Responsabilità presunta e risarcimento danno morale

AutoreEdgardo Colombini
CaricaIspettore assicurativo
Pagine197-202

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La sentenza n. 233 dell'11 luglio 2003 della Corte costituzionale (vedi in questa Rivista 2004, 131) ha posto termine, allo stato, ad una controversia di lunghissima durata sulla possibilità o meno del riconoscimento del danno morale nel caso in cui la responsabilità sia affermata in base ad una presunzione di legge e non attraverso il concreto accertamento della colpa dell'autore del danno. Conclusione che, pur rimediando alle incertezze derivanti da tutta una serie di orientamenti innovativi dottrinali e giurisprudenziali succedutisi nel lungo cammino del nostro codice civile ormai abbisognoso di rimeditazioni e rielaborazioni anche in questo campo nonché dalla introduzione del nuovo art. 75 del codice di procedura penale, avremmo preferito vedere raggiunta per il differente e più drastico percorso della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 2059 c.c. nella parte in cui non consente la liquidazione del danno non patrimoniale nei casi in cui la responsabilità del danneggiante venga affermata in base ad una presunzione di legge: dichiarazione di incostituzionalità che avrebbe costretto il legislatore a porvi rimedio con una tempestiva modifica della normativa vigente alla quale si è finito, invece, con il dare una lettura conforme alla costituzione.

Nell'apprezzare, quindi, l'acquisizione di un risultato pratico necessario attraverso una decisione che ha ineccepibilmente vagliato e accuratamente valorizzato un orientamento che si era andato materializzando nella giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, pensiamo sia comunque utile riandare alle due tesi contrapposte perché possa evidenziarsi l'opportunità di chiarire la questione in meglio anche legislativamente quando si ponga mano alla revisione del codice sull'argomento, utilizzando così nel modo migliore proprio lo spirito della sentenza della Consulta onde pervenire al medesimo pur apprezzato risultato pratico per un diverso cammino.

Senza andare troppo indietro nel tempo ci basterà ricordare che, secondo la III sez. della Corte Suprema (sentenza n. 6632 del 18 luglio 1997 in questa Rivista 1998, 622) ´è inammissibile il risarcimento del danno non patrimoniale allorquando la responsabilità dell'autore materiale del fatto illecito dipendente dalla circolazione dei veicoli sia affermata non in base ad un accertamento concreto dell'elemento psicologico, ma in base alla presunzione stabilita dall'art. 2054 c.c. ª.

Decisione che ricalcava quella contenuta nella sentenza n. 5781 del 27 giugno 1997 (in Arch. civ. 1998, pag. 505) ove si leggeva che ´in tema di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli, qualora il riconoscimento della responsabilità sia stato effettuato in base alla presunzione di cui all'art. 2054 comma secondo c.c., senza alcun concreto accertamento e qualificazione del fatto come reato, difetta il necessario presupposto per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ª.

A queste pronunce avrebbe fatto seguito ancora, tra le altre, quella del 21 aprile 1998 n. 4030 (in questa Rivista 1998, 775) secondo cui ´la risarcibilità del danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c., postulando la qualificazione del fatto illecito come reato, va esclusa a carico del conducente la cui responsabilità venga affermata non in base alla dimostrazione di una sua condotta colposa, ma alla stregua della presunzione di cui all'art. 2054 c.c.; conseguentemente, nel caso di più soggetti che abbiano causato l'evento dannoso, ove la responsabilità sia affermata sulla base di quella presunzione ex lege, non è consentita la condanna anche al risarcimento dei danni non patrimoniali ª.

Scriveva ancora la III sez. della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12741 del 17 novembre 1999 (in questa Rivista 2000, 403) che ´è giurisprudenza costante di questa Corte (v., di recente, Cass. 18 luglio 1997 n. 6632; 27 giugno 1997 n. 5781) che non può essere risarcito il danno non patrimoniale quando la responsabilità per il fatto illecito dipendente dalla circolazione dei veicoli sia affermata non in base ad un accertamento concreto dell'elemento psicologico, ma in base alla presunzione stabilita dall'art. 2054 c.c., poiché in tal caso non vi è un accertamento del fatto come reato ª.

E ancora nel 2002 la medesima sezione della Corte di Cassazione (sentenza n. 3728 del 14 marzo 2002 in questa Rivista 2003, 154) scriveva che ´presupposto necessario per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno morale, ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., è l'accertamento del fatto come reato, il cui elemento soggettivo è lo stato psicologico dell'autore di esso, da accertare in concreto e non in base ad una presunzione legale di responsabilità ª.

Di contro a questo orientamento - anche qui senza allontanarci troppo nel tempo - ricorderemo come già le sezioni unite della Corte Suprema, comunque poi disattese come si è visto, il 6 dicembre 1982 in sentenza n. 6651 (in questa Rivista 1983, 758) avessero stabilito che ´la risarcibilità del danno non patrimoniale, a norma dell'art. 2059 c.c. in relazione all'art. 185 c.p., non richieda che il fatto illecito integri in concreto un reato, ed un reato punibile, per concorso di tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato, e sia conseguentemente idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale. Il suddetto danno non patrimoniale, pertanto, Page 198 va riconosciuto anche con riguardo al fatto, configurabile astrattamente come reato (nella specie, omicidio colposo), che sia stato commesso da un soggetto non imputabile secondo la legge penale perché minore degli anni quattordici ª.

Nell'illustrare la situazione giurisprudenziale e dottrinale esistente la Corte ricordava che ´una prima corrente (più consistente ed alla quale ha aderito la sentenza impugnata), seguita da un indirizzo dottrinale, ha ritenuto (sent. n. 1006 del 1959; n. 2303 del 1965; n. 2259 del 1974) l'irrisarcibilità dei danni non patrimoniali nel caso di fatto illecito commesso da un soggetto non imputabile perché minore degli anni quattordici, sulla considerazione fondamentale che, "se il risarcimento del danno non patrimoniale è stato ancorato dal legislatore alla responsabilità penale (art. 2059 c.c., art. 185 c.p.), quando quest'ultima manchi, per difetto nell'autore del fatto-reato, dell'imputabilità, non può esservi risarcimento, tanto più che, secondo la detta corrente giurisprudenziale, non si può distaccare l'imputabilità dallo schema costitutivo del reato, considerandola come un semplice presupposto o un a sè giuridico autonomo e distinto, in quanto soltanto le persone capaci di intendere e volere possono essere ritenute responsabili di una condotta antigiuridica, in quanto soltanto esse possono rendersi conto del valore giuridico o quanto meno sociale degli atti compiuti": la stessa sentenza ha aggiunto che non possono richiamarsi né l'art. 2047 c.c. secondo comma (equo indennizzo a carico del danneggiante, quando il danno sia stato cagionato da persona incapace), in quanto non si richiede l'imputabilità dell'agente, non si parla di "colpevole" ma di "autore del danno", non si prevede la condanna ad un risarcimento vero e proprio, né l'art. 2046 c.c., che riguarda le norme del codice civile in tema di capacità di intendere e di volere, che non possono applicarsi al concetto d'imputabilità penale, in considerazione della profonda diversità fra i criteri vigenti nei rispettivi campi di operatività. Una seconda corrente più recente (sent. n. 1723 del 1977) ha ammesso per contro la...

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