Il principio di laicitá nella giurisprudenza costituzionale (SECONDA PARTE)

AutoreVincenzo Pugliese
Pagine1169-1179

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@B. Il principio di laicità.

@@I. Il principio di laicità come principio supremo.

Sono passati quattro anni dall'entrata in vigore del nuovo Concordato che ha segnato un momento politico epocale in cui sono emerse la forza propulsiva e la tensione riformatrice del patto costituzionale. Con una posta in gioco ben alta, la Corte è chiamata, nel rispetto del principio supremo della laicità, a decidere della facoltatività dell'insegnamento della religione cattolica che è compreso tra gli altri insegnamenti del piano didattico con pari dignità culturale, sebbene non curricolare. Con la notissima sentenza n. 203/89, essa statuisce che la normativa neoconcordataria impugnata non è illegittima finché, per un verso, si limiti ad obbligare alla frequenza dell'insegnamento soltanto gli studenti che si avvalgano e, per l'altro, garantisca uno stato di non obbligo a quanti non si avvalgano, compresa la possibilità di scegliere la libera uscita dall'edificio scolastico. Designa per la prima volta il principio di laicità, nell'ormai più che trentennale giurisprudenza costituzionale, con ampia qualificazione, quale valore o principio metagiuridico, in discontinuità con la precedente elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria 1.

Esso è iscritto nella tipologia dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale e identificato nei suoi contenuti; viene definito come «uno dei profili della forma dello Stato, delineata nella Carta costituzionale della Repubblica», in altri termini, un «modo di essere dell'intero ordinamento statuale» 2; è tratto metodologicamente, non come una nozione astratta, ma induttivamente dagli articoli costituzionali (non solo 2, 3 e 19, citati dal giudice remittente, ma anche 7, 8 e 20, aggiunti dalla stessa Corte perché concorrenti); è stimato di valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, alla legge di esecuzione del Trattato CEE e alla stessa normativa concordataria, con il riconoscimento del valore della cultura religiosa, in particolare, dei valori del cattolicesimo come parte del patrimonio storico del popolo italiano.

In base agli articoli indicati sono individuati tre presupposti strutturali della laicità italiana: 1) il principio di distinzione-separazione degli ordini; 2) il principio di uguaglianza; 3) il principio pattizio 3.

Inoltre non significa indifferenza dello Stato dinanzi al fenomeno religioso, ma comporta, pur nella neutralità dello Stato come limite oggettivo e costituzionalmente invalicabile, la garanzia di esso a salvaguardia della libertà religiosa e il servizio alle concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini. In tal modo viene accolta la nozione di laicità «positiva», che costituisce lo sviluppo e il superamento dell'idea di laicità in senso «negativo» di matrice illimitata. È quanto nella sentenza viene definito come «attitudine di servizio o logica strumentale dello Stato stesso rispetto ai valori e alle opzioni autonomamente espresse dai cittadini e dalle formazioni sociali» 4. Ne deriva quale corollario che lo stesso diritto di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento di religione, che versa in materia di diritto soggettivo perché espressione dell'autodeterminazione dei cittadini, è accolto proprio secondo l'attitudine di servizio o logica strumentale dello Stato-comunità. Questo, in quanto laico, è garante del pluralismo e particolarmente della libertà religiosa, costituzionalmente atto a recepire le istanze della società civile e religiosa.

Lo Stato, pertanto, non è più portatore di una sua visione del mondo in tema di religione né può valutare le credenze di fede, positive o negative che siano, in conformità a canoni prefissati, o esprimerne giudizi comparativi di meritevolezza. Quale fondamento e forma del principio di laicità è posto il pluralismo confessionale e culturale. Non vale, pertanto, il numero; si impone oramai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza. Vige l'uguale valorizzazione delle confessioni religiose 5. Si conferma così ancora una volta l'abbandono della scelta confessionale dello Stato, a suo tempo operata con lo Statuto Albertino e ribadita nel Trattato lateranense del 1929, già abrogata dalla Costituzione del 1948, in armonia con il Protocollo addizionale, art. 1, alla L. n. 121 del 1985 di ratifica e di esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede 6.

Il principio della laicità dello Stato, enunciato nella suddetta sentenza, contribuirà a determinare l'avvio di una crisi insuperabile della tutela penale privilegiata della religione cattolica, apportando la parità di disciplina e rivalutando il principio di uguaglianza, rimasto implicito in essa. Sarà inte-Page 1170grato dall'obbligo d'imparzialità ed equidistanza dello Stato verso tutte le religioni.

