Primi appunti per uno studio sull'informazione e la decisione nel campo giuridico

AutoreEttore D'Elia
CaricaIstituto per la documentazione giuridica del CNR, Firenze
Pagine191-229

Page 191

@Premessa

Le brevi pagine che seguono hanno solo un lontano riferimento, sia nel tempo che nella sostanza, con quanto ho avuto modo di scrivere in una prefazione d'un'opera bibliografica1 circa dieci anni or sono. Eppure, io stesso sono persuaso che l'aver, allora, modestamente ragionato sul tema dell'informazione giuridica, mi abbia oggi sollecitato, pur nella estrema diversità di situazioni che il passaggio del tempo impone nell'ambito informatico, a rimeditare il ruolo e l'efficacia dell'informazione nell'ambito del diritto.

Sono convinto, infatti, che l'avanzare e il diffondersi della tecnologia e, in particolare, dei mezzi informatici con il relativo e conseguente accresciuto bisogno d'informazione e, soprattutto, di rapidità dell'informazione da parte degli operatori del diritto, ci pone dinanzi problemi ed interrogativi in misura maggiore di quanti i rinnovati sistemi tecnologici ne abbia risolti.

Se, infatti, si ha chiara la premessa costituita, da un lato, da una sempre maggiore richiesta d'informazioni e, dall'altro, da una necessariamente correlata e altrettanto maggiore velocità di risposta a questa richiesta, viene spontaneo chiedersi la ragione di queste domande e di questi impliciti bisogni.

I probabili argomenti in replica appaiono, a prima vista, scontati (a una maggiore e più complessa nominazione, a una più elevata produzione giurisprudenziale e ad un frenetico incremento di problemi giuridici nuovi, occorrono, conscguentemente, maggiori informazioni e tempi più rapidi di risposta, ecc.), quasi ovvi e tali da non richiedere affannose indagini né da suscitare laceranti dubbi; in essi, però, chiunque avverte, con piena cagni-Page 192zione di cause o anche senza averne piena coscienza e conoscenza, una mancanza d'appagamento della domanda ed una sicura incompletezza di risposta. O meglio, si potrebbe dire che le risposte note - e più volte ripetute dalla dottrina e dalla letteratura che si sono occupate dell'argomento - illustrano le cause del fenomeno, lo giustificano, ma non lo spiegano ne riconducono ad unità i suoi diversi aspetti né, tantomeno, offrono idee guida che possano consentire di governare il fenomeno stesso.

Orbene, se i termini fondamentali del problema sono, da un lato, l'informazione (considerata nel suo contenuto e per la sua capacità di circolazione e diffusione) e, dall'altro, l'essere del diritto (che, poi, è insieme anche il suo farsi e il suo divenire), occorre indagare sul rapporto o sui rapporti esistenti tra questi due termini; identificarli, qualificarli e ordinarli a seconda della loro reciproca funzionalità o stramentalità.

In sostanza, mi pare necessario individuare il nesso o il punto d'incontro che rende questi termini talmente indissolubili fino a rendermi convinto che l'uno non possa esistere senza l'altro e viceversa.

Son queste le ragioni di questi «Appunti» direi soggettive, ma anche oggettive, neia misura in cui le opinioni rispecchiano la realtà. Esse, probabilmente, non interessano il lettore più di quanto lo possa interessare una qualsiasi altra motivazione personale; ma m'è parso opportuno, in apertura di discorso, dichiararne le sue cause originarie e propulsive affinchè da esse, dal suo perché, sia più agevole pervenire al come e al quanto («ratio verbi significatum est») seguendo i percorsi non sempre piani e agevoli della ricerca.

Mi pare, altresì, utile, a conclusione di questa premessa, chiarire in modo «diretto» al lettore che in questi «Appunti», proprio perché tali, egli non troverà la completezza d'esposizione necessaria e propria d'un argomentare giuridico. Molte nozioni e diversi concetti che definirei istituzionali, che son poi quelli fondamentali e, quindi, maggiormente dibattuti in dottrina, ho dovuto darli per conosciuti, presupposti ed accettati anche quando non è affatto sicuro che la dottrina dominante s'è acquietata su di essi, inoltre, sono convinto che molte affermazioni di diritto positivo avrebbero avuto bisogno di maggiore spazio, maggiori approfondimenti e più abbondante messe di dotte citazioni; e ciò, non perché io creda che la citazione erudita renda altrettanto erudito il referente, ma perché ritengo che sia sempre doveroso documentare e render ragione della fonte di un assunto o di un convincimento.

Così, anche, ho cercato, laddove ho potuto, di fornire una chiara documentazione delle idee e degl scritti altrui che mi hanno consentito di guidare i miei pensieri attraverso la teoria delle decisioni, la teoria dell'informazionePage 193 e la teoria della comunicazione. Ma, a tal proposito, devo riconoscere che, per quanto mi sia sforzato di tenere distinti i concetti e le fonti cui fanno capo queste diverse discipline, la necessità di pervenire in poche righe ad una sintesi organica tra di esse, mi ha impedito di procedere su vie parallele e separate che, mentre avrebbero consentito una più compiuta analisi dei temi e delle fonti, avrebbero, purtroppo, diluito e distolto l'interesse del lettore e mio dal più diretto oggetto di questi «Appunti».

