Limiti di portata delle disposizioni penali: il concorso apparente di disposizioni coesistenti

AutoreMaria Grazia Maglio e Fernando Giannelli
Pagine929-948

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@1. Nozioni introduttive

Molto spesso, per questioni di logica, o di necessità di ricostruzione dei valori nel sistema penale, o, ancora, per espressa volontà del legislatore, si rende applicabile una disposizione penale fra due, o più, astrattamente confacenti ad un concreto contesto, ad un identico «quadro di vita» (PAGLIARO).

Viene in rilievo, quindi, la necessità, segnalata dalla dottrina più sensibile al fenomeno (ANTOLISEI, FROSALI, MORO, VASSALLI, PAGLIARO, MANTOVANI DE FRANCESCO G.A.), di fugare l'evenienza del «bis in idem sostanziale».

L'espressione è, all'evenienza, mutuata dal linguaggio dei giurisprocessualisti, con riguardo all'esigenza che una persona non venga giudicata più d'una volta per il medesimo fatto, ancorché diversamente qualificato per il titolo (omicidio doloso, anziché omicidio colposo), per il grado (abbandono ex art. 591, terzo comma, c.p., invece che ex art. 591, primo comma, c.p. - qui, secondo il PANNAIN, e noi, che ci onoriamo seguirlo, non si ha una circostanza aggravante, bensì il massimo contenuto lesivo della fattispecie -) o per le circostanze (truffa aggravata in luogo della truffa semplice) (art. 649 c.p.p., già art. 90 c.p.p. 1930), ma rende certamente bene il concetto.

La dottrina più attenta (PANNAIN, ROMANO B.), ancora, preferisce parlare, al riguardo, non di concorso apparente di norme coesistenti, ma di disposizioni coesistenti, ben potendo presentarsi, il problema, riguardo a disposizioni non incriminatrici (cause di giustificazione tra di esse, attenuanti e cause di giustificazione, cause di estinzione ed attenuanti, cause di estinzione tra di esse, etc. (SANTANIELLO, MARUOTTO, ROMANO B.).

Il codice Zanardelli non provvide alla categorizzazione di alcun principio che potesse ritenersi capace di risolvere i conflitti tra due o più disposizioni.

Bisogna, ancora, in premessa, dire che non riguardano la materia del concorso apparente figure come quella dell'art. 564, secondo comma, c.p. (relazione incestuosa), fungendo, esse, da strumenti di una particolare disciplina del concorso effettivo di disposizioni, come è a dirsi quanto all'art. 393, secondo comma, c.p., ove è contemplato il caso che vengano commessi sia il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose sia quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, adottandosi un particolare cumulo giuridico. In questo caso verrà comunque in rilievo l'art. 15 c.p., non potendosi applicare, ovviamente, anche la disciplina del concorso formale ex art. 81, primo comma, c.p. (REGINA, MESSINA); invece, nel caso dell'art. 564, secondo comma, c.p., si profila l'incompatibilità strutturale tra la continuazione di reati ed un reato comunque unico (DOLCE, PISAPIA) (per la natura circostanziale della relazione incestuosa: MANZINI, RANIERI, ANTOLISEI) (la relazione ministeriale è nel primo senso).

All'art. 414, secondo comma, c.p. (istigazione a commettere uno o più delitti ed una o più contravvenzioni) si tratta - anche qui - di uno speciale cumulo giuridico, come per l'art. 393, secondo comma, c.p.: a questo punto, ancora una volta, verrà in rilievo l'art. 15 c.p., perché non si applichi, anche, l'istituto di cui all'art. 81, primo comma, c.p. Ex art. 414, secondo comma, c.p. viene seguito il criterio dell'assorbimento, che informava la disciplina del concorso di reati nel codice Zanardelli (ANTOLISEI, PANNAIN).

Si è voluto, comunque, chiarire che le figure di cui agli artt. 393, secondo comma, e 414, secondo comma, c.p., al pari di quella contemplata dall'art. 564, secondo comma, c.p., non sono, di per sè, figure di leges speciales rispetto agli artt. 564, primo comma, 392, primo comma, 393, primo comma, 414, primo comma, c.p.

@2. La specialità

L'art. 15 c.p. detta: «(Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale). Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito».

L'art. 9 L. 24 novembre 1981, n. 689, recita: «(Principio di specialità). Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale».

Tuttavia, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che questa ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali

(nel senso di una clausola di sussidiarietà della legge penale rispetto a quella amministrativa: VINCIGUERRA. Ma l'autore non si nasconde perplessità circa l'utilità della particolare disposizione, forse sussumibile nei consueti schemi del concorso apparente di disposizioni).