Con le sue connotazioni la concezione della laicità ritornerà costantemente, negli anni '90 addirittura con una cadenza quasi triennale, per i più svariati problemi nelle successive sentenze: nella decisione 259/90 a difesa della autonomia e personalità giuridica delle comunità israelitiche 7, nelle pronunce 13/91 e 290/92 riguardo la collocazione dell'insegnamento religioso e lo «stato di non obbligo» per gli studenti non avvalentisi di esso nell'ambito dell'orario scolastico obbligatorio, insegnamento religioso da considerare non in contrasto con la laicità dello Stato, ma anzi una modalità di estrinsecazione 8, nelle sentt. 195/93 e 346/02, contro l'erogazione dei contributi regionali per la edilizia di culto a favore delle sole confessioni religiose sulla base d'intese e di un'apprezzabile radicamento sul territorio ex art. 8 comma 3 Cost. 9, e nelle sentt. 149/95 e 334/96 sul riconoscimento delle diverse posizioni di coscienza rispetto al giuramento e sul divieto di ricorrere a obbligazioni di ordine religioso per rafforzare l'efficacia dei propri precetti 10, nella sent. 329/1977, sulla illegittima differenziata normativa penale circa le offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose 11, nelle sentt. 508/00 e 327/02 sul reato di vilipendio della religione cattolica 12.

Tuttavia fino ad oggi il riconoscimento del principio di laicità, per quanto espresso in maniera autorevole, non ha prodotto le molteplici conseguenze pratiche, inerenti alla sua reale portata. Nella stessa dottrina esso è declinato in senso profondamente diverso, secondo gli orientamenti. A una posizione «autenticamente laica», caratterizzata da una dualità, per cui i comandi secolarizzati sono compatibili con i precetti delle fedi, si oppone una laicità neutrale, non cognitiva, in cui lo Stato assicura un minimo inderogabile di regole a tutela dei valori costituzionalmente protetti in via primaria e favorisce l'autodeterminazione della persona nella scelta dei valori, in un confronto interculturale.

Comunque è palese il rischio di accettare il principio di laicità per poi privarlo della reale efficacia con il riproporre il parametro quantitativo tra le confessioni religiose, pur nelle diverse varianti, con aderenza al principio pattizio e alla sua logica parzialmente diseguale. Ne deriverebbero un «pluralismo privilegiato» e una «laicità relativa», a danno dello stesso pluralismo confessionale e culturale, richiamato in sentenza 13.

Nel contesto della Repubblica italiana, per la sua forma di Stato laico, continua la Corte nella sua motivazione, l'insegnamento della religione cattolica è sostenuto da due ordini di valutazioni: il valore formativo della cultura religiosa, nella sua espressione pluralistica, e l'appartenenza dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano. Il valore formativo riconosciuto alla cultura religiosa individua il profilo promozionale del principio di laicità. Questo è connesso al profilo di garanzia, che si traduce nel divieto di ricevere imposizione di comportamenti religiosamente qualificati. Quanto all'appartenenza poi dei principi del cattolicesimo si fa richiamo del fondamento «secolare» dell'Accordo del 1984 e si ribadisce il ruolo storico, culturale, sociale svolto dalla religione cattolica nel processo identitario della nazione, senza avvertire il rischio che essa diventi l'orizzonte etico e culturale ispiratore del legislatore nello svolgimento della sua attività, dal diritto di famiglia alla scuola.

Come però sia conciliabile il regime di pluralismo religioso della società civile con un insegnamento incentrato esclusivamente sui principi di cattolicesimo, la Corte lo giustifica di sfuggita, affermando che essi sono acquisiti al patrimonio storico del popolo italiano. Coinciderebbe quindi «l'interesse generale all'insegnamento della religione cattolica e l'interesse particolare ad un insegnamento di religione cattolica a gestione confessionale» 14. Usando il nuovo Accordo con la Chiesa cattolica come instrumentum regni, si trasformerebbero automaticamente in interessi pubblici gli interessi confessionali, a cui convenga offrire tutela. La norma concordataria, che obbliga lo Sato ad «incorporare» l'insegnamento confessionale nel quadro delle finalità della scuola, se da una parte soddisfa la esigenza di libertà religiosa del cittadino cattolico, dall'altra, non pare che rispetti il diritto di tutti a professare liberamente la religione, ex art. 19 Cost. È difficile pertanto sfuggire all'impressione che si sia di fronte a un principio elaborato per garantire un regime di confessionalità della scuola pubblica, come pure si percepisce la resistenza del giudice costituzionale a dichiarare illegittima in sé la scelta concordata con la Santa Sede in materia d'insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello Stato. Insomma vecchio e nuovo sono destinati a convivere a lungo. Del resto Giovanni Paolo II, mentre proclama che la Chiesa non pretenda alcun privilegio, nell'ambito del diritto alla libertà religiosa fa rientrare le attività sociali, tra cui in...

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