Il principio di irretroattività e l'efficacia della legge penale nel tempo

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine69-82

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@L’irretroattività delle norme giuridiche: profili generali

L’art. 11 disp. prel. c.c. stabilisce, per tutte le leggi (civili, penali, amministrative etc.), il principio di irretroattività, in virtù del quale la legge si applica soltanto ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore e, pertanto, non ha effetto retroattivo. In ambito penale, poi, il principio è ribadito dall’art. 25, 2° comma, Cost., in base al quale "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Tale principio assume portata relativa, in quanto, secondo l’interpretazione dominante, l’art. 25 Cost. stabilisce solamente l’irretroattività della legge penale sfavorevole, per cui le norme penali incriminatrici (o che comportano un aggravamento di pena) si applicano soltanto ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore delle norme stesse. Invece, per le leggi penali favorevoli vige il diverso principio della retroattività, ossia della loro applicazione anche a fatti commessi prima della loro entrata in vigore.

Il principio di irretroattività si integra con i principi della riserva di legge e di tassatività, "la cui funzione garantista di certezza giuridica sarebbe frustrata se si lasciassero i comportamenti umani esposti all’incognita di future incriminazioni" (Mantovani). In altri termini, il cittadino deve poter contare sul fatto che non sarà punito (o non sarà punito più gravemente) per fatti che, al momento della loro commissione, non erano puniti o lo erano in modo più mite.

Da questo punto di vista, il principio di irretroattività si salda, come accennato, con quello della riserva di legge e della tassatività, fondendosi nella formula nullum crimen, nulla poena sine praevia lege penali.

Il principio di irretroattività riguarda soltanto le norme penali incriminatrici e non le misure di sicurezza.

Inoltre, tale principio non si applica alle norme processuali. Ad esempio, le disposizioni che riguardano l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non

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hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto soggiacciono al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 c.p. e dall’art. 25 Cost. (Cass. S.U. n. 24561/2006).

@Le ipotesi previste dall’art. 2 c.p.

Il principio di irretroattività della legge penale trova conferma, a livello codicistico, nell’art. 2 c.p.

In particolare, il 1°comma sancisce che "nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato". Si tratta della cd. nuova incriminazione, che si ha quando una nuova legge incrimina un fatto prima non costituente reato, creando una figura di reato prima non esistente, oppure estendendo la portata di una preesistente figura criminosa a un fatto prima non rientrante in essa (Mantovani). In tali ipotesi, come espressamente previsto dall’art. 2, 1° comma, c.p., si applica il principio dell’irretroattività della legge penale sfavorevole.

Il momento da prendere in considerazione per stabilire quando è stato commesso un reato (tempus commissi delicti) è quello della condotta (e non del verificarsi dell’evento), in quanto è in tale momento che il soggetto, nella vigenza di una determinata legge, si pone contro il diritto.

Il 2° comma prevede che "nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali". Tale è il fenomeno della cd. abolitio criminis (o "abrogazione secca"), che si ha quando un fatto non costituisce più reato in quanto abrogato da una legge successiva (abrogazione totale), oppure quando una nuova legge restringe la portata applicativa di una legge precedente, escludendo la rilevanza penale di alcuni fatti da essa previsti (abrogazione parziale) (Mantovani). In tali ipotesi, si applica il principio della retroattività della legge favorevole al reo, poiché sarebbe illogico e contraddittorio continuare a punire l’autore di un fatto che l’ordinamento non ritiene più antigiuridico.

Pertanto, se un soggetto, nel 2007, ha commesso un fatto previsto dalla legge come reato e, nell’attesa del giudizio, lo stesso fatto viene depenalizzato, egli non potrà essere più punito. Se la depenalizzazione segue la condanna, di quest’ultima cesseranno l’esecuzione e gli effetti penali.

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Il problema della successione di leggi nel tempo si pone, in modo del tutto particolare, per le norme penali in bianco e per i cd. elementi normativi della fattispecie (ossia per gli elementi della norma penale per la cui determinazione la norma stessa rinvia a concetti posti da altre norme o ricavabili dal contesto sociale). La questione consiste nello stabilire se si abbia o meno abolitio criminis in caso di abrogazione di una norma integratrice di una norma penale in bianco (si pensi, ad esempio, all’art. 348 c.p., che punisce l’esercizio abusivo della professione) oppure quando muti un elemento normativo della fattispecie (l’esempio classico è quello del reato di calunnia ex art. 368 c.p., che consiste nell’incolpare falsamente qualcuno di un reato, qualora il fatto costituente il reato falsamente attribuito cessi di essere considerato tale) o una norma integrativa extragiuridica (è il caso, ad esempio, del venir meno, nella coscienza sociale, del carattere di oscenità di alcuni comportamenti).

Per individuare le conseguenze dell’abrogazione o della modificazione della norma richiamata nella norma penale in bianco, occorre distinguere:

  1. se la norma rinvia, per la compiuta individuazione del precetto penale, a una o a un atto ad essa equiparato (decreto legge o decreto legislativo), non si pone nessun problema: si pensi all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo della professione), norma penale in bianco in quanto rinvia, per...

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