Il principio di laicità nella giurisprudenza costituzionale (PRIMA PARTE)

AutoreVincenzo Pugliese
Pagine1017-1025

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@Premessa.

Ricercare sul principio di laicità significa affrontare uno di quei diritti di libertà, che intensamente attraggono l'attenzione degli odierni studiosi, in una società europea, che ama definirsi conoscitiva, postcristiana e multiculturale, in cui i problemi della laicità s'intersecano con quelli della identità 1.

Esso costituisce una categoria giuridica forte, capace di attuare politiche che si misurino con la complessità dei problemi posti di fronte alla società nella sua verietà religiosa, dopo che le scorciatoie dei regimi di separazione, di confessionalismo e di alleanza neo-moderata con i poteri esistenti, si sono rivelati mortificanti o controproducenti. Un metavalore che consente «rispetto e convivenza pure tra quanti aderiscono a visioni della vita diverse, tra quanti aderiscono a differenti valori materiali e concreti, tra quanti, in breve, si riconoscono in distinte identità» 2. Una formula concettuale, elaborata nel tempo dalla dottrina ed accolta tardivamente nella sent. 203 del 1989 dalla Corte costituzionale, il cui senso è da investigare nel divenire incessante della esperienza storico-giuridica, dalle dimensioni via via inedite. Un principio per lo più ignorato dalla legislazione ordinaria che continua a muoversi nella direzione opposta, ispirata ad una logica confessionalistica, sebbene esso si sia imposto in tutte le legislazioni moderne 3. Un'espressione di antagonismo democratico di fronte agli attacchi contro i valori della democrazia, quali la libertà di coscienza in qualsiasi forma religiosa o atea, oppure il divieto di discriminazione a causa della religione. Un antidoto alla sfiducia verso i valori laici che, si dice, hanno fatto il loro tempo, rivelando le loro insufficienze e lacune, non più in grado di ispirare la società. Ora sarebbero necessari i valori altri, cioè religiosi, cristiani in genere, cattolici in concreto, da parte di una Chiesa, garante delle premesse normative della vita politica 4. Una religione che sostenga la società, supplisca volentieri alle debolezze delle sue istituzioni e sorregga tutti i poteri, dal legislativo all'esecutivo fino al giudiziario. Anche se si ammette che «nella società occidentale la religione come istituzione sociale può essere in declino, ma la religione come risorsa culturale rimane potente», offrendo validi rimedi all'ansia di sopravvivenza, indotta economicamente, dopo che «Weber analizzò le conseguenze economiche dell'ansia di salvezza indotta dottrinariamente durante le fasi iniziali del capitalismo» 5.

La ricerca verte su come il principio di laicità sia stato assunto e sviluppato nella giurisprudenza della Corte costituzionale, con il tentativo di ricostruire il percorso e gli snodi della sua interpretazione, se emergano e si vadano affermando nella evoluzione della giurisprudenza costituzionale spunti innovativi oppure anneghino nella palude del continuismo. S'inizia con la dimensione diacronica, non trascurando quella sincronica, specie quando vengano richiamate argomentazioni già ribadite, per concludere con una sintesi. Si punta a dipanare e discernere le varie fasi e le complesse linee nella ermeneutica condotta dal Giudice delle leggi su uno dei capisaldi della Carta costituzionale, per comporre il tutto in quadro coerente. Una tematica essenziale, che però acquista un aspetto nuovo, sorprendentemente più ricco e suggestivo, se studiato diacronicamente su una linea di sviluppo. Più di quarant'anni di giurisprudenza, segnati da mutamenti profondi nel contesto europeo e da gravi difficoltà e tensioni nello stesso ambito italiano. Si aggiunga la varietà di orientamenti, prese di posizione diverse, spesso almeno in apparenza contraddittorie, che sembrano caratterizzarne l'andamento. Del resto il diritto stesso non ha forse le radici nella società e non acquista pertanto tutti i connotati di una realtà storica e mutevole? 6. La considerazione della realtà sociale non incide forse in modo determinante su ogni attività ermeneutica?

È superfluo indicare l'importanza della giurisprudenza della Corte costituzionale: le caratteristiche intrinseche del suo sindacato di costituzionalità nell'ordinamento italiano a costituzione rigida, la rilevanza attribuita da essa alla categoria dei principi supremi dell'ordinamento repubblicano, i suoi molteplici riferimenti normativi nella Costituzione, su cui è fondato il principio di laicità. È non ultimo motivo da più di un ventennio la sua copiosa cognizione della tutela penale in materia religiosa, in cui la sentenza interpretativa di rigetto o la sentenza ablativa della Consulta nell'interpretazione di un dato normativo antecede l'interpretazione autentica dello stesso legislatore, nel quadro «di una normatività combattuta tra la fissità della norma codiciale e l'elasticità dinamica del diritto giurisprudenziale costituzionale e di merito». Ciò che tutela il codice penale non è propriamente ciò che il giudice costituzionale intende proteggere: il primo vorrebbe tutelare solo alcuni culti, quelli ammessi, il secondo ritiene che le garanzie debbano riguardare tutti iPage 1018 culti, nessuno escluso. Il primo considera il sentimento religioso bene di civiltà, il secondo lo associa al generale diritto di libertà religiosa 7. È la discrasia fra il testo normativo e il testo giurisprudenziale.

