Profilo tributario delle vendite on-line di beni e di servizi

AutoreUmberto Rapetto; Ugo Poggi
Pagine217-236

    Umberto Rapetto1

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@1. Fisco e Web. Premessa. La neutralità fiscale del Web. La bit-tax

La diffusione ma, soprattutto, la sempre maggior quota di mercato che il commercio elettronico sta occupando hanno evidenziato Internet come una rete flessibile, capace di adattarsi sia alle esigenze di interco-municabilità aziendale, sia alle necessità ed alle opportunità di diffusione del prodotto nei confronti del mercato.

Con la rapidità che connota la costante crescita dell'informatica, Internet ha consentito un costante sviluppo dell'e-businness, degli affari in tempo reale (si pensi che in base ad una recente ricerca, su 1.5 milioni di italiani che navigano sulla Rete la percentuale di chi acquista on-line è di circa il 25%).

Ciò che più rileva però è il fatto che ha consentito altresì la nascita di un commercio "anonimo" dal punto di vista fiscale ingenerando un forte pericolo di evasione, anche tenuto conto del fatto che al giorno d'oggi pochi sono stati gli sforzi per una specifica regolamentazione, sia per il mantenimento dell'imposizione diretta ed indiretta, sia per l'acquisizione di possibilità di controllo da parte degli Organi della polizia tributaria.

A fronte di un utilizzo sempre più diffuso della Rete, pur evitando di comprimere quelli che ormai sono indiscussi diritti, rimane pertanto fuori di ogni dubbio la necessità a breve del fatto che vengano imposte re-Page 218gole le quali disciplinino i comportamenti degli utenti dovendosi dare riscontro, indirizzo e contezza a questi anche dal punto fiscale.

Linee guida per lo sviluppo di una politica fiscale sull' e-businness sono tutt'oggi in fase di evoluzione, spaziandosi da posizioni liberali a posizioni restrittive. Tra queste ne emergono due: 1) la neutralità fiscale del Web; 2) la bit-tax.

La prima delle due è richiamata in un documento del Tesoro statunitense (consultabile nel sito www.finanze.it) e riporta una tesi tipica di quel sistema liberale. Secondo quest'ultimo nell'imposizione delle transazioni ci si dovrebbe comportare in maniera tale da non considerare il mezzo attraverso il quale le stesse avvengono, ovvero sia tamquam non esset. Avverrebbe in tale ipotesi una parificazione tra l'uso della Rete e di qualsiasi altro mezzo di comunicazione.

La tesi che sembrerebbe di facile applicazione (e d'altronde chi potrebbe negare che sembra cosa abbastanza simile un contratto concluso via fax ed il contratto sottoscritto tramite Web), si potrebbe prestare ad una facile diffusione, ma, tuttavia, non coglie a pieno alcuni presupposti e soprattutto la necessità di dare una "fisicità" o meglio una. soggettività al proprio interlocutore ai fini dell'imposizione.

Se dei concetti di residenza e di stabile organizzazione si tratterà più avanti, viene spontanea comunque fin d'ora la considerazione dell'individuazione di obblighi fiscali e comunque di certezza del diritto applicabile in capo ai soggetti terzi con i quali si opera,

In tale maniera, senza con ciò voler decretare inapplicabile la tesi sulla neutralità del Web, che, peraltro, come detto, promana da un'autorevole fonte, si ritiene che la tesi potrebbe avere un àmbito territoriale di applicazione diverso da quello italiano.

Con uno spirito più europeo, nata forse dal desiderio di definire un sistema di regole certo e vincolante per tutti gli utilizzatori della Rete, si presenta la seconda tesi, quella della cosiddetta "bit-tax", proposta da un gruppo di esperti indipendenti istituito dalla Commissione Europea. La stessa, indubbiamente, come riportato nel testo della sua diffusione, ha ingenerato incredulità e sostanzialmente rifiuto.

Il novello "mostro fiscale di Loch Ness" (come i suoi contestatori la hanno definita) ha la sua principale argomentazione nella previsione dello spostamento dei consumi dai beni tangibili ai beni intangibili e Page 219 quindi del criterio di tassazione sui bit ricevuti (unità di misura degli stessi). Tale postulato, che comporta secondo il gruppo di studio un cambiamento della base impositiva, argomenta l'aspetto della non neutralità dei differenti sistemi di distribuzione e comunicazione. Il Professor Soete, responsabile del gruppo di studio, approfondendo a tal proposito specificatamente la parte riguardante il valore aggiunto (VAT od IVA) conclude affermando come "in generale si possa dire che per come sono attualmente configurati i metodi di prelievo fiscale sulla distribuzione di beni e servizi dei governi è probabile che le reti elettroniche porteranno sistematicamente ad un calo del livello di imposizione e di riscossione delle tasse".

