Profili penali della colpa medica nell'evoluzione giurisprudenziale

AutoreElio Palombi
CaricaProf. Avv. Ordinario di Diritto e Procedura penale, Università di Napoli
Pagine32-40
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giur
1/2018 Arch. giur. circ. ass. e resp.
CONTRASTI
2012) che, come si è sopra esposto, hanno un pregnante
rilievo nell’ambito del delicato tema della responsabilità
dello psichiatra per i fatti commessi da soggetti in cura.
11.1 Per completezza, nel tentativo di ricomporre i
frammenti della disciplina, conviene inf‌ine rammentare
ancora che nel recente passato questa Corte si è nuova-
mente confrontata con il risalente tema dell’applicabilità,
in ambito penale, della disciplina dell’art. 2236 c.c. per-
venendo alla conclusione che tale norma, sebbene non
direttamente esportabile nel diritto penale, sia comunque
espressione di un principio di razionalità: situazioni tecni-
co scientif‌iche nuove, complesse o inf‌luenzate e rese più
diff‌icoltose dall’urgenza implicano un diverso e più favore-
vole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo, si è
infatti considerato che il principio civilistico di cui all’art.
2236 c.c., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave,
può trovare applicazione in ambito penalistico come re-
gola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di
imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di
problemi di speciale diff‌icoltà (da ultimo cfr. sez. IV, sen-
tenza n. 12478 del 29 novembre 2015, dep. 2016, Barberi,
Rv. 267814; sez. IV, sentenza n. 4391 del 22 novembre 2011,
dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941). Tale giurisprudenza ha
ancora attualità e, si conf‌ida, potrà orientare il giudizio in
una guisa che tenga conto delle riconosciute peculiarità
delle professioni sanitarie.
12. Per tutte le considerazioni svolte, si impone l’annul-
lamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo
esame, al Tribunale di Pistoia. (Omissis)
PROFILI PENALI DELLA COLPA
MEDICA NELL’EVOLUZIONE
GIURISPRUDENZIALE (*)
di Elio Palombi (**)
1. Sulla categoria normativa della colpa in ambito sani-
tario, nell’evidente fallimento del tentativo di inquadrare
in canoni rigorosi l’accertamento della stessa, si è assisti-
to nel tempo a continui ondeggiamenti giurisprudenziali
in relazione alla valutazione del caso concreto, rendendo
vana la possibilità per l’interprete di orientarsi nelle scelte
diagnostiche e terapeutiche.
Per comprendere le ragioni del perenne stato d’incer-
tezza in tema di colpa medica, occorre risalire indietro nel
tempo, evidenziando i continui contrasti interpretativi,
che hanno indotto il legislatore a intervenire più volte,
negli ultimi anni, nel tentativo di fornire strumenti nor-
mativi atti a conferire maggiore determinatezza interpre-
tativa nella controversa materia.
La più antica giurisprudenza di legittimità in tema di
colpa nell’esercizio della professione medica si caratteriz-
zava per particolare larghezza di vedute e comprensione,
affermando che la responsabilità penale può conf‌igurarsi
solo nei casi di colpa grave e cioè di macroscopica viola-
zione delle più elementari regole dell’arte (in tal senso,
cfr. Cass. 6 luglio 1967, n. 447). La motivazione di tale in-
dirizzo andava ricercata nel fatto che la materia può mani-
festarsi talvolta in modo non chiaro, con sintomi equivoci
che possono determinare un errore di apprezzamento, e
sovente non esistono criteri diagnostici e di cura sicuri. La
colpa grave si riscontrava, pertanto, nell’errore inescusa-
bile, con la conseguenza che la sua esclusione trovava un
limite nella condotta del professionista incompatibile col
minimo di cultura e di esperienza che deve legittimamen-
te pretendersi da chi sia abilitato all’esercizio della profes-
sione medica (cfr. Cass. 27 gennaio 1984, n. 6650; Cass. 2
ottobre 1990, n. 14446; Cass. 23 agosto 1994, n. 11695). Il
supporto normativo di tale orientamento era solitamente
individuato, per un’esigenza di coerenza interna dell’or-
dinamento giuridico, nell’art. 2236 del codice civile, che
esclude la responsabilità in caso di colpa lieve.
La questione della compatibilità tra l’indirizzo giuri-
sprudenziale che limitava la responsabilità ai casi di colpa
grave e il principio di eguaglianza, è stata posta, nell’anno
1973, all’attenzione della Corte costituzionale, che ave-
va modo di affermare che dagli artt. 589, 42 e 43 c.p. e
dall’art. 2236 c.c. è ricavabile una particolare disciplina
in tema di responsabilità degli esercenti professioni intel-
lettuali, f‌inalizzata a fronteggiare due opposte esigenze:
“non mortif‌icare l’iniziativa del professionista col timore
di ingiuste rappresaglie del cliente in casi di insuccessi, e
quella inversa di non indulgere verso non ponderate deci-
sioni o riprovevoli inerzie del professionista” (v. Relazione
del Guardasigilli al codice civile, n. 917). Tale particolare
regime, che implica esenzione o limitazione di responsabi-
lità, però, si applicava per un’esigenza di coerenza interna
dell’ordinamento giuridico ai soli casi in cui la prestazione
comportasse la soluzione di problemi tecnici di speciale
diff‌icoltà e riguardava l’ambito della perizia e non quelli
della diligenza e della prudenza.
Purtroppo, la dilagante incertezza nella def‌inizione
della colpa medica, unitamente alla necessità di prevedere
una più incisiva tutela della salute delle persone, hanno de-
terminato, nel corso degli anni novanta dello scorso secolo,
un’inversione di tendenza, con l’esclusione di qualsiasi ri-
lievo, in ambito penale, dell’art. 2236 c.c., imponendo di va-
lutare la colpa professionale sempre e comunque sulla base
delle regole generali in tema di colpa contenute nell’art.
43 c.p. (cfr. Cass. 28 aprile 1994, n. 11007). Si osservava,
sul punto, che la norma civile riguarda il risarcimento del
danno, quando la prestazione professionale comporta la so-

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