Delitto di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti e ricettazione: concorso di norme o concorso di reati?

AutoreBarbara Colanziraghi
Pagine139-141

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  1. - La sentenza in epigrafe interviene a risolvere una questione che da circa un ventennio divide gli operatori del diritto, ossia se la detenzione per la vendita di prodotti con il marchio contraffatto configuri unicamente il delitto previsto dall'art. 474 c.p., oppure se il fatto possa essere considerato come un'ipotesi di concorso di reati ai sensi degli artt. 474 e 648 c.p.

    È interessante notare che questa problematica sorge pressoché contemporaneamente alla necessità di apprestare una maggiore tutela al marchio industriale, il quale, - con l'evoluzione socio-economica - ha progressivamente assunto una importanza sempre maggiore in molti settori merceologici, ove è divenuto uno status symbol da esibire (si pensi ad esempio all'abbigliamento) 1.

    Sino agli anni ottanta la giurisprudenza non si era interessata in modo particolare di tale problema; la giurisprudenza di merito considerava la detenzione per la vendita di prodotti con il marchio contraffatto come un fatto penalmente rilevante solo con riguardo al delitto di cui all'art. 474 c.p. 2.

    Successivamente, in seguito all'indebolimento della funzione di prevenzione speciale della sanzione prevista per tale delitto, a causa dei continui provvedimenti di amnistia e nel tentativo di apprestare una tutela più efficace per iPage 140 marchi industriali, buona parte della giurisprudenza ha fatto ricorso alla tutela complementare dell'art. 648 c.p. contestando il concorso di reati ex artt. 474 e 648 c.p. 3.

    Tale orientamento non ha incontrato il favore unanime della giurisprudenza di legittimità, tanto che alcune sentenze hanno ravvisato nel fatto de quo soltanto il delitto di falsità di cui all'art. 474 c.p.

    La detenzione per la vendita di prodotti con il marchio contraffatto - afferma questa minoranza esigua della giurisprudenza di legittimità - rappresenta un'ipotesi di concorso apparente di norme risolvibile secondo il principio di specialità (art. 15 c.p.): l'art. 474 c.p. infatti è una norma speciale rispetto alla norma generale dell'art. 648 c.p. e il suo elemento specializzante è costituito dalla plurioffensività dei beni giuridici offendibili, che sono la pubblica fede e il patrimonio, in particolare il monopolio sull'opera e sul marchio. La norma generale dell'art. 648 c.p. invece tutela solamente il patrimonio 4.

  2. - Dinanzi a tale contrasto giurisprudenziale, sono intervenute le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza che si annota, ribadendo l'orientamento dominante e dunque la sussistenza del concorso di reati tra gli artt. 474 e 648 c.p. Le argomentazioni utilizzate sono essenzialmente tre:

    A) La prima attiene alla possibilità che i marchi e i segni contraffatti possano essere oggetto di tutela ex art. 648 c.p., pur essendo beni immateriali e non «cose» suscettibili di essere possedute o oggetto di proprietà 5. La Corte di legittimità, argomentando nel senso che attraverso tale norma il legislatore ha «inteso colpire ogni acquisizione patrimoniale consapevolmente ottenuta o procurata in virtù di beni aventi origine delittuosa», conclude in senso positivo.

    Tuttavia la condivisibile soluzione alla quale giungono le sezioni unite della Cassazione, non deriva dal fatto che l'art. 648 c.p. intende colpire tutte le «acquisizioni consapevolmente ottenute»; ciò può rappresentare eventualmente la logica conclusione di un discorso che è a monte.

    Infatti per poter possedere, acquistare un bene mobile, è necessario che detto bene sia suscettibile di essere acquistato o posseduto, ossia che si tratti di una cosa materiale, tangibile. Qualità che non inerisce ai beni immateriali come i marchi registrati, i quali sono invece beni intangibili e dunque insuscettibili di essere posseduti 6. Il loro impossessamento, la loro acquisizione passa attraverso l'«incorporamento» in un bene materiale; soltanto attraverso questo incorporamento essi diventano beni tangibili e dunque suscettibili di essere posseduti, acquisiti e conseguentemente offesi. Si pensi, ad esempio, ad una borsa contrassegnata da uno dei marchi industriali più noti quali Gucci, Fendi, etc.: la tutela patrimoniale del marchio passa attraverso la borsa, che, in quanto «cosa», può essere suscettibile di furto, appropriazione indebita, ricettazione. Diventa cioè lo strumento attraverso il quale viene tutelato - dal punto di vista patrimoniale - anche il marchio 7.

    B) Accertato quindi che anche i beni immateriali sono suscettibili di essere offesi dal punto di vista patrimoniale e che pertanto possono usufruire della tutela complementare derivante dalle norme incriminatrici previste nel XIII titolo del libro II del codice penale, la sentenza annotata affronta la problematica relativa all'interpretazione dell'espressione «cose provenienti da un qualsiasi delitto» contenuta nell'art. 648 c.p. onde accertare se i prodotti con il marchio contraffatto possano essere considerati appunto provenienti da un delitto e quindi individuare il delitto presupposto della ricettazione.

    Le sezioni unite, interpretando in senso lato l'espressione «provenienza delittuosa» 8, affermano che le cose provenienti da un reato non sono costituite soltanto dal profitto del crimine, ma da qualunque cosa ne costituisca il prodotto. Pertanto anche i beni, cui sia stato precedentemente contraffatto il marchio, hanno una provenienza delittuosa 9. A tal fine la Corte di legittimità individua esattamente il delitto presupposto in quello di contraffazione di segni distintivi (art. 473 c.p.), ponendo così termine ad un errore di prospettiva in cui era caduta una parte della dottrina, la quale riteneva invece che fonte della ricettazione fosse il delitto di cui all'art. 474 c.p. 10.

    Tale errore conduceva i sostenitori della predetta teoria a conclusioni particolarmente farraginose e poco condivisibili.

    Essi infatti, totalmente dimentichi che a monte della detenzione per la vendita di prodotti con il marchio alterato deve necessariamente esserci il delitto di contraffazione di cui all'art. 473 c.p., affermano che la ricettazione non si configura in casi del genere per mancanza del delitto presupposto. Infatti la detenzione per la vendita (art. 474 c.p.) non configura la «provenienza delittuosa» di cui all'art. 648 c.p., perché non determina il trasferimento di titolarità del bene attraverso un'autonoma vicenda di reato. Infatti colui che detiene per la vendita il prodotto con il marchio contraffatto è lo stesso soggetto che successivamente ricetta il medesimo bene.

    Attraverso questo errato ragionamento tali autori ritenevano inevitabile richiedere, ai fini della configurabilità della ricettazione, che prima della detenzione per la vendita si interponesse un ulteriore delitto (come ad esempio il furto) idoneo a trasferire illecitamente la titolarità del prodotto con il marchio contraffatto da un soggetto ad un altro. Ovviamente la conclusione di questo fraintendimento di fondo era nel senso che, non potendo l'art. 474 c.p. costituire il delitto presupposto della ricettazione, il problema del concorso tra le norme de qua era difficilmente configurabile.

    La sentenza che si annota invece evidenzia che il delitto presupposto della ricettazione è - nel caso di specie - costituito dalla contraffazione dei marchi o segni distintivi; ossia da una vicenda penale autonoma, attraverso la quale il marchio viene alterato da un soggetto e poi, successivamente, detenuto per la vendita. La contraffazione, in quanto delitto autonomo, in tutti i suoi elementi costitutivi, rispetto...

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