A proposito del metodo nel diritto sindacale: note sulla contemporaneità

AutoreAntonello Zoppoli
Pagine1369-1388
Antonello Zoppoli
A proposito del metodo nel diritto sindacale:
note sulla contemporaneità*
S: 1. L’imprescindibile questione del metodo. - 2. Il rigido formalismo e le certezze della dottrina
“pura” del diritto. - 3. Crisi della centralità della legge e rilevanza dei valori-principi costituzionali. - 4.
Pluralismo metodologico, ermeneutica giuridica e comunicazione intersoggettiva: i conf‌ini mobili ma
certi dell’interpretazione. - 5. La discontinuità come cifra storica del diritto sindacale. - 6. Lo statuto
debole del diritto sindacale e i suoi incerti conf‌ini metodologici. - 7. Due signif‌icative esperienze di
segno diverso: la disciplina dello sciopero nei servizi essenziali e la riforma del lavoro pubblico. - 8. Il
diritto sindacale di fronte alla realtà attuale.
1. La rif‌lessione sul “metodo giuridico” è, secondo una convinzione dif‌fusa, tradi-
zionalmente demandata a teorici e f‌ilosof‌i del diritto1. Eppure, sebbene non manchino
eccezioni, risulta arduo pensare che questo o quel ramo della scienza giuridica possa
trascurarla, giacché essa appare fondamentale, f‌inanche per l’«identità stessa del
giurista»2.
Per quanto riguarda gli studiosi di diritto del lavoro, lo scriveva, con l’abituale con-
sapevolezza scientif‌ica, Massimo D’Antona, nel ’90, in alcune delle pochissime pagine
giuslavoristiche dedicate al tema, pagine tuttora di grande interesse3.
In via introduttiva, si può dire che il “metodo” racchiuda l’insieme di approcci,
tecniche, criteri e regole che adotta (utilizzando il termine con valenza “cognitiva”, non
solo “prescrittivi”) colui che, per una qualsiasi ragione, abbia a che fare con il diritto. È
appena il caso di osservare come il “metodo” sia, inevitabilmente, parte fondante della
scienza giuridica: passaggio obbligato per rif‌lessioni su grandi, classici temi, come il
rapporto tra “diritto” ed “etica” o tra “diritto” e “realtà”; in particolare, dal secondo pun-
to di vista (e cominciando sin da ora a preparare il terreno su cui più avanti si dovrà so-
stare), per interrogarsi sulla questione della recezione-conformazione, in funzione in
qualche misura normativa e/o organizzativa, delle istanze e spinte provenienti dalla so-
cietà. Prof‌ili, questi, che esprimono bene l’estrema “ricchezza” del diritto e il suo intimo
collegamento con altri saperi, non sempre agevole e, direi, consapevole.
* Il saggio riproduce, con alcune modif‌iche e l’aggiunta di note essenziali, la lezione tenuta il 27 aprile
presso l’Università di Napoli Federico II, nell’ambito del Dottorato di ricerca in «Diritto dei rappor ti eco-
nomici e di lavoro», ciclo di seminari su «Questioni di metodo nel diritto del lavoro», coordinato da Maz-
ziotti.
1 Con ogni probabilità l’eccezione più signif‌icativa, e non soltanto degli anni a noi più vicini, è data dagli
studiosi di diritto civile (inteso in senso ampio), a cominciare – senza risalire troppo indietro nel tempo – da
Carnelutti 1939 e Betti 1955: al riguardo, v. Alpa 2000, 359; Mengoni 1990a, 9; Rodotà 1990, 273. In
particolare, nella produzione più recente, fondamentale, come noto, è il contributo di Mengoni, sul quale
sin da ora cfr., da ultimo, Nogler, Nicolussi 2007; Tosi 2007.