Ma, se pur è vero che la principale imposta applicata su produzione e consumi, nei Paesi dell'Unione Europea, è l'imposta sul valore aggiunto (di facile applicazione e calcolo nelle intermediazioni di beni materiali ), e se pure corrisponde al vero che si ha un diverso valore aggiunto nella produzione se ad esempio si utilizzano i canali normali di comunicazione od i canali informatici (si pensi alla richiamata spedizione affrancata di una fattura con francobollo od alla spedizione della stessa via posta elettronica), di dubbia applicazione, se non interpretazione, rimane la proposta di tassazione dell'informazione ricevuta tramite la Rete.

La tassazione dell'informazione ricevuta elettronicamente (misurabile come detto attraverso il numero dei bit, da cui la "bif-tax" prende il nome) presenta infatti alcune gravi lacune nel suo impianto.

Lo stesso professor Mario Monti, della Direzione della fiscalità della CEE, se ne dissocia, sottolineando come la stessa si distacchi dai principi elementari della fiscalità. Questi ultimi infatti pretenderebbero che "oggetto dei tributi sia sempre e soltanto una manifestazione di ricchezza o comunque di capacità contributiva (acquisti, vendite, possesso di un reddito o di un patrimonio ecc.)". Considerando dunque come non ogni utilizzo della Rete sia effettuato per i fini su richiamati avendo solo alcuni tipi d'informazione un effettivo valore economico, ulteriori perplessità sorgono sull'opportunità di una tassazione che diverrebbe effettivamente priva di capacità discriminante con riferimento a quale flusso di dati debba essere oggetto di tassazione e quale no.

Palese a tal proposito la possibiltà di tassare flussi d'informazioni privi di valore e che non producono reddito (ad esempio le e-mail), come l'incapacità di distinguere sul valore economico dei beni scambiati.

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Si tralasciano, a fronte delle precedenti considerazioni, le valutazioni sugli effetti "ecologici" secondari che il professor Soete effettua sulla bit-tax, significando come una tassazione del bit possa ridurre la congestione informatica e la quantità di "spazzatura" e di informazioni irrilevanti trasmesse, La stessa, che limiterebbe la diffusione dell'informazione, sarebbe di per sé stessa anche contraria allo spirito che ha animato la nascita della Rete quale autostrada informatica vettore di notizie (non necessariamente utili dal punto di vista economico), potenzialmente capaci di raggiungere ogni utente.

In conclusione, se si può affermare che f individuazione di un quadro fiscale per il commercio elettronico è tuttora in corso, si segnala come l'unica presa di posizione sull'argomento in via ufficiale da parte di uno Stato sia quella degli Stati Uniti che il 21 ottobre 1998 hanno fatto entrare in vigore l'Internet taxfreedom act, con il quale s'impone una moratoria che blocca ogni pretesa impositiva per tre anni.Ma di fatto si tratta di una non-posizione.

@2. (continua) Il commercio elettronico diretto ed indiretto

Iniziando ora ad approfondire quelli che sono i presupposti di fatto per poter parlare di tassazione déll'e-businness, si rende necessario effettuare una distinzione tra il commercio elettronico diretto e quello indiretto.

È opportuno a tal fine, precisare ciò che è il fulcro del commercio elettronico e cioè la possibilità di effettuare transazioni via elettronica.

Le transazioni attraverso il Web possono riguardare acquisti di beni materiali o beni immateriali, così come beni che possono essere fruiti o ceduti direttamente on-line (caso paradigmatico è a tal proposito quello dell'ascolto di riproduzioni musicali o della visione di fotografie) oppure beni la cui consegna non può essere perfezionata via telematica, ma necessitano di una successiva consegna fisica attraverso i canali tradizionali (è questo il caso dell'acquisto di un libro da libreria virtuale). E così in séguito ad un ordine effettuato via Web, cui seguirà una "consegna" telematica parleremo di commercio elettronico indiretto (off-line), mentre allorquando la consegna seguirà ì richiamati canali tradizionali saremo di fronte ad un esempio di commercio elettronico diretto (on-line).

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Però, se pur è vero che il commercio elettronico, elidendo distanze tra produttori e consumatori, consente transazioni commerciali senza soluzione di continuità prescindendo dai confini geografici e sfruttando al meglio tutte le potenzialità del mercato globale, è anche tuttavia vero che analizzando le fattispecie dal punto di vista tributario risulta evidente come soprattutto il commercio elettronico indiretto possa essere considerato "invisibile" al Fisco, i cui principi non possono trovare facile applicazione nel cyberspazio.

Ovvio d'altronde che la già difficile identificazione degli operatori economici che operano nell'e-businnes comporta consequenzialmente una difficoltà oggettiva nell'applicazione dei metodi di prelievo sulla distribuzione di beni e servizi. Il calo della tassazione locale, già verificatosi oltremare, sarà connesso pertanto sia con la difficoltà dell'applicazione di concetti alla nuova realtà, sia con la conseguente difficoltà nel controllo.

@3. (continua) Il tempo ed il luogo della conclusione del contratto

E se una...

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