Poteri dei sindaci ed efficienza della vigilanza nelle società quotate
Autore | Daniela Caterino |
Pagine | 224-264 |
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CAPITOLO QUARTO
POTERI DEI SINDACI
ED EFFICIENZA DELLA VIGILANZA
NELLE SOCIETÀ QUOTATE
SOMMARIO. 1. Titolarità dei poteri e presunta svalutazione dell’attività collegiale
dei sindaci nel T.U.F.: un tentativo d i critica. - 2. Poteri non collegiali dei
sindaci ed interessi tutelati. - 3. Sistema informativo societario, corretta or-
ganizzazione e finalità dell’ufficio sindacale. - 4. Responsabilità del colle-
gio sindacale ed efficienza della funzione di vigilanza nella prospettiva del
mercato. - 5. Autonomia statutaria, poteri dei sindaci e contaminazione dei
modelli di governance.
1. Titolarità dei poteri e presunta svalutazione dell’attività colle-
giale dei sindaci nel T.U.F.: un tentativo di critica
Nel rinnovato assetto dei poteri dei sindaci disegnato dal Testo
Unico, quale si è venuto delineando nell’analisi fin qui condotta,
emerge come alle numerose novità sul piano oggettivo – riferite
cioè alla creazione di nuovi poteri, ovvero all’estensione e all’ac-
crescimento di efficacia di quelli già esistenti – si accompagnino
innovazioni anche sul piano soggettivo, vale a dire sotto il profilo
dell’attribuzione dei poteri stessi; e ciò non solo in quanto viene ri-
badita o introdotta ex novo la titolarità (anche) individuale di de-
terminati poteri (di ispezione e controllo, di richiesta di informa-
zioni, di utilizzo di collaboratori propri, di convocazione degli or-
gani gestori), ma anche e soprattutto in virtù dell’inedita previsione
di poteri per così dire “duali”, esercitabili cioè (anche) da due soli
membri dell’organo.
È inevitabile, di fronte a tale scelta legislativa, affrontare il
problema del rapporto tra attribuzione non collegiale dei poteri ed
imputazione dell’attività valutativa. La questione si pone s olo mar-
ginalmente con riferimento ai poteri istruttori individuali, che tra
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l’altro essendosi già da tempo sedimentati nel corpus normativo –
in quanto contemplati già nel dettato originario delle norme codici-
stiche – sono stati frequentemente oggetto di riflessione sotto que-
sto profilo. La conclusione, ampiamente condivisa, raggiunta sul
punto vuole che il carattere di antecedente logico – ancor prima che
cronologico – assunto dalla raccolta di informazioni rispetto alla loro
valutazione determini l’ordinarietà di un meccanismo di circolazione
interna all’organo degli esiti dell’attività istruttoria; ma ciò nel pre-
supposto, finora indiscusso, della necessaria collegialità delle de-
terminazioni da assumersi sulla base di tali risultanze istruttorie.
L’introduzione di poteri (se non comminatori, quanto meno re-
attivi) individuali e duali mette chiaramente in crisi la linearità di
tale ricostruzione; se è parimenti vero che il loro esercizio deve
conseguire necessariamente ad una precedente attività istruttoria e
valutativa, non è chiaro se tali attività debbano assumere portata
collegiale o meno.
Prendendo spunto dall’accresciuta rilevanza della dimensione
extra-collegiale delle funzioni dei sindaci, un’Autrice ha ritenuto di
poter affermare in proposito che “si può dire che venga meno la di-
stinzione, evidenziata dalla dottrina con riferimento alla disciplina
previgente [leggasi: codicistica], tra fase preliminare di raccolta di
informazioni e di indagine, che poteva essere svolta anche indivi-
dualmente dai sindaci, da una parte, e fase di valutazione e di con-
trollo, necessariamente collegiale, dall’altra. Non sembra più soste-
nibile (o non sembra più sostenibile nella sua assolutezza), quindi,
ciò che comunemente si affermava, vale a dire che, di fronte al di-
saccordo tra singoli sindaci e collegio, debba prevalere necessaria-
mente quest’ultimo”1.
