Sanzioni promozionali ed indici di congruità nelle politiche di contrasto al lavoro irregolare

AutoreVito Pinto
Pagine933-956
Vito Pinto
Sanzioni promozionali ed indici di congruità
nelle politiche di contrasto al lavoro irregolare
S: 1. Inquadramento del problema e proposta ricostruttiva. - 2. Il contrasto al lavoro irregolare
nella legge regionale Puglia 26.10.2006, n. 28. - 3. Segue: gli indici di congruità. - 4. Segue: I datori
di lavoro assoggettati alla verif‌ica di congruità. - 5. Segue: i procedimenti di verif‌ica della congruità e
di giustif‌icazione della non congruità. - 6. La disciplina nazionale di cui alla legge 27.12.2006, n. 296
e le successive modif‌icazioni. - 7. Implicazioni della ricostruzione proposta. In particolare, le questio-
ni di legittimità costituzionale.
1. Nella relazione al convegno annuale dell’Associazione italiana di diritto del lavo-
ro e della sicurezza sociale del 1978, Edoardo Ghera argomentò l’impossibilità di fron-
teggiare ef‌f‌icacemente il ricorso al c.d. lavoro nero mediante la mera repressione delle
violazioni della legislazione del lavoro o della sicurezza sociale ed evidenziò l’opportuni-
tà di impiegare allo scopo, oltre a quelli tradizionali, anche dispositivi «sanzionatori ap-
propriati alla natura dei fenomeni che sono all’origine delle irregolarità e, in genere,
delle distorsioni della occupazione (emarginazione, sottoccupazione, precariato, dequa-
lif‌icazione, sottosalario) che caratterizzano il mercato del lavoro c.d. parallelo»1. Dispo-
sitivi che egli, nella stessa occasione, individuò nelle tecniche di tipo incentivante e
promozionale, a suo parere le uniche in grado di garantire il controllo sociale sulle dina-
miche occupazionali, di disincentivare la disponibilità dell’of‌ferta irregolare e di incen-
tivare la domanda «istituzionale» di forza-lavoro.
In particolare, Ghera sostenne la sua preferenza adducendo la natura di massa dei
comportamenti sui quali il legislatore avrebbe dovuto esercitare la propria inf‌luenza2.
In presenza di comportamenti dif‌fusi e generalizzati, in ef‌fetti, le tradizionali san-
zioni repressive sono tendenzialmente inef‌f‌icaci (non riescono, cioè, a garantire l’ef‌fetti-
vità della regola di condotta che esse assistono al di là del caso concreto3) a causa della
dif‌f‌icoltà pratica di organizzare controlli adeguati alle dimensioni del fenomeno.
Con più precisione, se il controllo e l’accertamento di eventuali violazioni sono
concretamente esercitabili in un numero di casi ristretto rispetto a quelli in cui la regola
di condotta deve trovare applicazione, si producono intuitivamente due conseguenze: la
prima è che diminuiscono oggettivamente le ipotesi in cui i comportamenti devianti
sono repressi; la seconda è che la minore probabilità di incorrere nell’applicazione della
sanzione costituisce, per i destinatari della regola di condotta, una convenienza a violar-
la o a continuare a violarla. Infatti, l’ef‌fetto deterrente e disincentivante tipico delle
1 Ghera 1979, 371-372.
2 Per la connessione tra comportamenti di massa e sanzioni premiali, v. Ghera 1979, 367; in seguito, Garo-
falo 1999, 71.
3 L’ef‌fettività è qui intesa, quindi, come capacità della norma di condotta di conformare a sé i comportamenti
reali (della quasi totalità dei destinatari, deve logicamente intendersi; in termini, Garofalo 1999, 72).
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sanzioni negative è determinato, più che dalla loro astratta previsione, dal rischio con-
creto della loro applicazione.
Tutti questi elementi rendono molto più promettente, dovendo inf‌luenzare feno-
meni di massa, ricorrere alla tecnica delle c.d. sanzioni premiali o positive.
Qui non vi è, come nelle sanzioni repressive, una norma di condotta che prescrive
o vieta un determinato comportamento ed una sanzione, ad essa strumentalmente cor-
relata, diretta a reprimere e punire il comportamento deviante.
Ciò che manca, a ben considerare, è proprio la prescrizione di una regola di condot-
ta. Il legislatore, infatti, individua le condotte socialmente desiderabili ma, anziché im-
porle, si limita ad incentivarle associandovi una posizione di vantaggio4. Come è stato
notato, ciascun soggetto rimane libero di tenere o non tenere il comportamento incen-
tivato «ma, se esercita la sua libertà nel senso preferito dal legislatore, acquista il diritto
alla posizione di vantaggio promessa»5.
La particolare struttura di queste previsioni, del resto, spiega anche la loro diversa
dinamica attuativa: in questo caso, sono coloro che decidono di avvalersi della previsio-
ne ad avere interesse a provocare il controllo sulla propria condotta in modo da poter poi
benef‌iciare del relativo premio.
L’intuizione di Ghera, insomma, era estremamente convincente e, tuttavia, la pro-
spettiva di politica del diritto così delineata non è emersa immediatamente nella nostra
legislazione.
In primo luogo, infatti, occorre considerare come – nonostante la formulazione
possa trarre in inganno – non costituiscono sanzioni premiali le norme che hanno via via
condizionato l’attribuzione di posizioni di vantaggio al possesso da parte del datore di
lavoro del documento unico di regolarità contributiva (durc, d’ora innanzi), ossia del
documento che «attesta la regolarità dei versamenti dovuti agli istituti previdenziali e,
per i datori di lavoro dell’edilizia, la regolarità dei versamenti dovuti alle casse edili»6.
Più precisamente, può risultare fuorviante la circostanza che il possesso di tale do-
cumento condizioni, allo stato attuale della legislazione nazionale, la concessione di tut-
ti i «benef‌ici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale», la
concessione di «benef‌ici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria», la parteci-
pazione alle gare degli appalti pubblici di opere, servizi o forniture e, inf‌ine, l’esecuzione
di lavori privati di natura edile7.
4 In modo speculare, il legislatore può decidere di individuare le condotte nocive ma, anziché vietarle, le può
disincentivare attribuendo un premio a chi non le ponga in essere (o ponga in essere comportamenti diversi).
5 Ancora Garofalo 1999, 72.
6 Così l’art. 4, c. 1, del d.m. 24.10.2007 che ha dato attuazione all’art. 1, c. 1176, della legge 27.12.2006,
n. 296. Le considerazioni espresse in testo, peraltro, sono riproponibili anche in riferimento all’art. 1, c. 2,
lett. s), n. 1, della l. 3.8.2007, n. 123, il quale, però, riguarda altro problema. Ai sensi di quest’ultima previ-
sione, il Governo è delegato a novellare la disciplina degli appalti pubblici in modo da garantire anche il
«rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro quale elemento vinco-
lante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni,
f‌inanziamenti e contributi a carico della f‌inanza pubblica».
7 Cfr. l’art. 1, c. 1, del d.m. 24.10.2007, il quale così riepiloga quanto disposto dalle leggi che si sono suc-
cedute nel tempo in materia. Una ricostruzione puntuale della normativa in discorso, tuttavia, eccede i li-
miti del presente discorso.

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