Profili penali della responsabilità dei membri del Consiglio di amministrazione non delegati

AutoreAlessandra Lafratta
Pagine249-265
ALESSANDRA LAFRATTA
PROFILI PENALI DELLA RESPONSABILITÀ
DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO
DI AMMINISTRAZIONE NON DELEGATI
S: 1. Osservazioni preliminari. – 2. Principio di personalità e responsabi-
lità di posizione. – 3. Delega di potere gestorio e responsabilità. – 4. Schema di
imputazione della responsabilità per omesso impedimento e doveri dei consi-
glieri non delegati nel diritto societario riformato. – 5. Obbligo di garanzia e
poteri impeditivi in astratto. – 6. Causalità omissiva e poteri impeditivi in con-
creto.
1. Descritti come «un certo numero di uomini – con la doverosa aggiunta
di una o due donne - la cui conoscenza dell’impresa può essere la più super-
ficiale», gli amministratori non delegati, i non executive, sono definiti anche
oltre oceano1 come soggetti che, relegati ad un ruolo che «può essere di
semplice assenso», «in cambio di una retribuzione e qualche manicaretto,
[..] accettano di essere periodicamente informati dal management sul già de-
ciso e l’universalmente noto». Anche all’interno dei confini nazionali ed in
epoca meno recente, Cesare Vivante scorge nelle comuni debolezze umane le
ragioni che muovono illustri professionisti ad occupare poltrone meramente
“decorative” nei consigli di amministrazione di grandi imprese: molti – ri-
ferisce l’Autore - dei consiglieri «partecipano solo per profittare degli affari
sociali a vantaggio dei propri [..], per la vanità di figurare accanto a ban-
chieri e uomini politici influenti», per «accumulare senza fatiche medaglie
di presenza e partecipazioni agli utili» talvolta «in balia di un direttore o di
un amministratore che fa da padrone»2. Quanto rischioso possa poi rivelarsi
il semplice fatto di sedere su quelle poltrone è la fatale questione che ci si
1 J. K. G, The Economics of Innocent Fraud. Truth for Our Time, Boston – New York,
2004, trad it. a cura di S. G, L’economia della truffa, Rizzoli, Milano, 2004, p. 54, corsivi
aggiunti.
2 C. V, Trattato di diritto commerciale, vol. I, Utet, Torino, 1893, p. 481. Si deve l’indi-
cazione di questo passo a G. M. Z¸ Il dovere di informazione degli amministratori nella
governance della società per azioni, Giuffrè, Milano, 2005.
A. Lafratta
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250 Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto — Anno IV
propone di affrontare con il presente scritto, compiendo un’analisi che pos-
sa tenere conto delle modifiche normative intervenute in tema di corporate
governance ad opera della riforma del diritto societario, al fine di coglierne i
riflessi sulla costruzione della responsabilità da reato. Si tratta di analisi che,
per il peculiare angolo visuale dal quale verrà condotta - la responsabilità
degli amministratori privi di deleghe -, si rivela complicata per tre ordine di
ragioni. Si tratta di responsabilità nei reati (c.d. propri) la cui commissione
può avvenire solo ad opera di soggetti che rivestano la qualifica soggettiva
di amministratore: pertanto occorre coordinare le disposizioni di diritto pe-
nale con nozioni elaborate dalla scienza giuscommerciale. Si tratta di reati
commessi dagli executive, di cui sono chiamati a rispondere, per mancato
impedimento, altri soggetti, i non executive, ai sensi dell’art. 40 cpv., c.p.
(reati commissivi mediante omissione o reati omissivi impropri), cosicché è
necessario domandarsi se, alla luce del rinnovato quadro normativo, esistano
ancora disposizioni di diritto societario idonee a fondarne l’obbligo giuridi-
co. Si tratta, in ultimo, di fattispecie concorsuali delle quali sono chiamati
a rispondere soggetti che, di fatto, sono rimasti inerti: indispensabile è a tal
fine scrutare se esistano azioni causalmente efficaci (e non solo astrattamente
idonee) ad impedire il reato commesso da altri.
2. Come anticipato, i reati societari (disciplinati nel Titolo XI del libro
V del codice civile, artt. 2621 ss., nei titoli I, artt. 166, ss. e I-bis, artt. 184
ss., del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 nonché nel titolo VI del r.d. 16 marzo
1942, n. 267, artt. 216 ss.) sono tutti reati c.d. propri, reati, cioè che possono
essere commessi esclusivamente da soggetti titolari della qualifica richiesta
dalla fattispecie incriminatrice. Efficacemente, autorevole dottrina3 descrive
il fenomeno facendo riferimento ad una legittimazione ad agire intesa in ac-
cezione penalistica: solo i soggetti individuati nella legge penale soddisfano
il requisito dell’idoneità, fondata su un particolare rapporto con l’interesse
protetto, a realizzare la condotta illecita. Ne deriva che, eventualmente, la
medesima condotta tenuta da soggetti sprovvisti di quella investitura formale
è penalmente irrilevante.
Questi soggetti sono i promotori, i soci fondatori, i direttori generali, i li-
quidatori, i rappresentanti degli obbligazionisti, gli amministratori giudiziari,
i commissari governativi e, per quanto qui rileva, gli amministratori.
Tradizionalmente il tema dei reati propri in ambito societario è stato af-
frontato in chiave problematica con riferimento all’ipotesi in cui le fattispe-
cie tipiche risultassero ascrivibili a soggetti sprovvisti della formale qualica
soggettiva, o investiti formalmente di altri ruoli all’interno della struttura
societaria, eppure trovatisi, di fatto, ad esercitare attività diverse da quella
propria. Il problema si è nella specie posto con particolare ricorrenza nel
caso di svolgimento, in fatto, di atti di gestione. Dottrina e giurisprudenza
3 A. P, Principi di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 1998, p. 164.

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