V'è, poi, da considerare che, se pure fosse del tutto vero che le tre teorie cui ho accennato costituiscono tre ambiti disciplinari ben distinti e separati, e non piuttosto tre diverse prospettive dell'unico problema gnoseologico ed epistemologico riferito all'informazione (inteso sia come dato sia come veicolo) è tuttavia scontato, almeno per i fini che mi sono proposto, che esse appaiano del tutto interdipendenti. Ne consegue, o almeno nel mio caso ne è conseguito, un approccio fatto di continui rimandi impliciti e non evidenti - sicché il parlar dell'una cosa era insieme il riferirsi ad un'altra in un tutto unico teso a privilegiare la sintesi della mia opinione piuttosto che l'analisi dell'altrui. D'altronde, a me stesso è parso inopportuno, considerata la personale formazione giuridico-positiva, inoltrarmi in tali discipline al di la del mero approccio conoscitivo generale.

Di questa e delle altre manchevolezze sono il primo a dolermi; confido, però, nella bontà e nella sagacia del lettore che, certamente, saprà integrare ciò ch'io ho dovuto lasciare incompiuto.

@Parte prima. La decisione come attività pregiuridica

@@1. La decisione in generale

Il tema che mi accingo, non dico a trattare, ma ad accennare, non rientra tra le competenze specifiche del giurista e, pertanto,' da questo punto di vista la mia incursione, che può anche definirsi intromissione, nel campo della psicologia della decisione of come viene più comunemente indicata del problem solving, deve essere assunta solo come mera indicazione di una serie di argomentazioni o questioni che, in campo giuridico, sono ancora lontani dall'essere definitivamente chiariti e, tantomeno, risolti. Ciò va detto sia per quanto riguarda i termini di corrispondenza del problem solving alle esigenze proprie del giurista sia per quanto più direttamente attiene l'impiego dei concetti propri di questa disciplina all'interno del diritto.

Occorre, tuttavia, precisare che questa branca della psicologia annovera,Page 194 da oltre cinquant'anni, studi, specialmente di carattere sperimentale, dai quali il lettore interessato potrà essere edotto molto meglio di quanto io stesso potrei qui fare2.

Appare a tutti evidente che l'agire umano comporta perennemente, in ogni sua manifestazione, l'esistenza e il dipanarsi di attività, mentali e materiali, ordinate in procedimenti finalizzati ad una decisione. Cosa esattamente sia una decisione e come essa debba essere definita è un problema che non posso affrontare ex professo all'interno dei limiti propri di questi «Appunti», Qui posso solo indicare i diversi percorsi tracciati dalla dottrina alla ricerca di una definizione esatta ed esaustiva del concetto di «decisione».

Essi spaziano dall'approccio interpretativo semantico del termine «decisione», tradotto ed esplicato come l'atto «di separare da uno stato, da una situazione che ci provocava disagio o difficoltà e che riusciamo a superare e/o modificare proprio in funzione della decisione posta in essere» (derivando questo senso dal latino « de caedere» e riferito, in modo più o meno ampio e convincente, ai gruppi semantici greci «Siakpivo» o «Siakpéo»3), alla concezione della «decisione» come «atto di dominio della realtà in nostro possesso»4, alla definizione di essa come «atto risolutivo di mno stato di ambiguità» posto come presupposto della decisione stessa5, fino alla considerazione dell'opportunità di assumere globalmente tutte le definizioni proposte perché ognuna di esse è espressione di particolari aspetti che, solo se integrati, possono portare ad una giusta e completa percezione definitoria del concetto di «decisione»6.

Comunque, al di la della pur necessaria definizione del concetto, che qui dò per acquisita e superata, non si può fare a meno di partire dall'osservazione, indubitabilmente elementare quanto banale, dell'esistenza delle decisioni e, quindi, di procedimenti decisionali che supportano tali decisioni, nonché dalla constatazione per la quale l'esistenza delle une e degli altri è sempre e comunque riscontrabile sìa nel campo delle più piccole, semplici e abitudinarie attività quotidiane - per le quali, a prima vista, potrebbe anche dubitarsi della loro reale natura decisionale - sia nel campo di quellePage 195 attività più complesse per ie quali la natura decisionale del procedimento è evidente (basti pensare, per quanto più direttamente interessa un giurista, ad un processo).

Si può, certamente, porre il problema di quanto esteso e più o meno ampio sia l'ambito, lo spazio sia materiale che psichico sul quale le decisioni agiscono o influiscono ed avremo, allora, chi, come me, ritiene di dovere restringere l'efficacia dei procedimenti decisionali al solo agire umano, mentre altri7, e non senza ragione, ritengono che il «campo da gioco» in cui agiscono le umane decisioni sia molto più esteso, fino al punto da non avere limiti.

Ed è questa, forse, un'esatta prospettiva di normazione o d'influenza...

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