Prospettive di riforma dell'amministrazione regionale

AutoreMaria Immordino
Occupazione dell'autoreOrdinario di Diritto Amministrativo - Università di Palermo
Pagine243-259

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PROSPETTIVE DI RIFORMA DELL’AMMINISTRAZIONE REGIONALE Maria IMMORDINO*

1. Considerazioni introduttive

Com’è emerso anche dalla relazione che mi ha preceduto, l’attuazione della legge di contabilità e inanza pubblica (l. 31/12 2009, n. 196) postula incisive modiiche dell’amministrazione, sia sotto il proilo dell’organizzazione e, dunque, anche in materia di lavoro pubblico e, in particolare, di disciplina della dirigenza pubblica, sia sotto il proilo dell’attività e, di conseguenza, delle modalità dell’azione amministrativa e del controllo interno, quale strumento di autocorrezione dell’azione stessa.

Alla nuova struttura di bilancio, il cui obiettivo è rendere più stretto il “legame tra risorse stanziate, azioni perseguite e realizzate”, è stato collegato, lo ricordava prima il consigliere Chiappinelli, sia il potenziamento degli strumenti volti a garantire una più adeguata programmazione ed un più incisivo controllo della spesa pubblica, sia l’individuazione di un centro responsabile della gestione amministrativa. Il collegamento, proprio su questi proili, con le quasi coevi leggi di riforma amministrativa
(l. n. 15 e d.lg. n. 150) che prevedono l’attivazione di strumenti di misurazione e di valutazione della performance organizzativa e individuale e il rafforzamento della responsabilità della dirigenza a fronte della contestuale valorizzazione delle relative prerogative, è di tutta evidenza.

Non è un caso, quindi, se alcune disposizioni della stessa l. n. 196 richiamino espressamente disposizioni del quasi coevo ma precedente d.lg. n. 150, i cui contenuti costituiscono una tappa fondamentale di quel processo di modernizzazione / aziendalizzazione che ha interessato nell’ultimo ventennio il complessivo sistema amministrativo, ancorandolo, oltre che al principio di imparzialità, al principio di buon andamento, nell’accezione di “eficienza”, intesa come “adeguatezza” dell’azione amministrativa e delle connesse strutture organizzative al conseguimento di “risultati” che siano tali da consentire la soddisfazione in concreto dei ini/obiettivi determinati dalla legge, dal bilancio, dai piani e programmi, con il minor costo possibile.

L’eficienza, unitamente agli altri due criteri funzionali di origine economico -aziendalistica, inclusi dal legislatore in dal 1990 (con la l. 241) nel catalogo dei

* Ordinario di Diritto Amministrativo - Università di Palermo

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criteri e principi che reggono l’azione amministrativa, e cioè l’economicità e l’eficacia, impone l’adeguatezza e la correttezza sostanziale dell’azione amministrativa e, di conseguenza, cambiamenti sul versante delle strutture organizzative e della gestione dei rapporti di lavoro e, in particolare, della dirigenza.

Il “risultato” diventa così parametro ex post di valutazione dell’eficienza organizzativa e dell’attività amministrativa. Valutazione - è appena il caso di sottolineare, ma lo ha ricordato anche il presidente Coraggio - che non sostituisce quella di legittimità, dal momento che l’eficienza, una volta emersa sul piano della realtà giuridica, costituisce misura di valutazione nell’ambito della stessa valutazione di legittimità. Tanto che il c. d controllo di risultato, che si ricollega a questa lettura eficientistica dell’amministrazione, è stato conigurato come un controllo che non sostituisce quello di legittimità, ma lo presuppone.

Orbene, è proprio l’attenzione al “risultato amministrativo”, su cui insisteva il presidente Arrigoni nella sua relazione, l’elemento su cui si fonda quel collegamento, espressamente richiamato dall’art. 3 della legge n. 196 - coerentemente, del resto, alla Carta costituzionale, dove esiste un nesso tra il principio dell’equilibrio inanziario e il principio di eficienza, di cui rispettivamente agli artt. 81 e 97 tra “eficienza allocativa” ed “ eficienza operativa”, vale a dire tra l’articolazione del bilancio in missioni e programmi (impostazione che è volta ad evidenziare i principali obiettivi strategici, le misure adottate per raggiungerli e le risorse utilizzate)>, e i nuovi modelli organizzativi disegnati dal citato decreto 150, in cui l’eficienza e la produttività delle strutture amministrative e dei singoli dipendenti e, in particolare della dirigenza, viene per l’appunto valutata in relazione agli obiettivi perseguiti ed effettivamente raggiunti, alle misure adottate per ottenerli, alle risorse stanziate ed impiegate.

