Profili penali della procreazione medicalmente assistita

AutoreFrancesca Re
Pagine349-365

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@1. Genesi della legge 40/2004

- La legge 19 febbraio 2004 n. 40, regolando la materia della procreazione medicalmente assistita, ha colmato un vuoto normativo con un testo organico. Infatti, fino all'entrata in vigore della legge de qua, nel nostro Paese esistevano solo provvedimenti ministeriali di carattere frammentario e contingente, che, di volta in volta, prendevano in considerazione singoli aspetti delle pratiche di procreazione assistita, senza mai dare uniformità alla materia.

La legge è stata approvata in modo visibilmente trasversale a testimonianza della complessità di un argomento che coinvolge profondamente la dimensione morale ed etica di ognuno. Le scelte sull'inizio della vita umana, che di recente hanno toccato anche la fase iniziale del concepimento, hanno sicuramente una vasta portata ideologica ma sono anche intime e personali. Per questo una legge chiamata a disciplinare tale settore della vita umana, dovrebbe fondarsi su un consenso ampio, raggiunto tramite un'alta mediazione etica, che tenga conto del pluralismo e del relativismo ideologico che attiene a tali scelte.

Prendere in considerazione la ragione altrui, e ponderarla attraverso un confronto razionale e pacato con la propria, è la strada che, forse, avrebbe potuto condurre ad una normativa laica e moderata. Purtroppo, invece, la paura per una degenerazione del modello classico di famiglia e il timore per lo scivolamento verso una produzione artificiale dell'essere umano hanno prevalso nella formazione della disciplina.

La legge 40/2004, così, invertendo completamente le precedenti «usanze procreative», è intervenuta rigidamente in ogni ambito relativo al fenomeno della fecondazione assistita.

Dunque, nonostante fosse necessario un livello minimo di tutela in tale settore, il legislatore, anche sulla scorta delle varie legislazioni europee, avrebbe forse dovuto limitarsi ad una regolamentazione delle tecniche di procreazione assistita, lasciando margini più ampi nella libertà procreativa. A causa delle forti restrizioni introdotte, ci si è anche autorevolmente domandato se «ad una disciplina lacunosa e contraddittoria, oltre che dominata dall'ideologia, fosse preferibile il vuoto normativo»1. Ciò non è però condivisibile a causa dell'esigenza che ormai si percepiva nel nostro Paese, di dare vita ad una disciplina che quantomeno contemplasse le nuove tecniche, e che prevedesse delle regole d'uso delle stesse2.

Attualmente la disapprovazione è forte, manca un consenso che legittimi socialmente la disciplina, non essendo prerogativa del diritto precedere la vita, ma seguirla e assecondarla nella complessità del suo fluire3. La legge sulla procreazione assistita non ha determinato una spontanea accettazione della regola ma una vera e propria fuga da essa. Le coppie infertili infatti, continuano a fare quello che prima della legge potevano fare anche in Italia, ovvero rivolgersi a centri specializzati, con l'unica differenza che adesso, per la maggior parte delle pratiche, possono farlo solo all'estero, dando vita a quel fenomeno conosciuto con l'orribile espressione «turismo procreativo»4.

@2. L'inizio della vita umana

- La questione relativa all'inizio della vita umana rappresenta il primo passo per poter effettivamente comprendere la ratio della legge sulla procreazione assistita. Il forte dibattito che ha preceduto l'approvazione della legge 40/2004 partiva da temi bio-etici di difficile codificazione.

La qualificazione giuridica prende necessariamente le mosse da una definizione ontologica ed etica della natura del concepito. La discussione non ha finalità speculative, ma è eminentemente pratica ed implica una serie di questioni. Si tratta di descrivere la realtà biologica dell'embrione (come si forma?); coglierne il profilo etico (quale valore e dignità?); riconoscerne lo statuto antropologico (é persona?); deciderne la tutela giuridica (quali diritti?); stabilire le modalità della sua trattabilità scientifica (quale utilizzo?)5.

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Tali domande sono assolutamente strumentali per una corretta interpretazione della questione, almeno dal punto di vista giuridico: appare allora indispensabile partire da considerazioni di natura biologica.

La comunità scientifica condivide in modo pressoché unanime la definizione che lo scienziato americano Scott F. Gilbert6, dà del concetto di fertilization. Questa, lungi dall'essere un istante, o un momento isolato, rappresenterebbe un complesso processo composto di quattro fasi:

- Contatto e riconoscimento tra spermatozoo e ovocita (fase 1).

- Regolazione dell'ingresso dello spermatozoo nell'ovocita. Solo uno spermatozoo può alla fine fecondare l'ovocita (fase 2).

- Fusione del materiale genetico di spermatozoo e ovocita (fase 3).

- Attivazione del metabolismo dell'ovocita per avviare lo sviluppo (fase 4).

