L'esercizio provvisorio dell'impresa nel fallimento fra interessi concorsuali, interessi particolari dei creditori e interessi c.d. «sociali»

AutoreEmma Sabatelli
Pagine1387-1414
Emma Sabatelli
L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento
fra interessi concorsuali, interessi particolari dei creditori
e interessi c.d. «sociali»
S: 1. Premessa. – 2. L’esercizio provvisorio disposto dal Tribunale. – 3. L’esercizio provvisorio au-
torizzato dal giudice delegato. – 4. L’esercizio provvisorio nel contesto del programma di liquidazione.
– 5. La valutazione di opportunità come elemento comune a tutte le forme di esercizio provvisorio. – 6.
Variabilità della nozione di opportunità in rapporto alla natura degli interessi tutelati: a) la tutela degli
interessi di terzi nell’esercizio provvisorio disposto dal Tribunale… – 7. Segue. …e nelle conseguenti
valutazioni di opportunità formulate nel corso della procedura. – 8. Segue. b) La «maggiore soddisfa-
zione dei creditori» determinata attraverso il rapporto dialettico fra gli organi della procedura. – 9. Il
ruolo del comitato dei creditori: inesistenza di un interesse comune dei creditori concorsuali in caso
di esercizio provvisorio. – 10. I due modelli di fallimento disegnati dalla riforma. – 11. Conclusioni:
le consapevoli scelte del legislatore nella selezione degli interessi tutelati.
1. Anteriormente alla riforma del diritto fallimentare l’esercizio provvisorio dell’im-
presa, allora disciplinato dall’art. 90 l. fall., all’interno del Capo IV del Titolo II, intitola-
to Della custodia e dell’amministrazione delle attività fallimentari, ha trovato scarsa appli-
cazione per motivi di ordine pratico e giuridico: vi era, da un lato, la più che motivata
reticenza dei curatori ad assumere un compito – la gestione dell’impresa – rispetto al
quale, di norma, essi si trovavano assolutamente impreparati; d’altro canto, la stessa Au-
torità giudiziaria guardava all’istituto con una giusticata didenza, vuoi perché la pro-
secuzione dell’attività inevitabilmente implica il rischio di un aggravamento del dissesto,
vuoi perché, richiedendo che sia mantenuta l’integrità del complesso aziendale (o, quan-
tomeno, di singoli rami di questo), può dilatare i tempi della liquidazione dell’attivo, che
allora si svolgeva prevalentemente mediante la alienazione «atomistica» dei beni1.
Quando, poi, nel corso degli anni si è progressivamente sviluppata la consapevolezza
che all’impresa in sé, scissa dalla persona dell’imprenditore, poteva essere riconosciuto un
valore oggettivo2 e che spesso la riallocazione sul mercato di un’azienda, integra e, se pos-
1 Che questa fosse la naturale modalità di liquidazione dell’attivo era pacico, a fronte di quanto stabiliva
l’art. 106, comma 2°, l. fall., il quale soltanto con riguardo alle attività mobiliari prevedeva che il giudice
delegato potesse autorizzarne la vendita in massa, anche parziale, esclusivamente in caso di necessità o di
utilità evidente. E v., infatti, per tutti, Ferrara jr. – Bor, Il fallimento5, Milano, 1995, 579 ss.
2 Su tale consapevolezza acquisita ormai da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza si vedano, fra
molti, B, La vendita dell’azienda nelle procedure concorsuali, Milano, 1988, 12; C, L’esercizio
provvisorio dell’impresa nel fallimento (Proli funzionali), in Giur. comm., 1986, I, 237 s., con ampi riferi-
menti dottrinali nelle note; A, «Liquidazione dell’attivo» ed «esercizio provvisorio dell’impresa» nel
fallimento, in Dir. fall., I, 1978, 210 s., nonché le considerazioni recentemente formulate da P-
, Gestione e riorganizzazione dell’impresa nel fallimento, Milano, 2010, 27 ss. Non si può, tuttavia, omet-
tere di rammentare che già N, Trattato elementare di diritto commerciale, II, Torino, 1935, 2, rico-
nosceva all’impresa un valore in sé.
