Locali per la portineria e locali per l’alloggio del portiere. L’altra faccia della stessa medaglia?

AutoreSaverio Luppino
Pagine408-410

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Una recente sentenza del Tribunale di Bologna, in esito ad una causa di opposizione a convalida di licenza per finita locazione, che vedeva coinvolti da una parte un Ente pubblico e dall’altra un condominio, con pratici ed utili risvolti anche di natura squisitamente procedurale, che però non troveranno spazio nella presente nota, ha affrontato l’argomento della qualificazione giuridica del contratto di locazione afferente i locali per l’alloggio del portiere”, rimarcando la differenza, non solo terminologica, ma giuridica tra “locali per la portineria” e “locali per l’alloggio del portiere”, nonché la soggezione di questi ultimi alla fattispecie di locazione ad uso abitativo, regolata dalla disciplina degli immobili urbani ad uso abitativo.

La sentenza, opinabile quanto alla soggezione del contratto alla disciplina delle locazioni di immobili urbani ad uso abitativo per le ragioni di cui alla presente nota, appare di sicuro interesse in quanto traccia una netta distinzione tra i richiamati distinti concetti giuridici: “locali per la portineria e locali per l’alloggio del portiere” di cui all’articolo 1117 c.c., spesso confusi nella comune accezione del linguaggio.

Secondo la valutazione del Tribunale di Bologna i locali ad uso portineria: “individuano gli spazi destinati all’esercizio dell’attività di portierato (c.d. guardiola); mentre solo i locali per l’alloggio del portiere: “sono destinati alle eventuali necessità abitativa della persona addetta a tali attività”.

Da tale pratica distinzione possono derivare differenti effetti giuridici, come nel caso prospettato alla curia bolognese, a seconda dell’effettiva destinazione dei locali a “guardiola” oppure ad “alloggio” del portiere.

Nel caso in esame, la sentenza, specificando che l’espressione “locali in uso ai portinai”, genericamente adoperato all’interno del regolamento condominiale del fabbricato, potesse riferirsi agli spazi costituenti la c.d. guardiola e non anche all’abitazione del portiere propriamente detta, in quanto l’espressione deve essere oggettoPage 409 di stretta interpretazione letterale e non estensiva (stante l’effetto costitutivo di un diritto reale quale la comproprietà di natura condominiale), ha accertato da una parte che la proprietà dei ridetti locali competesse ab origine all’Ente locatore, rigettando ogni diversa prospettazione sollevata dal condominio sulla presunta titolarità condominiale del bene, e dall’altra ha applicato al contratto de quo la disciplina della locazione di immobili urbani ad uso abitativo, regolati per un verso dall’originaria fonte L. 392/78 ex art. 65 e poi dall’art. 6 L. 431/98.

Riguardo all’aspetto inerente la proprietà del bene, anche la giurisprudenza di legittimità pare concorde al riguardo, ritenendo come “la proprietà dei condomini sull’appartamento del portiere deve risultare dal titolo delle proprietà individuali”.1

Da tale assunto, il giudice ne ricava la giuridica conseguenza che nel caso di specie proprio il regolamento condominiale, nelle espressioni adoperate e di cui sopra, costituisce il “titolo necessario” per derogare al disposto dell’art. 1117 c.c. relativo alla presunzione di comunione dell’alloggio adibito ad abitazione del portiere.

La tesi pare di sicuro pregio e condivisibile nelle sue linee essenziali, in quanto è noto che preminente dottrina2 ed uniforme giurisprudenza3 considerano l’elencazione dei beni oggetto di titolarità...

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