Le conseguenze penali della violazione dei provvedimenti in favore del coniuge e della prole

AutoreGiuseppe Pavich
Pagine1203-1211

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@1. Premessa: i provvedimenti del giudice la cui violazione è penalmente rilevante e le figure di reato collegate a tali violazioni

– L’intervento giurisdizionale è, talora, richiesto per regolare questioni inerenti all’assetto familiare. Ciò può accadere durante il matrimonio, per disciplinare rapporti di varia natura, soprattutto – ma non esclusivamente – patrimoniali; ma è fuori di dubbio che l’intervento del giudice assume particolare rilevanza in seguito alla separazione fra i coniugi, e fin dopo lo scioglimento del matrimonio.

È di intuitiva evidenza che il ricorso all’autorità giudiziaria va ad incidere, in tali casi, su situazioni e rapporti estremamente delicati, fra cui gli affetti più cari; e che per tale motivo, in dipendenza della disposizione d’animo con la quale le parti si affrontano in occasione di tali evenienze, le conseguenti statuizioni del giudice (riferite all’assetto dei rapporti patrimoniali e personali, all’assegnazione di beni e di posizioni giuridiche soggettive di favore, al destino dei figli minori) vengono spesso vissute, dalla parte che le subisce e ne sopporta le conseguenze sfavorevoli, con profonda sofferenza.

È in tale quadro che si collocano, spesso, condotte di violazioni, o talora di elusione, di quanto stabilito dall’autorità giudiziaria, in specie dal coniuge sfavorito dai provvedimenti del giudice.

Di seguito si preciserà a quali condizioni tali violazioni (o condotte elusive) assumono rilievo penale.

Si avverte fin d’ora che i reati principalmente configurabili in tali occasioni sono innanzitutto l’art. 388, commi 1 e 2, c.p., e – sia pure a determinate condizioni – l’art. 570 c.p.; si farà comunque centro alle ulteriori ipotesi di reato configurabili in relazione alle condotte che disattendono le prescrizioni dell’organo giudicante in subiecta materia.

Appare infine opportuno dedicare un breve cenno alle violazioni di provvedimenti del giudice di natura processuale penale (in specie cautelare) giustificate dalla necessità di prevenire la reiterazione di reati in danno del coniuge e/o dei figli minori: violazioni che, a talune condizioni, possono integrare autonome fattispecie di reato.

@2. In particolare: l’art. 388 c.p

– Il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice comprende, in realtà, sei distinte ipotesi di reato, contemplate dai commi da 1 a 5 dell’art. 388 c.p.

In base al comma 6 della stessa disposizione, si tratta in ogni caso di delitti perseguibili a querela della persona offesa. Il bene giuridico tutelato è assai controverso in dottrina, mentre in giurisprudenza si tende ad individuarlo nell’autorità delle decisioni giudiziarie1 oppure nell’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione2.

In relazione al tema che qui si discute, assumono rilievo unicamente le prime due ipotesi di reato, ossia quelle contemplate dai commi 1 e 2 della norma.

Il primo comma dell’art. 388 c.p. si applica nei confronti di colui che compie, sui beni propri o altrui, atti simulati o fraudolenti, o commette altri fatti fraudolenti, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria; sempreché non ottemperi all’ingiunzione di eseguire la sentenza.

Com’è agevole vedere, le nozioni evocate dal paradigma normativo sono estremamente ampie, ed abbracciano una larga parte degli obblighi civili (anche se, secondo la dottrina dominante, ne resterebbero esclusi gli obblighi civili insuscettibili di esecuzione forzata, come quelli di facere infungibile, di non facere o di pati)3, a fronte dei quali è configurabile l’ipotesi delittuosa allorché:

  1. il soggetto attivo ponga in essere atti simulati (ossia in cui vi è una preordinata divergenza fra volontà dichiarata e volontà reale) oppure atti fraudolenti (ossia atti aventi valore negoziale posti in essere per conseguire un ingiusto profitto ai danni del soggetto che avrebbe interesse a far valere il provvedimento del giudice); o comunque ponga in essere fatti fraudolenti (comportamenti non negoziali, a loro volta finalizzati ad ottenere un profitto ingiusto in danno del soggetto che avrebbe interesse a far valere la pronunzia del giudice a lui favorevole)4;

  2. egli ponga in essere tali condotte con dolo specifico, ossia allo scopo di sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili derivanti da sentenze di condanna (dottrina e giurisprudenza sono ormai concordi nel comprendere in tale locuzione anche provvedimenti non aventi natura di sentenze, purché pronunziati in sede giurisdizionale e tali da comportare l’imposizione di un obbligo civile5: fra questi, di assoluto rilievo per quanto qui interessa vi è anche il provvedimento del presidente del tribunale relativo all’assegno alimentare (es. in favorePage 1204 del coniuge o dei figli dell’obbligato)6, o – secondo parte della giurisprudenza – all’affidamento dei minori7, o all’assegnazione della casa coniugale8;