Dunque, il concepimento non è un evento istantaneo, bensì è frutto di un processo che dura diverse ore. Solo al termine di tale operazione si forma lo zigote, ovvero l'ovulo fecondato. Per indicare l'ovocita (o ovulo) in via di fecondazione, l'embriologia conosce un termine esatto, ovvero quello di ootide, che ha assunto grande importanza anche a livello giuridico. Basti pensare che la normativa tedesca (nonostante sia una delle più restrittive in materia a livello europeo) prevede il congelamento dell'ootide, ovvero dell'ovocita allo stadio successivo al contatto tra i gameti (fasi 1-2)7.

L'unico dato fattuale certo, che ci viene attualmente dalle conoscenze embriologiche, è dunque, che l'inizio ontogenetico del processo che origina ed identifica un nuovo individuo (nel senso etimologico del termine: in-dividuus, non diviso), coincide con il momento in cui si realizza la prima copia del suo genoma, il genoma dello zigote.

Recepire giuridicamente la distinzione embriologica tra ootide e zigote potrebbe rappresentare un modo di realizzare un'alta mediazione etica tra le diverse posizioni in materia8.

@3. Il dibattito ideologico

- Il dibattito ideologico si è purtroppo chiuso nell'ardua impresa di codificare, definire, individuare una volta per tutte cosa si intendesse col termine concepito. Sembrava appunto che il nodo della questione fosse proprio riuscire a determinare la sua natura ontologica e successivamente etica e giuridica. Non è inverosimile ritenere che se si fosse proceduto per gradi, non partendo dalla pretesa di classificazione immediata, e piuttosto si fosse preso atto di ciò che sicuramente il concepito non è, i risultati sarebbero stati meno sofferti e più proficui.

L'embrione umano, sicuramente partecipe della specie homo sapiens, non può e non deve essere considerato in ogni caso come fosse una cosa. Una tale considerazione permetterebbe giuridicamente rapporti di proprietà, di commercio con gli embrioni che ciascuno di noi rifiuta. L'embrione umano non può però neanche essere considerato come una persona tout-court. Dunque, tertium datur. Non per forza dobbiamo scegliere tra persona e cosa. I gameti sono mera cosa e solo il nato è persona. All'embrione andrà riconosciuta la «dignità umana», in quanto forma iniziale di vita umana9.

Di fronte a temi di tale portata si sono registrate posizioni assolutamente differenti e contrastanti. Sembra opportuno però riferire come la diversità di vedute non si sia ridotta ad uno scontro tra laici e cattolici. All'interno del mondo ecclesiastico si sono infatti distinte autorevoli voci che auspicavano una normativa più aperta. Prima fra tutte la voce del Cardinale Carlo Maria Martini, il quale chiede alla Chiesa «il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che [...] produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l'atteggiamento almeno teorico di molti credenti»10. In più Martini si dice favorevole all'utilizzazione dell'«ovocita allo stadio dei due pronuclei». A suo giudizio, infatti, tale stadio e sì successivo alla fecondazione, ma in esso «non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile»; non è ancora embrione e quindi è manipolabile senza obiezioni di carattere morale.

Queste considerazioni non sono rimaste isolate. Si è infatti espresso nello stesso senso anche il Vescovo Fisichella, che ha parlato degli esiti referendari come di una «sconfitta»11.

La dimensione morale che caratterizza tale settore della bioetica sicuramente, dunque, non è sottovalutabile. Il dibattito ideologico sostanzialmente si è concentrato su tre questioni fondamentali12:

a) la sostenibilità etica, sociale e culturale della scissione tra paternità-maternità sociale e paternitàmaternità biologica;

b) la separazione tra sessualità e procreazione con il rischio di scivolare verso una «produzione artificiale» dell'essere umano;

c) infine, la definizione dello statuto ontologico e giuridico dell'embrione e in particolare l'attribuibilità all'ovulo fecondato della natura di persona.

A) Il primo problema, quello della scissione fra genitorialità biologica da una parte e socio-affettiva dall'altra, che è la questione sollevata da una specifica pratica procreativa, la cosiddetta «fecondazione eterologa», ha determinato un acceso dibattito, che nonostante la vigenza della legge 40/2004 è ancora in corso. La legge si è orientata verso una negazione completa della pratica eterologa, ovvero di quella pratica per cui la coppia deve necessariamente ricorrere ad un gamete «esterno» a causa di patologie incurabili che colpiscono la coppia stessa13.

B) La preoccupazione diffusa dello scivolamento verso una «produzione artificiale» dell'esserePage 351 umano è un tema che ha caratterizzato gran parte del dibattito bioetico alla vigilia della legge 40/2004. La separazione della sessualità dalla sua dimensione procreativa si sta rafforzando con l'uso delle tecniche artificiali nella trasmissione della vita umana. Ma la paura per un utilizzo poco ponderato e razionale delle bio-tecnologie di cui oggi disponiamo, ha portato il filosofo tedesco...

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