Perplessità e preoccupazioni: la corte costituzionale ritorna sulla confisca antimafia

AutoreFederica Scariato
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Rivista penale 5/2018
CORTE COSTITUZIONALE
5/2018 Rivista penale
CORTE COSTITUZIONALE
PERPLESSITÀ
E PREOCCUPAZIONI: LA CORTE
COSTITUZIONALE RITORNA
SULLA CONFISCA ANTIMAFIA
di Federica Scariato
SOMMARIO
1. L’antefatto. 2. La sentenza della Corte: tra salvataggi e am-
monizioni. 3. Decisioni del giudice e valutazioni in concreto.
4. La nuova frontiera della sproporzione. 5. Spunti di rif‌les-
sione e note a margine della vicenda.
1. L’antefatto
Con la sentenza n. 33 del febbraio 2018 (1), la Con-
sulta ha avuto l’opportunità di ridef‌inire l’ambito di appli-
cazione della conf‌isca antimaf‌ia, apportando nuova linfa
al già vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale sugli
strumenti di contrasto alla criminalità organizzata. Prima
di svolgere delle rif‌lessioni in merito alla pronuncia, però,
può essere utile ripercorrere l’antefatto che ha portato
alle considerazioni cui sono giunti i giudici della Legge.
Con ordinanza del 17 marzo 2015, infatti, la Corte
d’appello di Reggio Calabria, in veste di giudice dell’ese-
cuzione, sollevava questione di legittimità costituzionale
relativamente all’art. 12-sexies comma 1 D.L. 306/92, nel-
la parte in cui riconnette la speciale misura ablatoria al
delitto di ricettazione. Nel caso specif‌ico i cespiti dell’im-
putato, condannato def‌initivamente con sentenza passata
in giudicato, aggirandosi intorno al valore di circa 170.000
euro, erano sembrati decisamente sproporzionati rispetto
al reddito annuale del suo nucleo familiare e, di questa
sproporzione, il reo non aveva saputo dare una valida giu-
stif‌icazione. Sulla base di quanto disposto dall’art. 12-se-
xies, dunque, i rimettenti non avevano avuto alternativa
se non quella di conf‌iscare il tutto. La norma in parola,
infatti, descrive una misura non facoltativa, ma obbliga-
toria quando si è in presenza dei requisiti e dei delitti in-
dicati dalla disposizione. Nonostante l’estrema chiarezza
dell’art. 12-sexies sul punto, però, i giudici dell’esecuzione
non erano persuasi della legittimità dell’intera disciplina,
per cui si erano visti costretti ad adire la Corte costitu-
zionale. Il dubbio circa la compatibilità della misura con
la Carta fondamentale sorgeva a seguito di una rif‌lessione
che si snodava attraverso tre percorsi argomentativi.
Pare opportuno premettere, prima di esaminare il ra-
gionamento compiuto dai rimettenti, che la Corte di Cas-
sazione (2) e la giurisprudenza prevalente erano già da
molto tempo concordi nel ritenere che, per l’applicazione
della conf‌isca in esame, non fosse necessaria la dimo-
strazione che i beni da conf‌iscare derivassero dal reato,
da reati pregressi o da acquisti avvenuti prima o dopo la
commissione del reato. Insomma, qualunque fosse la loro
provenienza era assolutamente irrilevante. Dunque la
semplice sproporzione patrimoniale tra l’attività economi-
ca svolta e i possedimenti basterebbe ad indurre la commi-
nazione della misura ablatoria in questione, prescinden-
dosi qualunque ulteriore approfondimento e qualsivoglia
valutazione nel merito.
I giudici calabresi, però, non erano molto convinti della
bontà di tale interpretazione. Questi, infatti, rilevando che
la conf‌isca di cui all’art 12-sexies si caratterizza per essere
un meccanismo estremamente invasivo, si sono allora in-
terrogati circa l’opportunità di una valutazione in astratto
dei presupposti di applicazione della stessa. Si sono chie-
sti, cioè, se una presunzione come quella dell’art. 12-se-
xies fosse coerente con l’id quod plerumque accidit o se il
legislatore avesse dato per scontato un dato che, in realtà,
tale non è.