In questa prospettiva, che collega allocazione delle risorse e veriica della loro utilizzazione, gli obiettivi assegnati dall’organo politico al vertice amministrativo (art. 5/150) devono non solo essere deiniti in coerenza con gli obiettivi di bilancio indicati nei documenti programmatici oggi previsti dalla l. 196 (che ha abrogato la
l. 468 del 1978), ma devono essere anche adeguati alla quantità e qualità delle risorse disponibili (art. 5, co 2, lett. g). Ed ecco perché nell’ambito dei nuovi sistemi di misurazione e di valutazione della performance organizzativa e individuale e di valorizzazione del merito e della produttività - che rappresenta la parte più innovativa del decreto 150 e nel cui ambito alcune norme costituiscono principi generali dell’ordinamento, attuazione diretta dell’art. 97 Cost. – sia il piano della performance (che le pubbliche amministrazioni devono redigere annualmente, entro il 31 gennaio), sia il relativo ciclo di gestione, devono essere coerenti con i contenuti e il ciclo della programmazione inanziaria e del bilancio, disegnati dalla l. 196 (rispettivamente artt. 10 e 4).

L’accertamento della “responsabilità” del dirigente, in un sistema ormai caratterizzato dalla separazione tra politica e amministrazione, demandato alle “risultanze del sistema di misurazione e valutazione”, viene così deinitivamente collegato a

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dati oggettivi. Dati, tra i quali rileva, nell’attuazione di piani e programmi, il livello di assorbimento delle risorse, l’eficienza nel loro impiego, con riferimento speciico al “contenimento ed alla riduzione dei costi” (art. 7), la qualità delle prestazioni (art. 3), i risultati effettivamente conseguiti. Di questi dati deve essere consentita la totale accessibilità (art. 3), secondo quel principio di “trasparenza” ricondotto nel decreto 150 ai livelli essenziali delle prestazioni, ma, a ben vedere, in linea con la ratio della l. 196 il cui scopo, oltre ad un governo unitario della inanza pubblica, è l’eficienza, la trasparenza della spesa pubblica, nonché il rafforzamento del relativo controllo. Questa prospettiva di “eficienza” che costituisce il ilo che collega i nuovi sistemi contabili alle innovazioni amministrative e, dunque, gestione inanziaria e azione amministrativa, era già presente, oltre che in alcune leggi di settore, in due leggi delega del 1997, e segnatamente nella l. n. 59 e nella l. n. 94. La prima, che era inalizzata (nell’ambito di una ampia delega al riordino dell’amministrazione centrale) al “razionale collegamento tra gestione inanziaria ed azione amministrativa”, issava anche i criteri per l’introduzione nelle pubbliche amministrazioni del controllo di gestione e l’istituzione di sistemi di rilevazione, veriica e valutazione dei risultati amministrativi, con lo scopo precipuo di collegare le risultanze di tale attività alla allocazione annuale delle risorse (art. 17); la seconda (cui ha dato attuazione il d. lgs. n. 279 del 1997), era inalizzata all’introduzione di un sistema unico di contabilità economica analitica, articolato per centri di responsabilità amministrativa, ognuno corrispondente ad una unità previsionale di base, in cui è prevista la nuova articolazione del bilancio, con la conseguenza che la ripartizione delle risorse per funzione viene collegata alla identiicazione dei suddetti centri.

Proseguendo su questa linea che collega strutture organizzative, azione amministrativa e spesa pubblica, l’art. 21 della legge 196 concernente il bilancio di previsione, prevede che la realizzazione di ciascun programma sia afidata ad un unico centro di responsabilità. L’individuazione di una responsabilità certa nella gestione amministrativa è in linea con quelle disposizioni del decreto 150, lo ricordavo prima, che prevedono l’attivazione di strumenti di misurazione e di valutazione della performance organizzativa e individuale e l’ampliamento della responsabilità dei dirigenti a fronte del contestuale potenziamento delle relative prerogative.

Ma, la legge di contabilità e inanza pubblica non interseca soltanto il complesso normativo costituito dalla l. n. 15 e dal decreto di attuazione n. 150, giacché, da un lato, incrocia la l. n. 69/2009 e, in particolare, quelle disposizioni (artt. 7/10) che modiicano la legge 241/90 sul procedimento amministrativo, secondo quella prospettiva di “eficienza” che costituisce la cifra sia della stessa l. 196 che del decreto 150; dall’altro, si inserisce nel contesto di quel più ampio processo di mutamento istituzionale in senso federalista, che ha portato negli ultimi anni ad una rideinizione del rapporto tra Stato, Regioni ed autonomie locali, con una forte connotazione localistica. Numerose sono invero le interferenze con la quasi contemporanea legge
n. 42, meglio conosciuta come legge sul federalismo iscale.

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Le apparenti antinomie tra le due leggi si ricompongono infatti alla luce dei principi costituzionali di “coordinamento della inanza pubblica” e di “armonizzazione dei bilanci pubblici” espressamente richiamati da entrambi le leggi.

Nella logica del legislatore statale, infatti, l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della inanza pubblica tra i diversi attori del sistema sono necessari, sia per perseguire gli obiettivi di inanza pubblica di cui alla l. 196, sia per l’attuazione del federalismo iscale di cui alla l. 42. Il quale presuppone regole e procedure condivise per la issazione di vincoli e di obiettivi che ciascun livello territoriale deve attuare...

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