1388 Studi in onore di Umberto Belviso
sibile, funzionante, poteva orire ai creditori concorsuali maggiori prospettive di soddi-
sfacimento rispetto alla vendita parcellizzata dei beni, si è preferito fare ricorso, piuttosto
che all’istituto espressamente regolamentato dell’esercizio provvisorio, allo strumento
dell’atto endofallimentare di azienda, nonostante che la previgente disciplina nemmeno
lo contemplasse3. E, in eetti, l’opinione prevalente conveniva che, benché anche la sti-
pulazione di un contratto di atto di azienda costituisca un oggettivo ostacolo alla ven-
dita frazionata dei beni, a favore di esso milita l’indiscutibile vantaggio di pervenire al ri-
sultato di mantenere «vitale» l’impresa senza che il rischio della prosecuzione gravi sul
fallimento, il quale benecia, anzi, della riscossione del canone d’atto4.
Attualmente l’esercizio provvisorio è regolamentato dall’art. 104 l. fall., signicati-
vamente posto come norma di apertura delle Disposizioni generali del Capo VI, intitola-
to Dell’esercizio provvisorio e della liquidazione dell’attivo, che ne contempla due diverse
fattispecie: secondo quanto prevede il primo comma, esso può essere disposto ex ocio
dal Tribunale con la sentenza dichiarativa di fallimento, se dall’interruzione dell’attività
può derivare un danno grave, a condizione che la prosecuzione dell’impresa non risulti
pregiudizievole per gli interessi dei creditori; successivamente, ai sensi del secondo comma
della disposizione richiamata, il giudice delegato, su proposta del curatore e previo il
parere favorevole del comitato dei creditori, può autorizzare la prosecuzione dell’impre-
sa con decreto motivato.
Ma, al di là delle pur notevoli variazioni che la riforma della legge fallimentare ha
apportato all’istituto, risulta profondamente modicato il contesto normativo in cui
esso si inserisce, dal quale emerge che la precedente didenza avverso la prosecuzione
endofallimentare dell’impresa è stata sostituita da un parziale favor del legislatore, che
appare del tutto congruente con l’opzione di fondo, perseguita dalla riforma, di privile-
3 Assolutamente minoritaria, pur se autorevolmente sostenuta, era la tesi che concepiva l’atto di azienda
come una forma particolare di esercizio provvisorio dell’impresa e riteneva, pertanto, che anch’esso fosse as-
soggettato alla disciplina di cui all’art. 90 l. fall. Così, P, Casi clinici di diritto fallimentare, I, Milano,
1959, 281. Non a caso, invece, parte della dottrina più risalente, proprio invocando l’interesse dei creditori
alla celerità della liquidazione, non riteneva ammissibile che il curatore concedesse in atto l’azienda dell’im-
presa fallita. Cfr., ad esempio, P. S, In tema di atto d’azienda e di amministrazione del patrimonio del
fallito da parte degli organi del fallimento, nota a Trib. Ariano Irpino, 20 aprile 1958, in Foro it., 1959, I, 685
ss.; ma, in senso contrario, v. R, L’atto e la vendita dell’azienda nel fallimento, Milano, 1973, 14 ss.
In tempi più recenti la prassi dell’atto endoconcorsuale dell’azienda ha conosciuto una notevole diusione
anche a seguito di alcuni interventi legislativi fra i quali si segnala l’art. 3 l.n. 223/1991, che ha riconosciu-
to l’ammissibilità del ricorso all’atto e alla vendita dell’azienda nell’ambito del fallimento di imprese in
possesso dei requisiti dimensionali richiesti per accedere alla cassa integrazione guadagni straordinaria e, al
contempo, ha previsto il diritto di prelazione dell’attuario in caso di vendita. Un’ampia ricostruzione
della evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in materia è in F, Fallimento e circolazione dell’azien-
da socialmente rilevante, Milano, 2000, 48 ss.
4 A ciò si aggiunga che l’atto endofallimentare «riformato» è stato reso ulteriormente vantaggioso per la
procedura: come ora espressamente prevede l’art. 104-bis, comma 6°, l. fall., in caso di retrocessione
dell’azienda non soltanto il fallimento non assume alcuna responsabilità per i debiti maturati sino a quel
momento (in deroga a quanto disposto dagli artt. 2112 e 2560 c.c.), ma i rapporti pendenti sono sottoposti
alla disciplina di cui all’art. 72 ss. l. fall., sicché il curatore può legittimamente valutare da quali sciogliersi e
quali, invece, è conveniente proseguire. Sottolinea, infatti, la “residualità” dell’esercizio provvisorio rispetto
all’atto M, Commento sub art. 104, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro,
Sandulli e Santoro, II, Torino, 2010, 1337.

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