La Corte d’appello, infatti, rilevava che, mentre per re-
ati come l’associazione maf‌iosa, l’estorsione, il sequestro
di persona, tutti elencati nella norma in analisi, è evidente
il prof‌ilo “professionale” dell’attività criminosa, oltre che
l’attitudine delle suddette condotte a generare un illeci-
to arricchimento, lo stesso non sembra potersi dire per la
ricettazione. Tale delitto, infatti, abbraccia, per i rimet-
tenti, una casistica troppo varia “sia sul piano della cri-
minogenesi che sul piano del modello di agente tipo” (3).
Il ricettatore, insomma, non è sempre e per forza un ‘pro-
fessionista’, anzi. Molto spesso, nella prassi, si tratta di un
soggetto che ha commesso l’illecito estemporaneamente,
per un risparmio di spesa o per ragioni diverse, ma comun-
que avulse dal concetto di arricchimento in senso stretto.
Se così è, allora, è evidente che l’art. 648 c.p. si con-
traddistingue rispetto a tutti gli altri reati elencati nella
norma in esame. Da qui, la denuncia di irragionevolezza
della presunzione legislativa e la rimessione alla Corte del
dubbio di legittimità costituzionale per stralciare, dall’e-
lenco dei delitti cui fa riferimento l’art. 12-sexies, almeno
quello relativo alla ricettazione.
2. La sentenza della Corte: tra salvataggi e ammonizioni
Investita dei dubbi esaminati, la Corte costituzionale
reputa non fondata la questione, argomentando la propria
decisione attraverso quattro punti salienti.
Anzitutto, si dice, le misure di prevenzione patrimonia-
li mirano a colpire le diverse forme di criminalità da pro-
f‌itto, raggruppabili, nel complesso, in tre settori specif‌ici:
criminalità maf‌iosa, economica e da corruzione (4). E la
ricettazione sicuramente rientra nella seconda categoria,
essendo un delitto che garantisce un illegittimo accumu-
lo di ricchezza. Per def‌inizione, infatti, trattandosi di un
reato contro il patrimonio, il vantaggio che il reo ottiene
dalla condotta delittuosa è di natura economica, almeno in
astratto. Altrettanto non precisa, per la Consulta, è anche
la contestazione relativa alla mancanza del requisito della
natura, un delitto idoneo a determinare un’illecita accu-
mulazione di ricchezza e suscettibile, secondo l’osserva-
zione "sociologica", di essere perpetrato in forma "profes-
sionale" o, comunque sia, continuativa.
La presunzione di origine illecita dei beni del condan-
nato insorge, d’altro canto, non per effetto della mera
condanna, ma unicamente ove si appuri - con onere pro-
batorio a carico della pubblica accusa - la sproporzione
tra detti beni e il reddito dichiarato o le attività economi-
che del condannato stesso: sproporzione che - secondo i
correnti indirizzi giurisprudenziali - non consiste in una
qualsiasi discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in
uno squilibrio incongruo e signif‌icativo, da verif‌icare con
riferimento al momento dell’acquisizione dei singoli beni.
La presunzione, d’altra parte, è solo relativa, rimanen-
do confutabile dal condannato tramite la giustif‌icazione
della provenienza dei cespiti. Per giurisprudenza costan-
te - almeno a partire dalla citata sentenza delle sezioni
unite della Corte di cassazione n. 920 del 2004 - non si
tratta neppure di una vera e propria inversione dell’one-
re della prova, ma di un semplice onere di allegazione di
elementi che rendano credibile la provenienza lecita dei
beni (per la valorizzazione di analogo elemento, al f‌ine di
escludere l’illegittimità costituzionale della presunzione
di destinazione illecita di determinati oggetti da parte del
condannato per delitti contro il patrimonio - tra cui anche
la ricettazione - si veda già la sentenza n. 225 del 2008).