2 Rodotà 1990, 274.
3 D’Antona 1990a, 207, pagine che non a caso riprenderò più volte in seguito.
1370 Studi in onore di Edoardo Ghera
Se da queste prime battute è già chiaro che anche il giuslavorista non può prescin-
dere dal metodo, è altrettanto evidente che a lui, come a chiunque altro, non è al con-
tempo consentito prescindere dai passi già compiuti da chi questi temi da tempo fre-
quenta. Sicché, è il caso anzitutto di considerare il dibattito generale al riguardo
sviluppatosi: ciò, per quanto si voglia ricorrere alla sintesi e limitarsi agli sviluppi più
recenti del confronto, porterà inevitabilmente via un po’ di tempo. Tempo, tuttavia, ben
speso, necessario com’è per poi passare, suf‌f‌icientemente attrezzati, a rif‌lettere sulle spe-
cif‌icità del diritto sindacale.
Da canto, invece, possono tenersi tutta una serie di più recenti questioni, riassumibi-
li in molteplici espressioni; due per tutte, tra le più frequenti: la denazionalizzazione del
diritto e, più in generale, la “globalizzazione”. Questioni da tener da canto non solo né
tanto perché allargherebbero ulteriormente il campo d’indagine, quanto perché, con ogni
probabilità, non pregiudicherebbero le considerazioni che seguono e, soprattutto, perché
– come si vedrà – la nostra esperienza giussindacale, alla f‌in f‌ine, presenta altre priorità4.
2. Nel dibattito sul metodo, ormai da qualche tempo, appare opinione decisamen-
te prevalente, se non unanime, quella a favore del cosiddetto pluralismo metodologico.
Al f‌ine di illustrare per sommi capi il percorso che ha condotto a questo approdo, con-
viene prendere le mosse da alcune considerazioni, assai dif‌fuse, sul positivismo giuridico,
che può considerarsi il punto di partenza; più esattamente, da alcune considerazioni sul
“positivismo legalistico”, e quindi sulla dogmatica tradizionale, ai cui tratti peraltro,
nonostante tutto, molti, per tanti versi, fanno ancora riferimento5.
Questi tratti, schematicamente, possono individuarsi: 1) nel principio di legalità,
che comporta, secondo l’ispirazione illuminista, l’«identif‌icazione del diritto con la
legge»6 – la cui massima espressione è data dalle esperienze di codif‌icazione – o comun-
que nella sottomissione alla legge di tutte le altre fonti normative, quale rif‌lesso del
ruolo assolutamente centrale dello Stato e della sua funzione politica ordinante genera-
le7; 2) nella natura logico-formale del diritto, disciplina fondata su una logica aristoteli-
ca e composta da concetti e regole enucleabili sulla base di un processo inferenziale logi-
co-deduttivo; 3) nella norma generale e astratta, cardine di un ordinamento completo,
chiuso e intrinsecamente coerente, in grado di garantire la certezza del diritto8; 4) nella
4 Anche i sistemi di common law e il raf‌fronto con essi esulano dagli obiettivi di queste pagine. V., però, sul
reciproco «graduale avvicinamento di common law e civil law», Pizzorusso 1998, spec. 377 ss.; più in gene-
rale, sul common law, Mattei 2004; Id. 1992.
5 In proposito è eloquente quanto, in modo senza dubbio incisivo, scrive Grossi 2003: il «morbo sottile»
dell’«odierno giurista – il riferimento è alla maggioranza […] – è […] la pigrizia intellettuale» (p. 29) ed
eventuali «citazioni esornative» assomigliano «maledettamente al belletto appiccicaticcio che una vecchia
signora mette al suo volto rugoso» (p. 41).
6 Ascarelli 1959, 97.
7 Zagrebelsky 1992, 24 s. Come rileva Bobbio (1968, 476), per questa teoria «non esiste altro diritto che il
diritto positivo e non esiste altro diritto positivo che il diritto posto dalla volontà generale del gruppo socia-
le (sia che si appoggi alla forza della tradizione o alla forza del potere costituito».
8 Al riguardo v., però, quanto osserva Mengoni 1985a, 14, in particolare sul pensiero di Savigny; in propo-
sito un cenno anche in Castronovo 1990, 204.

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