace di aggiungere alcunché di «proprio» a ciò che l'uomo le ha preventivamente comunicato. Espressioni come «garbage in, garbage out» hanno colto la fantasìa popolare ed, in varie versioni, si sono diffuse con rapidità impressionante.

    L'opinione comune, che spesso si trova condivisa e sostenuta anche fra i cosiddetti esperti, è oramai nel senso che l'elaboratore sia una macchina tanto veloce quanto stupida. Essa, quindi, libera l'uomo dalle operazioni ripetitive, gli fornisce la risposta a calcoli complessi, combina rapidamente enormi insiemi di dati e così via: ma certo nulla aggiunge a ciò che l'uomo avrebbe comunque ottenuto con altri mezzi, sia pure in un tempo molto maggiore ed impiegando risorse umane assai impegnative,

    Il fatto, accertato, che in talune circostanze l'elaboratore esegua calcoli che nessun gruppo di matematici potrebbe eseguire neanche nel corso di parecchi decenni, non modifica l'opinione comune sopra illustrata, perché essa si fonda, sia pure in maniera per lo più inespressa, su egigenze qualitative o, più precisamente, strutturali: ribattere ad essa sulla base di osservazioni quantitative, giustamente non serve a nulla.

    L'unica risposta adeguata sarebbe quella che si muovesse sul terreno vero dello scontro e non su tenitori finitimi e senza importanza; ed il terreno ve-Page 140ro dello scontro è quello della incapacità strutturale della mente umana a cogliere nessi e ad impadronirsi di conoscenze che l'elaboratore coglie e dei quali si impadronisce.

    Siamo condotti, come è evidente, sul terreno dell'intelligenza artificiale. Per quanto riguarda l'argomento che stiamo analizzando, i termini dell'indagine si possono porre, semplicemente, per mezzo della seguente domanda: a parità di stimoli provenienti dal mondo esterno, l'elaboratore è in grado di auto-regolarsi meglio di quanto l'uomo sappia fare.

    La risposta positiva alla domanda coinvolge non solo valutazioni qualitative, ma, come si è avvertito, strutturali, perché essa implica che l'elaboratore eserciti facoltà delle quali la mente umana è priva in quel grado. Trattandosi della facoltà di autoregolare il proprio comportamento in vista del raggiungimento di finalità prestabilite, qualunque differenza quantitativa si traduce, di necessità, in differenza qualitativa, perché consente di agire opportunamente in circostanze nelle quali la mente umana non sarebbe in grado di agire opportunamente: in sostanza, sotto il profilo finalistico, non sarebbe in grado di agire per nulla.

    Esistono oramai innumerevoli dimostrazioni della giustezza della risposta positiva alla domanda che si è posta, alcune fra le quali si trovano addirittura realizzate sui microelaboratori e non richiedono complesse nozioni teoriche. Esse sono, infatti, fondate sulle ovvie capacità dell'elaboratore di non «dimenticare» alcuno fra i dati dei quali è venuto a conoscenza, di valutarne rapidamente le conseguenze sulle azioni da compiere per raggiungere l'obiettivo prestabilito, di rilevare - senza più dimenticarli - i dati scaturenti dalle nuove azioni tendenti al medesimo obiettivo, e così via.

    Se si torna alle impostazioni fondamentali della cibernetica, e dunque dei meccanismi od organismi che si autoregolano sulla base degli impulsi provenienti dal mondo esterno, si vedrà agevolmente che l'elaboratore è, per così dire, più cibernetico dell'uomo. Tuttavia, è fondamentale chiarire che questa maggiore capacità cibernetica dipende non dalla maggiore rapidità nel rispondere agli stimoli esterni, né dalla maggiore precisione della risposta, ma dalla conseguente automodificabilità delle regole...

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