Ai fatti puniti dagli artt. 5, 6, 9 e 13 della legge 30 aprile 1962, n. 283, modificata con legge 26 febbraio 1963, n. 441, sulla disciplina igienica degli alimenti, si applicano in ogni caso le disposizioni penali in tali articoli previste, anche quando i fatti stessi sono puniti da disposizioni amministrative che hanno sostituito disposizioni penali speciali

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Come risulta ictu oculi evidente, si tratta, ratione materiae, di un «sacrificio della specialità» (BERTONI, LATTANZI, LUPO, VIOLANTE). Page 930

Ma si tratta solo di una «prevalenza per legge» della disciplina penale, non dell'imposizione di un cumulo di sanzioni (penali ed amministrative), come potrebbe sembrare leggendo l'espressione «in ogni caso» (VINCIGUERRA, DI NANNI, VACCA, FUSCO, LARIZZA, PADOVANI).

Sotto un primo profilo, va subito notato che l'art. 15 c.p. si inserisce certamente nella tematica del concorso apparente di disposizioni coesistenti, nell'accezione ampia che abbiamo riservato a tale espressione, ed, infatti, si usa, colà, la locuzione «stessa materia», mentre l'art. 9 L. 689/81, interessandosi solo del momento sanzionatorio, dell'effetto «secondario» (DELL'ANDRO), si inserisce, esclusivamente, nella tematica del concorso apparente di norme. Ed è perciò che l'art. 9 legge cit., può usare, senza soverchie ambasce, l'espressione «stesso fatto», in luogo di quella «stessa materia».

Nell'ambito della legge 689/81, almeno in via tendenziale, non prevale una disposizione penale, e in quanto penale, su quella amministrativa, ma si dovrà vedere, fra le due, quale sia quella «speciale».

Qui si tratta - diremmo così - di una specialità «esterna», o, meglio, interdisciplinare (tra diritto penale e diritto amministrativo sanzionatorio).

Tale sorta di specialità non può operare in presenza di clausole quali quella contenuta nell'art. 176, diciassettesimo comma, c.s., «salvo che il fatto non costituisca reato», poiché qui è chiara ed espressa la opzione legislativa per la sanzione penalmente rilevante.

Eppure, a prescindere, più a monte, dalle enormi differenze strutturali, e di ambito di tutela, tra la figura contemplata nella disposizione in esame e quella dell'insolvenza fraudolenta, la giurisprudenza si affanna (troppo) a risolvere (pretesi) problemi di concorso apparente tra questa figura delittuosa e l'illecito amministrativo di colui che «ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio». Secondo noi, il riferimento al «reato», contenuto nel codice della strada, atteso l'ambito di tutela, è operato con riguardo al blocco stradale, non, certo, all'insolvenza fraudolenta (decisamente contraria ci è la giurisprudenza della Cassazione, anche a sezioni unite).

Converrà, ora, occuparci della specialità «interna», della disposizione dell'art. 15 c.p.

Ogni articolo del codice, o di una legge penale diversa da quelle contemplate dal codice penale, è una «legge penale» (vedasi, anche, art. 16 c.p.). Quando, perciò, si parla di più disposizioni della medesima legge penale, ci si riferisce a casi come quelli contemplati dall'art. 570 c.p.: chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori risponderà secondo il disposto del n. 2 del secondo comma dell'art. 570 c.p., non, anche, ex art. 570, primo comma, c.p., ove è preveduta la generica figura della violazione degli obblighi di assistenza familiare. E ciò ex art. 15 c.p. (MANZINI, VANNINI, PISAPIA, ANTOLISEI) (speciale rispetto alla figura - globale - dell'art. 570 c.p., è quella dell'art. 12 sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898, introdotto con l'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74).

Quanto all'espressione «stessa materia», di cui all'art. 15 c.p., una tesi (BETTIOL, PETTOELLO MANTOVANI, FLORIAN, SPIEZIA), largamente accolta in giurisprudenza, la interpreta nel senso che essa sia da considerare equivalente di «stessa obiettività giuridica» (FERRARI, SANTORO, MAGGIO, SABATINI GIUS., CONTIERI, GREGORI).

Seguendo quest'impostazione viene esclusa l'applicabilità del criterio di cui all'art. 15 c.p. - affermandosi, quindi, il concorso effettivo di reati (e non apparente, di norme) - tra il furto e la contravvenzione di cui all'art. 1162 c.n. (estrazione abusiva di rena o altri materiali) (abusiva perché in difetto della concessione del capo del compartimento marittimo, ex art. 51 c.n.).

La soluzione è esatta, ma errata, a nostro avviso, l'impostazione: chi commette la contravvenzione di cui sopra ben può farlo senza fine di profitto, e, se tale finalità compaia, non vediamo come possa escludersi il concorso effettivo, formale, in via eterogenea, di reati (art. 81, primo comma, c.p.) (vedasi sempre, et ultra, art. 16 c.p.).

In proposito, il MARINI afferma doversi sempre ricondurre il caso in questione ad un'ipotesi di concorso materiale, salva, benvero, la possibilità di continuazione (art. 81, secondo comma, c.p.), e ciò perché, secondo quest'autore, la contravvenzione è già integrata con...

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