Occorre rilevare, inoltre, che secondo un indirizzo
della giurisprudenza di legittimità, emerso già prima
dell’intervento delle sezioni unite (Corte di cassazione,
sezione prima penale, 5 febbraio - 21 marzo 2001, n. 11049;
sezione quinta penale, 23 aprile - 30 luglio 1998, n. 2469)
e ribadito anche in recenti pronunce (Corte di cassazione,
sezione prima penale, 16 aprile - 3 ottobre 2014, n. 41100;
sezione quarta penale, 7 maggio - 28 agosto 2013, n. 35707;
sezione prima penale, 11 dicembre 2012 - 17 gennaio 2013,
n. 2634) - indirizzo che il giudice a quo non ha preso in
considerazione, anche solo per contestarne la validità - la
presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto
della misura resta circoscritta, comunque sia, in un am-
bito di cosiddetta "ragionevolezza temporale". Il momento
di acquisizione del bene non dovrebbe risultare, cioè, tal-
mente lontano dall’epoca di realizzazione del "reato spia"
da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di de-
rivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure
diversa e complementare rispetto a quella per cui è inter-
venuta condanna. Si tratta di una delimitazione temporale
corrispondente, mutatis mutandis, a quella che le stesse
sezioni unite hanno ritenuto operante con riferimento alla
misura aff‌ine della conf‌isca di prevenzione antimaf‌ia, già
prevista dall’art. 2-ter della L. 31 maggio 1965, n. 575 (Di-
sposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo ma-
f‌ioso, anche straniere) e attualmente disciplinata dall’art.
24 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi
antimaf‌ia e delle misure di prevenzione, nonché nuove
disposizioni in materia di documentazione antimaf‌ia, a
norma degli articoli 1 e 2 della L. 13 agosto 2010, n. 136),
anch’essa imperniata sull’elemento della sproporzione tra
redditi e disponibilità del soggetto: misura che si è rite-
nuta trovare un limite temporale nella stessa pericolosità
sociale del soggetto, presupposto indefettibile per la sua
applicazione (Corte di cassazione, sezioni unite, 26 giugno
2014 - 2 febbraio 2015, n. 4880).
La ricordata tesi della "ragionevolezza temporale" ri-
sponde, in effetti, all’esigenza di evitare una abnorme di-
latazione della sfera di operatività dell’istituto della conf‌i-
sca "allargata", il quale legittimerebbe altrimenti - anche a
fronte della condanna per un singolo reato compreso nella
lista - un monitoraggio patrimoniale esteso all’intiera vita
del condannato. Risultato che - come la Corte rimettente
pure denuncia - rischierebbe di rendere particolarmente
problematico l’assolvimento dell’onere dell’interessato di
giustif‌icare la provenienza dei beni (ancorché inteso come
di semplice allegazione), il quale tanto più si complica
quanto più è retrodatato l’acquisto del bene da conf‌iscare.
In una simile prospettiva, la fascia di "ragionevolezza
temporale", entro la quale la presunzione è destinata ad
operare, andrebbe determinata tenendo conto anche delle
diverse caratteristiche della singola vicenda concreta e,
dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela
agli effetti della misura ablatoria.
Nella medesima ottica di valorizzazione della ratio
legis, può ritenersi, peraltro, che - quando si discuta di
reati che, per loro natura, non implicano un programma
criminoso dilatato nel tempo (com’è per la ricettazione)
e che non risultino altresì commessi, comunque sia, in un
ambito di criminalità organizzata - il giudice conservi la
possibilità di verif‌icare se, in relazione alle circostanze del
caso concreto e alla personalità del suo autore - le quali
valgano, in particolare, a connotare la vicenda crimino-
sa come del tutto episodica ed occasionale e produttiva
di modesto arricchimento - il fatto per cui è intervenuta
condanna esuli in modo manifesto dal "modello" che vale
a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ric-
chezza da parte del condannato.
12.- Alla luce di quanto precede, i denunciati prof‌ili di
violazione del principio di eguaglianza si rivelano, dun-
que, insussistenti, sicché la questione va dichiarata non
fondata.
A fronte del ricordato processo di accrescimento della
compagine dei reati cui è annessa la misura ablativa spe-
ciale, questa Corte non può astenersi, peraltro, dal for-
mulare l’auspicio che la selezione dei "delitti matrice"
da parte del legislatore avvenga, f‌in tanto che l’istituto
conservi la sua attuale f‌isionomia, secondo criteri ad essa
strettamente coesi e, dunque, ragionevolmente restrittivi.
Ad evitare, infatti, evidenti tensioni sul piano delle garan-
zie che devono assistere misure tanto invasive sul piano
patrimoniale, non può non sottolinearsi l’esigenza che
la rassegna dei reati presupposto si fondi su tipologie e
modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchi-
mento del loro autore, che trascenda la singola vicenda
giudizialmente accertata, così da poter veramente annet-
tere il patrimonio "sproporzionato" e "ingiustif‌icato" di cui
l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rima-
sta "sommersa". (Omissis)

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