Nuovo pluralismo delle fonti, ruolo delle Corti e diritto privato

AutoreGiuseppe Tucci
Pagine101-121

1. Il tema delle fonti del diritto ha rappresentato sempre un’area tradizionalmente condivisa tra gli studiosi del diritto pubblico e quelli del diritto privato, con una conseguente spartizione della materia1.

Nel diritto privato, l’attenzione per il sistema delle fonti si manifesta in maniera particolare nei momenti storici in cui l’esperienza giuridica concreta mette in crisi l’identità tra diritto e legge, ponendo all’interprete l’esigenza di ripensare il suo stesso ruolo.2

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Al contrario, quando il sistema delle fonti viene considerato un dato di partenza per costruire “Dottrine generali”, al civilista è attribuito unicamente il compito di costruire un sistema, linearmente semplice, da desumersi dallo stesso codice, appartenendo, invece, non al diritto civile, ma alla teoria generale del diritto, la trattazione relativa alle fonti ed alla loro interpretazione3.

Il problema delle fonti si complica, quando la nuova Costituzione introduce una gerarchia delle fonti assolutamente sconosciuta all’art. 1 delle Disposizioni preliminari al codice civile e, ancor più quando, sviluppando anche le apertura del nostro stesso testo costituzionale, il nostro ordinamento si apre al diritto sopranazionale. Ciò porta ad un pluralismo delle stesse, la cui integrazione richiede rapporti tra ordinamenti diversi, statali e non statali, secondo principi di coesistenza elaborati in primo luogo dalla giurisprudenza4.

La prevalenza degli studi di diritto privato nell’affrontare il problema delle fonti nei momenti in cui si registrano profondi cambiamenti sociali trova la sua spiegazione nella stessa vicenda storica del diritto privato.

Proprio all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso, Filippo Vassalli dedica tre importanti saggi al problema cruciale del sistema delle fonti nel diritto privato, particolarmente in relazione al rapporto tra legge e diritto5.

La statalizzazione del diritto privato, ricorda colui che si autodefinisce il redattore per i due terzi del codice civile, è un prodotto recente e contingente della storia del diritto6.

Il prevalere della dimensione statale del diritto ha territorializzato e nazionalizzato un settore dell’esperienza giuridica, come è appunto il diritto privato, che, per il suo intrinseco contenuto, travalica le frontiere degli Stati e richiede il superamento Page 103 del dogma della statualità del diritto7. Solo in tale prospettiva gli studi giuridici, secondo Filippo Vassalli, avrebbero potuto dare luogo al ravvicinamento ed alla successiva unificazione del diritto privato in un nuovo diritto comune8.

I contributi di Filippo Vassalli sopra richiamati si collocano negli anni successivi alla grande catastrofe dei nazionalismi giuridici, dopo che si erano verificate con tragica evidenza le previsioni di Benedetto Croce formulate agli inizi degli anni trenta nel presentare la traduzione, da lui stesso suggerita a metà degli anni trenta, proprio al nostro Editore Laterza, della celebre opera La lotta per il diritto di Jhering9. Essi, però, prescindono da un fatto storico fondamentale proprio ai fini del problema qui in esame; l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, avvenuta il primo gennaio 1948, rimasta non solo incompiuta, ma anche disattesa per molti anni10.

La nuova Costituzione modifica radicalmente l’assetto normativo di cui all’art. 1 delle Disposizioni preliminari del nostro codice civile per una serie di ragioni di cui la dottrina privatistica e pubblicistica non tarderà a rendersi conto11. Essa, infatti, oltre a costituzionalizzare i principi fondamentali del diritto privato (es. artt.2, 3, 4,8,10, 11, 13, 29), come avviene in molte delle esperienze simili del secondo dopoguerra, si pone, contrariamente a ciò che è accaduto per lo Statuto albertino, come fonte del diritto di rango superiore rispetto alle leggi ordinarie, come indicano i suoi artt. 134 ss e 138ss.12.

Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione cambia la forma storica dello Stato, che non è più lo Stato nazionale in forma di Stato di diritto, poiché si avvia la costruzione di una nuova forma politica destinata a superarlo13.

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2. L’avvento della Costituzione repubblicana ha reso operante un pluralismo delle stesse all’ interno del nostro ordinamento, che ha portato ad una “rilettura” del diritto privato alla luce appunto della normativa di rango superiore, imponendo un’interpretazione dello stesso in termini conformi a Costituzione e, nel caso di riscontrata impossibilità in tal senso, il rinvio alla Corte costituzionale14.

Come conseguenza di tale cambiamento, il diritto attuale, specialmente nel suo massimo livello rappresentato dalla Costituzione e dalle diverse fonti sovranazionali pattizie, si esprime attraverso principi espliciti, i quali si configurano, nello stesso senso, come norme invalidanti e come norme di chiusura.

