La perizia psicologica tra processo ordinario e processo minorile

AutoreRita Caterina Moffetti
Pagine357-361
357
Arch. nuova proc. pen. 4/2013
Dottrina
LA PERIZIA PSICOLOGICA
TRA PROCESSO ORDINARIO
E PROCESSO MINORILE
di Rita Caterina Moffetti
SOMMARIO
1. Premessa. 2. L’evoluzione normativa della perizia psicologi-
ca: dal codice del 1930 all’attuale art. 220 c.p.p. 3. L’estensio-
ne dell’indagine personologica all’imputato: punctum dolens
valido apporto conoscitivo? 4. L’apertura della giustizia mino-
rile agli accertamenti sulla personalità.
1. Premessa
Lo studio della personalità dell’imputato ha da sempre
costituito un nodo critico nei rapporti fra scienze crimino-
logiche e giustizia penale, tanto da suscitare l’interesse di
penalisti, criminologi e psichiatri (1).
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza e so-
stenuto dalla dottrina, il reato, infatti, in quanto azione, è
espressione della personalità del suo autore: ciò signif‌ica
che ogni reato può dirsi il prodotto delle qualità morfologi-
che, f‌isiologiche e psichiche del soggetto, qualità che, con-
globate nel modus operandi dell’autore, trovano nel reato
stesso la propria modalità di espressione (2).
Già a partire dagli anni trenta Etienne De Greeff, psi-
chiatra esperto nell’osservazione clinica dei detenuti, affer-
mava che ciò che distingue l’uomo dall’animale e, altresì,
ogni uomo dall’altro è l’esistenza della personalità, concetto
che deriva dalla dimensione storica dell’esistenza umana
connessa con lo sviluppo del sistema nervoso e con il rap-
porto con le f‌igure signif‌icative durante l’infanzia (3).
E proprio lo studio della personalità ha dato origine
all’annosa questione relativa alla possibilità di impiegare
o meno nel processo penale di cognizione le tecniche d’in-
dagine collaudate dalla psicologia, al f‌ine di una diagnosi
sulla personalità dell’imputato (4).
È noto che, nell’attuale ordinamento, vige il divieto di
perizia psicologica statuito dall’art. 220, comma 2 c.p.p.
in base al quale, «salvo quanto previsto ai f‌ini dell’ese-
cuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono
ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professiona-
lità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la
personalità dell’imputato e, in genere, le qualità psichiche
indipendenti da cause patologiche» (5).
La ratio di questa disposizione può agevolmente indivi-
duarsi nell’esigenza di garantire la vita e la libertà morale
dell’imputato dall’incisività ed “invadenza” di un esame
psicologico diretto ad individuare le ragioni di una deter-
minata condotta (6). Si tratta, infatti, di un esame che non
si esaurisce in una semplice valutazione tecnicamente neu-
trale, ma richiede dei giudizi proprio sull’agire umano (7).
L’esigenza, dunque, è principalmente quella di evitare
che l’indagine sulla personalità dell’imputato possa in-
f‌luenzare il libero convincimento del giudice in merito alla
responsabilità, delineando un conf‌litto con il principio di
presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2
Cost., sul rilievo che gli accertamenti criminologici danno
per scontata la reità dell’imputato (8).
Il divieto di perizia psicologica potrebbe, altresì, ricol-
legarsi alla mancata risoluzione del problema relativo alla
fase processuale in cui essa debba venire effettuata ed ai
limiti da prevedere per evitare che si trasformi in un’arma
da utilizzare contro lo stesso imputato.
Una perizia disposta, ad esempio, prima che sia accer-
tata l’attribuibilità del fatto contestato, potrebbe, infatti,
delineare un conf‌litto con la presunzione di innocenza in
quanto «si presta ad essere utilizzata per poter trovare
elementi a favore dell’accusa, per quanto ambigui e privi
di certezza possano essere questi elementi (9)».
Ecco che allora l’adozione di una concezione “bifasica”
del processo penale risulterebbe più idonea a fare fronte a
tali inconvenienti riservando, in particolare, la prima fase del
processo all’accertamento della responsabilità dell’imputato
e la seconda alla scelta del trattamento individualizzato, inse-
rendo la perizia criminologica proprio in quest’ultima (10).
2. L’evoluzione normativa della perizia psicologica: dal
codice del 1930 all’attuale art. 220 c.p.p.
Ai f‌ini di una migliore comprensione del divieto previsto
dal nostro ordinamento di svolgere indagini sulla perso-
nalità, risulta opportuna una sia pur breve analisi storica
delle ragioni che hanno portato al divieto normativo della
perizia psicologica.
A tal proposito, giova rammentare che l’art. 314 c.p.p.
del 1930 si limitava ad attribuire al giudice la facoltà (e
non l’obbligo) di disporre una perizia quando la fatti-
specie concreta avesse richiesto un particolare contributo
informativo e prevedeva, poi, al comma 2, dei limiti ogget-
tivi all’utilizzo della medesima, stabilendo che «non sono
ammesse perizie per stabilire l’abitualità e la professiona-
lità del reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la
personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche
indipendenti da cause patologiche» (11).

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