L'incidenza della giurisprudenza costituzionale si accresce tanto più, in quanto la Carta del 1948 non proclama espressamente il principio di laicità, come invece in alcune costituzioni contemporanee. La Costituzione si limita infatti a proclamare la reciproca indipendenza dello Stato e della chiesa cattolica e la bilateralità di regolamentazione, coniuga il principio di uguaglianza e il godimento dei diritti fondamentali senza discriminazione di religione con il sistema pattizio di relazioni con la chiesa cattolica e le altre confessioni religiose. Ne risulta un sistema basato sul riconoscimento delle diversità 8.

Le stesse norme costituzionali sulla libertà religiosa tuttavia non sono di esauriente contenuto e comunque segnano un momento dell'evoluzione teorica di essa, in un ordinamento, fortemente segnato dalla tardiva attuazione degli impegni costituzionali e dai pesanti ostacoli della stessa legislazione ordinaria, «vero retaggio dello Stato di polizia». La loro ampiezza di formulazione offre alla Corte maggiori opportunità creative per affermare un proprio indirizzo politico, sovente divergente da quello della maggioranza parlamentare. Ne risulta pertanto una versione della laicità per così dire «all'italiana» 9.

Metodologicamente si procede quindi da una analisi approfondita dei casi decisi e delle rationes decidendi per giungere alla comprensione del principio di laicità, dapprima presupposto e implicito poi espresso, nelle molteplici iridescenze. Si tralascia pertanto il dibattito sulle origini storiche e filosofiche della nozione di laicità e sulle sue radici cristiane 10 e sulla libertà religiosa 11, come pure ogni accenno all'origine dell'odierno linguaggio dei diritti umani 12 e alla tesi di uno Stato indifferente al fenomeno religioso.

Storicamente sono state molteplici le soluzioni date al rapporto tra fenomeno religioso nelle sue particolari organizzazioni confessionali e assetto del corpo sociale: spaziano dal modello antico della identificazione fra potere religioso e potere civile ai modelli conosciuti nell'esperienza contemporanea, dalla radicale esclusione del fenomeno religioso dai fenomeni ritenuti come socialmente apprezzabili alla potestas indirecta del magistero della Chiesa come vincolo di coscienza dei fedeli nell'ambito della legge morale 13. Né si può ignorare del resto l'evoluzione dello Stato moderno dal modello liberale a quello di democrazia pluralista, che nei suoi rapporti con la religione poggia meno sulla nozione di separazione tra sfera privata e sfera pubblica che su quella del pluralismo e del rispetto delle differenze. Il discorso sulla laicità pertanto s'inserisce in un contesto più ampio: in che modo e con quali strumenti lo Stato affronta il problema delle diversità culturali, etniche, linguistiche che caratterizzano la propria popolazione. Inoltre non soltanto vengono interessati i fondamenti, ma anche i confini della laicità, la capacità dello Stato laico di tracciare «distinzioni inclusive» in grado di definire uno spazio politico aperto ad «appartenenze plurime» 14.

Tale pluralismo alla base dello Stato laico implica come postulato teorico fondamentale il relativismo etico, che lungi dal tradursi in assenza di valori, si determina come «libera scelta dei valori di riferimento, consapevolezza della loro origine storica e sociale, rifiuto di ogni pretesa assolutistica» 15.

Il laico non è scettico né tanto meno indifferente, ma è alla ricerca di valori, capaci di accomunare persone di diversa appartenenza culturale, religiosa, etnica, in un confronto condotto secondo le regole della democrazia argomentativa. È riscoprire la prospettiva, che riconosce il pluralismo delle vie, le quali si recano e dipartono dalla Verità, ritenuta il fondamento della propria fede 16.

In una prospettiva storica tuttavia i rapporti tra Stato e religioni in Italia si sono svolti diversamente.

L'art. 1 dello Statuto albertino infatti, pur proclamando la religione cattolica quale religione di Stato, ben presto cadde in desuetudine, in un clima di tendenziale separazione tra lo Stato e la chiesa cattolica, che si consumò con la breccia di Porta Pia e soprattutto con la legge delle Guarentigie del 1871. Da una parte lo Stato rinunciava a numerosi tradizionali poteri sulla Chiesa, questa a sua volta era privata di molte antiche esenzioni, prerogative e immunità di luoghi, persone e cose. Tutto e tutti erano regolati dal diritto comune. Di conseguenza ogni culto era posto sul medesimo piano dalle norme di tutela del codice penale Zanardelli del 1889. La stessa religione cattolica era compresa sotto la denominazione di culti ammessi nello Stato. Le opzioni...

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