I principi si distinguono dalle regole singole poste dal legislatore ed anche dai “principi” di cui parla l’art. 12 delle Disposizioni preliminari; e ciò in quanto questi ultimi sono soltanto generalizzazioni della ratio, implicita nelle singole regole poste dal legislatore15.

I principi, a differenza delle regole, vengono di solito bilanciati, affinché possano operare anche congiuntamente. Ciò vale in primo luogo rispetto alle Costituzioni rigide, tanto che, secondo la nostra Corte costituzionale, in situazioni di carenza legislativa, spetta al Giudice ordinario, per risolvere il caso specifico, individuare un ragionevole equilibrio tra i principi costituzionali coinvolti16. ma ciò vale anche e soprattutto rispetto alla normativa sovranazionale17; realtà del tutto nuova con cui si deve misurare il problema delle fonti18.

Nell’ambito dell’ordinamento comunitario, secondo l’art. 6, comma 1°, del Trattato sull’Unione Europea, quest’ultima riconosce sia i diritti sia le libertà sia i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali, alla quale si conferisce lo stesso valore giuridico dei Trattati; con la particolarità che, a norma dell’art. 52, comma 5°, della stessa, le disposizioni che contengono principi possono essere attuate, almeno in linea di principio, non attraverso un bilanciamento ad opera del Giudice, ma solo da atti legislativi ed esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione, oltre che da atti di Stati membri allorché essi diano attuazione al diritto dell’Unione nell’esercizio delle rispettive competenze.

Al contrario, le stesse disposizioni possono essere invocate dinanzi a un Giudice solo ai fini dell’interpretazione conforme e del controllo di legalità degli atti.

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I diritti, invece, riconosciuti dalla Carta attraverso disposizioni che enunciano regole, come precisa il comma 2° della stessa Disposizione, si esercitano, sicché il Giudice nazionale potrà dare diretta attuazione agli stessi, applicando il diritto nazionale come effetto diretto dell’integrazione tra ordinamenti19.

Per valutare se la disposizione comunitaria sui diritti fondamentali abbia effetto diretto, si richiede l’intervento della Corte di giustizia europea; problema rilevante non solo per il Giudice comune, ma anche per il Giudice delle leggi, poiché l’effetto diretto renderebbe inammissibile la questione di legittimità costituzionale basata sull’uso della norma costituzionale, in ipotesi enunciativa di principi e non di regole, come norma interposta20.

3. Sul problema dell’evoluzione del sistema delle fonti, la nostra Costituzione, oltre che per il suo carattere rigido e per l’espressa previsione della giustizia costituzionale, ha inciso per alcune scelte di prospettiva compiute dai nostri Costituenti.

La prima importante scelta di prospettiva, adottata dai nostri Costituenti, è stata la formulazione dell’art. 2, che, andando al di là di ogni stretto positivismo, configura il testo costituzionale come “documento vivente”. Di tale vicenda, a più di sessanta anni dall’entrata in vigore della Costituzione, si deve fare un bilancio positivo; e ciò sia in ordine al significato che la qualificazione in termini di inviolabilità dei diritti dell’uomo ha assunto nell’economia della norma sia in ordine alla progressiva estensione della categoria di tali diritti inviolabili, specie alla luce dell’integrazione che la norma in esame ha conosciuto con le Dichiarazioni internazionali in materia di Diritti dell’Uomo e con le Convenzioni internazionali, prima di tutto con quelle operanti nell’ambito europeo.

È pertanto importantissimo stabilire i criteri idonei ad individuare tale categoria di diritti.

Di sicuro, i diritti inviolabili non sono soltanto quelli che la Costituzione riconosce come tali (artt. 13, 14, 15, 24); sono tali, come si vedrà qui di seguito, anche altri diritti previsti nel testo costituzionale e non qualificati in tal senso21.

Al contrario, non tutti i diritti costituzionalmente protetti si possono qualificare come inviolabili; non lo è certamente, per fare qualche esempio, il diritto di proprietà, di cui all’art. 42, né l’iniziativa economica privata di cui all’art. 41, che trovano Page 106 precisi limiti al loro riconoscimento in nome di altri beni e funzioni primarie con essi configgenti22.

Sono, invece, da considerare egualmente diritti inviolabili, dato il carattere aperto dell’art. 2, anche alcuni diritti non previsti nella Costituzione.

Grazie a questa dimensione della norma in esame, fatta propria dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, si pratica di fatto nel nostro ordinamento un nuovo universalismo dei diritti proiettato oltre i confini dello Stato nazione.

Diritti inviolabili, in definitiva, sono quei diritti dell’uomo che non solo non possono essere disconosciuti o limitati dal legislatore ordinario, ma che sono sottratti persino al potere di revisione costituzionale disciplinato dall’art. 138 Cost., almeno per ciò che riguarda il loro nucleo essenziale, in quanto essi hanno, come si è espressa la nostra Corte costituzionale, un valore della personalità avente un carattere fondante rispetto al...

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