La prescrizione del reato fra legalità penale e diritto giurisprudenziale europeo

AutoreMazza Oliviero
Pagine8-12
8
dott
1/2016 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
LA PRESCRIZIONE DEL REATO
FRA LEGALITÀ PENALE E
DIRITTO GIURISPRUDENZIALE
EUROPEO
di Oliviero Mazza
SOMMARIO
1. Miti e realtà della sentenza Taricco. 2. I presupposti poli-
tici. 3. Limiti temporali e controlimiti alla disapplicazione.
4. Scenari.
1. Miti e realtà della sentenza Taricco
Il tema della prescrizione del reato è tornato al centro
del dibattito politico e giuridico non tanto per la propo-
sta di riforma da tempo in discussione alla Camera (1),
quanto per la recente sentenza pronunciata dalla Corte
di giustizia dell’Unione europea nel caso Taricco e altri.
Già questo dato dovrebbe indurre a rif‌lettere sulla doppia
velocità delle “riforme”: immediate ed eff‌icaci, quelle con-
dotte dalla giurisprudenza, lente e spesso inconcludenti,
quelle legislative.
Sulla portata precettiva della sentenza Taricco è lecito
avanzare seri dubbi, sebbene l’impressione che si ricava
dai primi commenti e, soprattutto, dalle prime applicazio-
ni giurisprudenziali è quella che la Corte del Lussemburgo
abbia raggiunto l’obiettivo politico che il legislatore f‌inora
non è riuscito a cogliere: mettere mano alla riforma della
prescrizione del reato e, di fatto, sterilizzarla.
Compito dell’interprete non è però quello di arrendersi
alla vulgata, ma di analizzare con rigore una pronuncia la
cui rilevanza è certamente pari alla sua ambiguità. Non
è dunque scontata o necessitata la conclusione per cui il
dictum europeo determinerebbe la generalizzata disappli-
cazione del combinato disposto degli art. 160 e 161 c.p.
alle frodi in materia di IVA.
Per svolgere una seria critica occorre, anzitutto, perime-
trare con esattezza la portata del “dispositivo” della senten-
za che fa riferimento a un contrasto, peraltro solo poten-
ziale, fra la disciplina interna, non tanto della prescrizione
del reato tout court, quanto del limite massimo imposto agli
aumenti del termine prescrizionale per effetto degli atti
interruttivi, e gli obblighi imposti dall’art. 325 § 1 e 2 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Quest’ultima disposizione richiede agli Stati membri
di contrastare, con misure dissuasive ed effettive, le atti-
vità illecite lesive degli interessi f‌inanziari dell’Unione e,
in particolare, di prendere le stesse misure che adottano
per combattere la frode in danno dei loro interessi f‌inan-
ziari nazionali. La Corte del Lussemburgo non manca di
rilevare il diretto collegamento fra le frodi IVA e il bilan-
cio dell’Unione che è f‌inanziato, tra l’altro, dalle entrate
provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli
imponibili IVA armonizzati, ragion per cui sussisterebbe
un nesso di collegamento (in)diretto tra la riscossione di
tali entrate e gli interessi f‌inanziari dell’Unione, sebbene
questa conclusione non sia pacif‌icamente accolta soprat-
tutto dalla dottrina.
Anche prescindendo dalla controversa rilevanza euro-
pea dell’IVA, il presupposto invocato a sostegno della pre-
tesa punitiva di matrice europea appare malfermo: l’art.
325 § 1 e 2 TFUE non riguarda affatto la materia penale,
non menziona la pena come strumento eff‌icace di contrasto
all’attività fraudolenta, non impone agli Stati membri alcun
obbligo di punire. Risulta perciò evidente la distorsione er-
meneutica compiuta dalla pronuncia in esame che riven-
dica il potere di fondare l’obbligo di punire le frodi IVA su
una norma sovranazionale che non attiene al diritto penale
e che nemmeno potrebbe riguardare tale pretesa punitiva,
dato che la sovranità statuale in materia penale non è mai
stata consegnata all’ordinamento eurounitario (2). Baste-
rebbe tale considerazione per ritenere in radice contraria
alla Costituzione la conseguenza che la Corte di giustizia
vorrebbe far discendere dalla lettura dell’art. 325 § 1 e 2
TFUE, a prescindere dalla tematica dei “controlimiti”.
Proseguendo nella lettura della sentenza Taricco, si
scopre, tuttavia, che il principio enunciato è ben lungi
dall’imporre l’obbligo di disapplicare la disciplina della
prescrizione ostativa alla punizione del reato tributario in
materia di frodi IVA (3). A ben vedere, la Corte di giustizia
richiede espressamente al giudice italiano di verif‌icare se
il diritto interno, e in particolare il tetto al termine pre-
scrizionale in presenza di atti interruttivi, consenta di san-
zionare in modo effettivo e dissuasivo i casi di frode grave
che ledono gli interessi f‌inanziari dell’Unione. La discipli-
na dei termini “massimi” di prescrizione del reato sarebbe
quindi contraria all’articolo 325 TFUE qualora il giudice
nazionale dovesse concludere che un numero considere-
vole di casi di frode grave non possa essere punito a causa
del fatto che le norme sulla prescrizione generalmente
impediscono l’adozione di decisioni giudiziarie def‌initive.
Il diritto interno sarebbe altresì contrario all’articolo 325
TFUE se stabilisse termini di prescrizione più lunghi per
i casi di frode che ledono gli interessi f‌inanziari dell’Ita-
lia rispetto ai termini di prescrizione delle frodi IVA che
compromettono anche gli interessi f‌inanziari dell’Unione.
La disapplicazione delle disposizioni che concretamen-
te impedissero di dare piena attuazione agli obblighi im-
posti dall’art. 325 TFUE rappresenterebbe, dunque, l’ex-
trema ratio alla quale il giudice interno potrebbe accedere
solo dopo aver risolto tutte le questioni interpretative che
la Corte di giustizia lascia volutamente aperte e insolute.
Siamo perciò di fronte a una sentenza interlocutoria
che rimanda all’interprete italiano il compito di stabilire
se sussista o meno il contrasto fra la disciplina nazionale
della prescrizione e l’art. 325 TFUE ossia il presupposto
per la disapplicazione del diritto interno.

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