La Prova Scientifica Ed Il Ruolo Della Consulenza Tecnica Nel Processo Civile

AutoreAntonio Scarpa
Pagine361-370P
361
dott
Arch. loc. cond. e imm. 4/2018
DOTTRINA
LA PROVA SCIENTIFICA
ED IL RUOLO DELLA
CONSULENZA TECNICA
NEL PROCESSO CIVILE
di Antonio Scarpa
SOMMARIO
1. La consulenza tecnica d’uff‌icio tra rimedio all’insuff‌icienza
avvertita dal giudice e funzione epistemica. 2. La consulenza
tecnica, la prova, il giudice e le parti. 3. La scienza, il giudice
e la motivazione. 4. Conclusioni.
1. La consulenza tecnica d’uff‌icio tra rimedio all’insuf-
f‌icienza avvertita dal giudice e funzione epistemica
Nell’elaborazione più diffusa, ed anche più tranquilliz-
zante, della nozione di sillogismo giudiziale, la decisione
di una controversia viene presentata come la conclusione,
pressoché scontata, che discende logicamente dalla pre-
messa giuridica astratta, e cioè dalla disposizione norma-
tiva da applicare alla vicenda, e dalla premessa fattuale
concreta, che è, invece, il dato fenomenico concreto rico-
struito sulla base delle prove raccolte.
La sentenza del giudice sarebbe, così, qualcosa di tut-
to sommato elementare, in quanto risultato aritmetico di
un’inferenza logica sorretta da una premessa maggiore di
diritto ed una premessa minore di fatto. La natura logico-
deduttiva dal ragionamento decisorio del giudice serve,
del resto, a rafforzare il convincimento collettivo dell’inti-
ma razionalità delle decisioni dei tribunali.
È noto, tuttavia, come ormai da decenni negli studi f‌i-
losof‌ici vacillino le certezze sulle teorie sillogistiche del
ragionamento decisorio: si oppone che il giudice perviene
alla sua attività non sulla base di attività puramente cono-
scitive, che gli consentono l’individuazione della norma da
applicare e del fatto da giudicare, quanto, semmai, sulla
base di un insieme combinato di sillogismi, che progressi-
vamente portano a scegliere, fra più soluzioni interpreta-
tive, come si debba formulare la premessa maggiore, come
si debba formulare la premessa minore e quali inferenze
logiche possano ricollegare la norma giuridica generale al
precetto individuale contenuto nel dispositivo di sentenza.
Si pensi al ragionamento decisorio secondo cui: 1) il
debitore che non esegue esattamente la prestazione dovu-
ta è tenuto al risarcimento del danno; 2) un medico, dopo
aver diagnosticato strumentalmente ad un paziente una
estesa neoplasia ad un rene, non ha fatto eseguire pre-
ventivamente l’esame bioptico estemporaneo stabilito dal
protocollo chirurgico, ed ha invece proceduto immediata-
mente all’asportazione integrale dell’organo, senza avve-
dersi della presenza di una patologia infettiva che avrebbe
giustif‌icato una nefrectomia soltanto parziale; 3) è tenuto
al risarcimento del danno, per inesatta esecuzione della
prestazione dovuta, il medico che abbia proceduto all’a-
sportazione integrale del rene senza la preventiva effet-
tuazione dell’esame bioptico estemporaneo. Questo è un
esempio di sillogismo pratico, perché sia la premessa mag-
giore (l’art. 1218 c.c.) che la conclusione (il medico non
ha adempiuto al suo obbligo) si sostanziano in proposizioni
prescrittive, le quali recano, cioè, comandi, esprimono re-
gole, e non consistono in proposizione apofantiche, come
avviene nel sillogismo teorico, nel quale sia la premessa
maggiore, sia la premessa minore che la conclusione ne-
gano o affermano cose che possono essere oggettivamente
valutate come vere o false. Nel sillogismo teorico, perché
sia garantita la veridicità della conclusione, basta che sia-
no “vere” le due premesse. Viceversa, nel sillogismo giudi-
ziale, innanzitutto la stessa enunciazione della premessa
maggiore, ovvero l’individuazione della legge da applica-
re, non si presta ad una meccanica validazione in termini
di verità, essendo frutto di un’attività interpretativa del
giudice; tanto meno si presenta come il risultato esatto di
una meccanica operazione logico-inferenziale la perime-
trazione della premessa minore, in quanto la ricostruzione
dei fatti che compongono la res iudicanda è il frutto di un
procedimento di valutazione, e non di verif‌icazione. Dun-
que, sia la premessa normativa che la premessa fattuale
su cui poggia la sentenza sono a loro volta il precipitato di
una complessa sequenza di autonome inferenze logiche, e
dunque rappresentano non cognizioni, ma decisioni.
Interessando a noi, in questa sede, soprattutto i metodi
di cristallizzazione della premessa fattuale del sillogismo
decisorio, e cioè le modalità epistemiche con cui vengo-
no selezionati ed utilizzati i dati materiali che servono al
giudice per dimostrare la verità della conclusione raggiun-
ta, è facile convincersi subito che ogni forma di esercizio
della giurisdizione suppone non solo l’applicazione di nor-
me giuridiche, quanto anche l’utilizzo di strumenti infe-
renziali e di criteri di giudizio “altri”.
Assai di frequente, questi strumenti inferenziali, che
esulano dall’ambito dell’ordinamento giuridico, attingono
al senso comune, nozione, però, che se apparentemente
appaga il bisogno di impersonalità della decisione del
giudice, rimane ad un tempo essenzialmente connotata da
contorni generici, mutevoli e perciò incerti.
Di “senso comune” è, soprattutto, intriso tutto il seg-
mento del processo che attiene proprio alla selezione
delle prove e quindi all’accertamento dei fatti.
Si pensi alle regole empiriche che governano la valuta-
zione delle risultanze istruttorie, come il giudizio sull’atten-
dibilità, sulla credibilità e sull’eff‌icacia dimostrativa delle
prove assunte, o la scelta volta a preferire una fonte rispetto
ad un’altra, o l’inferenza dei fatti ignoti da quelli noti, atti-
vità che la giurisprudenza gelosamente custodisce nell’orto
conchiuso del “prudente apprezzamento” spettante al giu-
dice (art. 116, comma 1, c.p.c.), più volte sostituendo l’ag-
gettivo “prudente” con “discrezionale”, se non con “sovrano” .

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