Persona offesa e irragionevole durata del processo: la corte di strasburgo supera il limite, stabilito dal diritto interno, della necessaria costituzione di parte civile

AutorePiero Tandura
Pagine66-71
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giur
2/2019 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
PERSONA OFFESA
E IRRAGIONEVOLE DURATA
DEL PROCESSO: LA CORTE
DI STRASBURGO SUPERA
IL LIMITE, STABILITO
DAL DIRITTO INTERNO,
DELLA NECESSARIA COSTITUZIONE
DI PARTE CIVILE
di Piero Tandura
1. È oramai un dato ineludibile dell’attuale contesto
giuridico europeo la crescente incidenza assunta dalle
pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel
delineare l’ampiezza e la portata che, all’interno dei sin-
goli ordinamenti statali, va riservata alla tutela dei diritti
fondamentali della persona.
Tra le sentenze dotate di siffatta valenza def‌initoria
può essere annoverata anche la decisione in commento, a
mezzo della quale la Corte di Strasburgo ha avuto modo di
pronunciarsi in merito al problema dell’estensione sogget-
tiva dell’art. 6 § 1 C.E.D.U. nell’ambito del processo penale
italiano. Nello specif‌ico, la questione trattata dalla Corte
ha riguardato l’applicabilità alla persona offesa dal reato
del principio della ragionevole durata del processo nella
fase delle indagini preliminari, nel corso della quale, se-
condo il nostro codice di rito, la parte lesa non è ancora
legittimata ad azionare la pretesa risarcitoria mediante la
costituzione di parte civile.
Il tema non è un’assoluta novità nel quadro della giuri-
sprudenza dei diritti dell’uomo. Rispetto all’ordinamento
italiano, tuttavia, la sentenza in esame segna un deciso
passo in avanti rispetto al passato (1), caratterizzando-
si per una diffusa ed analitica disamina dei presupposti
applicativi della garanzia convenzionale calibrata sulle
peculiari caratteristiche del sistema penale italiano.
La decisione merita quindi di essere segnalata in quan-
to, nel rispondere – come vedremo positivamente - alla
problematica giuridica di fondo, contiene alcune affer-
mazioni di principio capaci – ad avviso di chi scrive - di
mettere in dubbio la legittimità, sul piano costituzionale,
del dato normativo interno e, al contempo, di sovvertire il
consolidato orientamento espresso sul punto dalla giuri-
sprudenza domestica.
Ma andiamo per ordine.
2. La vicenda da cui prende le mosse l’arresto del Giu-
dice europeo può essere così brevemente riassunta.
L’8 febbraio 1990 A. si rivolgeva al proprio Comune di
residenza per chiedere la demolizione di una canna fuma-
ria che uno dei vicini aveva fatto costruire sul muro del
suo appartamento in assenza di permesso di costruire.
Il Comune riscontrava la domanda solo nel settembre
del 1994, comunicando all’istante di non voler disporre la
demolizione della canna fumaria poiché, sulla base di di-
chiarazione giurata resa dalla proprietaria dell’immobile
interessato e da altri quattro testimoni, il manufatto non
sarebbe stato abusivo in quanto esistente in loco da molto
tempo.
A questo punto, l’interessata presentava in data 9 otto-
bre 1995 denuncia penale contro la vicina e gli altri testi-
moni per falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p.),
specif‌icando inoltre che, a causa delle false dichiarazioni
rese dai denunciati, aveva visto pregiudicato il proprio di-
ritto di proprietà.
Il conseguente procedimento penale veniva chiuso il
22 gennaio 2003 con decreto del Giudice per le indagini
preliminari, il quale, su richiesta del P.M., disponeva l’ar-
chiviazione della denuncia per intervenuta prescrizione
del reato contestato.
La denunciante adiva allora la Corte d’appello di Ve-
nezia chiedendo, ai sensi della legge n. 89/2001, il risarci-
mento dei danni materiali e morali subiti a causa dell’irra-
gionevole durata del procedimento penale def‌inito con il
provvedimento di archiviazione.
All’esito del giudizio “Pinto”, la Corte territoriale di-
chiarava inammissibile il ricorso richiamandosi al prin-
cipio secondo cui, per la persona offesa, il periodo da
prendere in considerazione ai f‌ini del calcolo dell’ecces-
siva durata del processo inizia a decorrere dal momento
in cui la stessa si è formalmente costituita parte civile,
circostanza che, però, non era avvenuta nel caso specif‌ico.
Di conseguenza la ricorrente, non avendo mai assunto la
qualità di parte del procedimento, non poteva lamentarsi
dell’eccessiva durata del procedimento medesimo.
Inoltre - osservava il Collegio veneziano - era stata la
ricorrente ad aver scelto la via penale per procedere alla
tutela dei suoi diritti: nulla le avrebbe impedito di optare
per un’autonoma azione di danno in sede civile, senza la
necessità di dover attendere l’esaurimento della fase delle
indagini preliminari per far valere le proprie pretese ri-
sarcitorie.
Di qui, dunque, il successivo ricorso incardinato dalla
ricorrente avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e
sfociato nella sentenza di cui si tratta.
3. Prima di entrare nel merito del ragionamento se-
guito dalla Corte di Strasburgo, pare utile – anche per
meglio comprendere l’effettivo impatto che la scrutinata
pronuncia potrà avere sull’ordinamento italiano - una bre-
ve digressione sull’evoluzione giurisprudenziale e norma-
tiva interna da cui è maturata l’attuale esclusione della
persona offesa dal novero dei soggetti che possono valersi
della tutela contro l’eccessiva durata del processo.

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