Preterintenzione e caso fortuito: un'ipotesi sulla quale riflettere

AutoreFederico Bellini
Pagine506-512
506
dott
5/2013 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
PRETERINTENZIONE E CASO
FORTUITO: UN’IPOTESI
SULLA QUALE RIFLETTERE
di Federico Bellini
Una premessa atta a delimitare il campo ce la conse-
gna Pagliaro (1): il caso fortuito si identif‌ica, in sostanza,
nell’imprevedibile. Aggiungo, nell’imprevedibilità, ossia
nell’imprevisto imprevedibile perché inconoscibile e inim-
maginabile.
Ritengo peraltro che il ricondurre l’intera vicenda
del fortuito all’imprevedibile sia un modo riduttivo di af-
frontare i problemi che questa f‌igura sembra destinata a
procurare a chi ne tenta una ricostruzione.
Nonostante il contrario avviso di una notevole parte
della dottrina e della più che maggioritaria giurispruden-
za, l’inesistenza del nesso di causalità materiale sembra
a chi scrive la soluzione preferibile. Sul punto la limpida
esegesi sviluppata dal Dolce (2) con l’appoggio di ricevuta
dottrina (3), parrebbe in grado di sgombrare il campo
dalle obiezioni – in taluni casi contrastanti con la logica
tout court – che vorrebbero riconoscere la presenza del
rapporto di causalità nella vicenda sintattica del fortuito.
Il tentativo di difesa della teoria che pretende di rin-
tracciare nell’ambito del caso fortuito un nesso eziologico
viene fondata da Antolisei (4) sul mero dato testuale,
rectesulla presenza del verbo “commettere”, declinato
all’indicativo presente, nel corpo dell’art. 45 cod. pen.. Ma
sembra questo uno di quei casi nei quali – pur con il ri-
spetto dovuto, e da chi scrive normalmente tributato – al
prof‌ilo lessicale, l’ancoraggio al mero dato nominalistico
non può reggere quale elemento dialettico.
Neppure accoglibile la pretesa dell’Autore di espungere
dall’universo della causalità fortuita i fatti naturali, peral-
tro normalmente riconducibili nell’orbita della giuridicità
positiva (si ponga mente ai contratti di assicurazione
contro i danni da eventi naturali). Ed è precisamente
sull’equiparazione delle conseguenze del fortuito a quelle
del fatto naturale che si incentra la tesi portata avanti in
questo contributo.
Sembra ovvio che il disposto normativo avrebbe potuto
essere più correttamente espresso in termini oggettivati:
ad esempio “l’evento derivante da caso fortuito esclude la
punibilità”. Ovviamente ciò non può stare, atteso che l’in-
tero impianto codicistico ruota attorno all’asse della per-
sonalità del reo: ne consegue che il conditor iurisnon po-
trebbe esprimersi che come si è espresso pur se – almeno
in questo caso – impropriamente sul piano strettamente
logico – giuridico.
In conclusione non è la punibilità che viene meno in
presenza di una situazione giuridica attinente al caso
fortuito, ma è l’imputabilità oggettiva, ossia la riferibilità
dell’evento ad un agente umano.
Interessante la conclusione cui giunge Romano (5) al
termine di un’attenta disamina delle teorie che negano e di
quelle che ammettono nel fortuito il rapporto di causalità
materiale. Secondo l’Autore “in questa concezione ogget-
tiva, il caso fortuito trascende il rapporto causale quale
nesso condizionale tra condotta ed evento e trova un suo
spazio specif‌ico proprio là dove la f‌igura legale non preveda
alcun legame eziologico. Pur in presenza di una condotta di
per sé riferibile all’agente, dunque (“sua”ai sensi dell’art.
42, c. 1°), il fortuito si traduce nell’assenza della tipicità
del fatto: la “combinazione” con la condotta di un fattore
del tutto imponderabile determina una situazione analoga
a quella che nei reati di evento si risolve nel difetto di im-
putazione oggettiva (v. art. 40/2), impedendo che il fatto
(naturalisticamente) commesso assuma, nella valutazione
giuridico – penale, la conformità al tipo legale.”
Va in proposito notato come il venir meno della tipi-
cità del fatto apparenti il fortuito “umano” al fortuito da
cause naturali, ipotesi questa emblematica dell’assenza di
tipicità.
Consente Fiore (6) nella visione oggettiva dell’ambito
dogmatico nel quale si muove il caso fortuito, nel senso
che “la condotta del soggetto, pur essendo causalmente
connessa all’evento lesivo, risulta irrilevante per l’impu-
tazione oggettiva”. Si tratta, in def‌initiva, di un altro modo
per esprimere il medesimo concetto di cui al richiamato
passo di Romano. In questi termini sembra crearsi un
percorso a circuito chiuso: l’irrilevanza dell’esistenza
del nesso causale produce l’assenza di tipicità dell’atto;
di converso, è la dichiarata assenza di tipicità che rende
irrilevante l’esistenza del rapporto di causalità materiale
– ammesso che effettivamente esista.
Ad avviso di Contento (7) il senso dell’art. 45 c.p. consi-
ste nel dato per cui “in ogni caso deve escludersi qualun-
que tipo di responsabilità, anche quella meramente ogget-
tiva”. Questa conclusione l’Autore la deduce dall’elemento
testuale della formula disciplinare “non è punibile”. Non è
quindi dato comprendere se l’evento sia o meno riconduci-
bile all’agente anche nei termini del rapporto di causalità
materiale.
Vorrei prendere quale elemento di base un passo di Pa-
gliaro (8) per immaginare un’ipotesi che potrebbe tendere
ad asseverare l’idea che costituisce il leitmotiv di questo
contributo o, più correttamente, che ne rappresenta il
“basso continuo”. Scrive dunque il citato Autore “E, poi-
ché l’art. 45 si riferisce alla ipotesi che il soggetto abbia
“commesso il fatto”, l’atteggiamento corporeo dell’agente
deve costituire condizione dell’evento. Si deve trattare,
dunque, dei casi in cui, sebbene l’evento sia condizionato
dall’atteggiamento corporeo dell’agente, il soggetto non ri-
sponde all’evento perché questo era imprevedibile.”
Da questo paragrafo, e particolarmente dalle parole
poste fra virgolette, sembra emergere una visione del

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