La ricostruzione tradizionale dell’assetto funzionale dell’or-
gano di vigilanza muove dall’osservazione che “la disciplina del-
l’organo di controllo è basata sul presupposto di una costante colla-
borazione dei sindaci, che si svolge evidentemente all’infuori delle
riunioni del collegio di cui essi fanno parte”, e che l’opera di con-
trollo sarà “la risultante della personale attività dei singoli compo-
nenti del collegio fra i quali si stabilirà molto spesso di fatto, in re-
lazione anche alla particolare competenza di ciascuno, una specie
1 P. MAGNANI, sub art. 15 1, cit., 1751.
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di divisione del lavoro che gioverà notevolmente al risultato del-
l’opera comune”2; i poteri individuali ex art. 2403 c.c. andrebbero
configurati proprio come “mezzo necessario perché possa pratica-
mente ed efficacemente attuarsi quella vigilanza”, mentre il mo-
mento collegiale va visto come fase in cui si realizza “l’esame del
risultato delle indagini eseguite e la deliberazione sulla condotta
che, in base ad esso, l’organo di controllo riterrà di adottare”3.
È noto altresì come l’attribuzione ai singoli sindaci di poteri
individuali di controllo non sia ritenuta dalla gran parte della
dottrina indizio sufficiente a legittimare la possibilità di “deleghe di
poteri” (con la relativa modificazione del regime di responsabilità
che ne deriverebbe)4.
Scialoja e Branca, cit., a 559. Nello stesso senso anche G. CAVALLI, I sindaci,
cit., 75: “Le ri unioni del collegio possono involgere, innanzi tutto, un’attività re-
ferente dei singoli membri circa i controlli eseguiti da cia scuno, nonché la pro-
mozione e l’organizzazione del lavoro futuro”.
3 Ad una dottrina tradizionale che valorizza i poteri individuali del sindaco
solo in funzione strumentale ad una migliore efficienza dell’opera del collegio
nel suo complesso (G. FRÈ, Società per azioni, cit. , 544; G. CAVALLI, I sindaci,
cit., 103; A. GRAZIANI, Diritto delle società , Napoli, 1962, 394) si è contrapposta
una più recente opinione, rivolta al contrario ad affermare il rilievo preponderan-
te dell’attività individuale del sindaco rispetto a quella del collegio, nel presup-
posto che quest’ultima sarebbe sporadica e ben più disconti nua (S.M. CESQUI, I
poteri individuali del sindaco, cit. ). Per le ragioni spiegate nel testo, ritengo pr e-
feribile la prima ricostruzione.
4 In questo senso, ex multis, G. CAVALLI, I sindaci, cit., 89 ss.; G. FRÈ, So-
cietà p er azioni, cit., 560. Un illustre Autore ( G. GRIPPO, Deliberazione e colle-
gialità nella società per a zioni, Milano, 1979) ha parlato di “funzione p onderato-
ria del metod o assembleare, irriproducibile nell’amministrazione”, in quanto “se
è vero che il funzionamento collegiale del consiglio d i amministrazione non è in
discussione, va tuttavia ritenuto che manca, in sede amministrativa, quella neces-
saria relazione fra collegialità e funzione che è dato constatare in ordine
all’attività dell’assemblea: l’esercizio del potere gestorio gode, rispetto allo svol-
gimento delle competenze assembleari, della possibilità di divincolarsi, con la
creazione dell’organo unipersonale e con il conferimento di funzioni delegate,
dalle rigorose procedure che il metodo collegiale impone. [...] Proprio l’assenza
di un rapporto necessario fra collegialità e funzione è sintomo sicuro della circo-
stanza che il legislatore non ha inteso affidare alla proced ura collegiale del con-
siglio il compito di tutelare l’interesse ad una gestione oculata dell’impresa”. Lo
spunto può utilizzarsi per sostenere che laddove – come probabilmente accade
anche per i sindaci, oltre che per l’assemblea – sia tale interesse a giustificare
l’operato co llegiale dell’organo, la circostanza renda inaccettabile la possibilità
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