  3. egli non ottemperi all’ingiunzione di eseguire la sentenza (o comunque il provvedimento impositivo di obblighi civili); tale condotta omissiva, che segna il momento consumativo del reato, viene qualificata dalla giurisprudenza prevalente come condizione obiettiva di punibilità9, mentre in dottrina si ritiene preferibile inquadrarla all’interno della fattispecie, come elemento costitutivo della stessa, poiché non può non essere oggetto di dolo da parte del soggetto tenuto all’ottemperanza10. Quanto alla natura dell’ingiunzione, si è molto discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza, su come essa debba manifestarsi: in dottrina si è ipotizzato che sia quanto meno necessario un atto di precetto11 12; si è ritenuto che non sia comunque sufficiente la mera notifica del provvedimento2; si è qualificato come sufficiente un qualsiasi atto idoneo a costituire in mora il debitore13. In giurisprudenza, si riteneva in passato necessario dare corso ad atti esecutivi, addirittura all’attivazione del pignoramento14; poi si ritenne sufficiente la notifica della sentenza costitutiva dell’obbligo, con relativo atto di precetto15; indi si indicò come bastevole la messa in mora, anche in modo informale16; infine, si è ritenuta sufficiente una richiesta di adempimento informale, purché precisa e non equivoca17.

La perseguibilità è a querela della persona offesa (nella specie, del titolare della situazione giuridica pregiudicata dalla condotta), come in tutte le diverse ipotesi di reato di cui all’art. 388 c.p.; il tentativo è ipotizzabile, essendo la condotta frazionabile18; è parimenti ipotizzabile il concorso di persone allorché la condotta del concorrente sia coeva al compimento della condotta simulata o fraudolenta19.

Tanto premesso, si è detto che fra i provvedimenti giurisdizionali impositivi di obblighi vi è il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c.; ma ad avviso di chi scrive, al pari di esso, debbono ritenersi idonei a imporre obblighi civili suscettibili di violazione nei termini di cui all’art. 388/1 c.p. anche gli altri provvedimenti giurisdizionali, interinali (es. in caso di modifica dei precedenti provvedimenti: art. 710 c.p.c.) o definitori, sia in tema di separazione (v. ad es. le statuizioni inerenti alla prole ed ai coniugi di cui agli artt. 155 e 156 c.c.) che di scioglimento del matrimonio (salvo quanto si dirà in ordine all’art. 12 sexies L. 898/70). Anche la sentenza di omologazione della separazione consensuale fra coniugi è provvedimento suscettibile di violazione nei termini di cui all’art. 388 comma 1 c.p., poiché il codice non distingue fra provvedimenti emessi in sede contenziosa o di volontaria giurisdizione20.

Quanto ai provvedimenti emessi dal giudice tutelare, si tende a ricondurre la tutela penale all’interno del secondo comma dell’art. 388 c.p., sebbene – secondo chi scrive – appaia astrattamente ipotizzabile che, anche al di fuori delle condotte elusive dei provvedimenti in tema di affidamento di minori, di cui al capoverso dell’articolo in esame, possa darsi il caso di provvedimenti del giudice tutelare costitutivi di obblighi civili (es. ex art. 320 c.c.) che il soggetto attivo violi con condotte fraudolente inquadrabili nel primo comma dell’art. 388 c.p.21.

Ciò posto in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 388 comma 1 c.p. nella materia che ci interessa, va detto che i provvedimenti che incidono sull’assetto familiare a seguito di separazione o divorzio regolano tanto aspetti lato sensu patrimoniali (l’assegno di mantenimento per il coniuge e/o per i figli, gli alimenti, l’assegno divorzile, l’assegnazione della casa coniugale, i provvedimenti circa l’amministrazione dei beni ecc.) quanto aspetti più strettamente personali (l’assegnazione della prole, il diritto di visita del genitore non affidatario, le modalità di esercizio della potestà genitoriale ecc.).

Alla decisione in ordine a tali aspetti conseguono, di regola, posizioni giuridiche soggettive favorevoli e sfavorevoli, tendenzialmente con finalità di tutela dei soggetti «deboli»: in primo luogo i figli, in particolare se minorenni; ed inoltre il coniuge economicamente più debole (o perché privo di mezzi sufficienti, o perché impossibilitato a trovare un adeguato lavoro).

La violazione di questi provvedimenti può determinare la configurabilità del primo comma dell’art. 388 c.p., laddove il coniuge obbligato non ottemperi agli obblighi statuiti dal giudice, e continui in tale condotta omissiva pur dopo essere stato intimato ad ottemperare.

Sotto il profilo delle violazioni di carattere patrimoniale, commette ad esempio il reato in esame il coniuge che, attraverso la sostituzione della serratura della casa coniugale, si sottrae al provvedimento con il quale il presidente del tribunale, nel corso della causa di separazione, assegnava la casa in uso esclusivo all’altro coniuge, atteso che, con l’espressione «sentenza di condanna», la legge ha inteso comprendere tutti i provvedimenti che, a prescindere dalla loro...

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