A proposito di democrazia industriale
Autore | Lauralba Bellardi |
Pagine | 53-58 |
A proposito di democrazia industriale
L B
1. Uno dei temi sui quali Bruno Veneziani è più volte tornato – utilizzando
il metodo comparato e valorizzando la prospettiva del suo rilievo costituzionale
ed, in questo ambito, del rapporto tra legge e contrattazione collettiva – è stato
quello della democrazia industriale. Rileggere i suoi scritti mi ha così stimolata
a ricostruire sinteticamente i ‘passaggi’ che hanno caratterizzato l’esperienza ed
il dibattito italiano.
Questo fu rilanciato a metà degli anni ‘70 da Giugni, che indicava le tre
condizioni strutturali, di sistema, che lo rendevano attuale: la «crescente parte-
cipazione al potere dei partiti di classe», dopo la svolta elettorale a sinistra, che
favoriva il formarsi di una domanda di potere economico; la forza del sindacato,
emersa con l’autunno caldo del ’69 e consolidata dallo Statuto dei lavoratori,
e, inne, la difcile situazione economica, che poneva limiti e creava difcoltà
crescenti alla contrattazione collettiva come metodo esclusivo di regolazione dei
rapporti nell’impresa, inducendo il sindacato a ridenire i contenuti rivendicativi
nel tentativo di penetrare nell’area gestionale di questa (e, quindi, delle prero-
gative manageriali). Il riferimento era ai diritti di informazione, introdotti dai
c.d. contratti di sviluppo del ’74, con i quali la contrattazione collettiva poneva
le condizioni preliminari – quelle conoscitive – per inuire sulla localizzazione
degli investimenti e sui livelli di occupazione e per gestire i processi di ristruttu-
razione (G, C, 1976; G, 1977).
Giugni avvertiva, però, che la democrazia industriale non si identica con la
partecipazione conittuale o con il contropotere sindacale, poiché il sindacali-
smo conittuale, operando sostanzialmente sulla base di una netta separazione di
responsabilità o di sfere di interessi tra imprese e rappresentanza dei lavoratori,
può solo condizionare i processi decisionali capitalistici ed è «pienamente valido
quando la classe operaia ha da fare i conti con un sistema economico che non
è destinato a mutare, perché il quadro politico che lo regge non cambia o non
appare destinato a cambiare». Ma se questi due dati si modicavano, i sindacati
dovevano accettare la sda della concorrenza, all’interno dello stesso sistema di
relazioni industriali, di forme di azione collettiva e di modelli regolativi diversi,
pur restando il conitto il fondamento di ogni tipo di sindacalismo.
Questa prospettiva era confermata, d’altra parte, dalla diffusione in alcuni
importanti Paesi europei di diverse forme di partecipazione decisionale nell’im-
presa – come la cogestione o la codeterminazione -, che prevedono l’assunzio-
ne di decisioni sulle scelte di gestione dell’impresa, ma anche sulle condizioni
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